Don Patrizio e Luisa: "La droga è più forte della volontà di smettere di farne uso, ma la tossicodipendenza è una malattia dalla quale si può guarire!"

ASCIANO. Finalmente ci siamo! Al Podere San Berndardo Tolomei, presso l’Abbazia di Monte Uliveto, il prossimo 8 Giugno verrà inaugurata l’apertura della casa di accoglienza in preparazione al percorso di recupero dalle dipendenze. Si tratta di una struttura – messa a disposizione da Don Diego Rosa dell’Abbazia di Monte Oliveto – con la quale la ONLUS “Associazione Candito”, fondata e gestita da Luisa Diana e Don Patrizio, porteranno avanti lo scopo che perseguono da oltre 15 anni: la lotta contro la droga ed il recupero di persone tossicodipendenti.
“L’esperienza ci ha insegnato che la cosa migliore per far fronte a queste situazioni è lavorare con le famiglie, ancor prima di iniziare il dialogo direttamente con i ragazzi” – affermano Luisa e Don Patrizio – “Questo perché la famiglia svolge un ruolo fondamentale, sia per determinare il ragazzo ad iniziare a drogarsi, sia per metterlo nella condizione di chiedere aiuto per poi lavorare sul suo recupero”.
Nasce con queste premesse, l’idea di creare un centro attrezzato che svolga una vera e propria funzione di “pre-comunità” in un duplice senso. In primo luogo, quello di offrire al tossicodipendente (ed alla sua famiglia) un luogo ed un’assistenza necessari per il tempo immediatamente successivo al suo convincimento di smettere nel far uso di droghe ed avviare il proprio percorso di recupero; infatti, per mesi interi le famiglie sono pressoché da sole a gestire un ragazzo pieno di problemi e quasi mai sinceramente convinto a cambiar vita; dunque, accade sovente che, nella lunga attesa necessaria a mandarlo in comunità, il tossicodipendente – che si è appena determinato ad iniziare la propria riabilitazione – torni sui suoi passi ed abbandoni l’intento di smettere, poiché rimane nell’ambiente e con le conoscenze che ricollegano la sua mente allo stimolo che sino ad allora lo ha indotto a drogarsi. In secondo luogo, la pre-comunità si pone l’obiettivo di permettere ai propri ospiti un passaggio graduale tra la vita che hanno sempre condotto – spesso spericolata e caratterizzata dall’assenza di regole – e la durezza (fatta di norme rigide e rigorose) che incontrano quando entrano in comunità; il passaggio è traumatico ed esperienza insegna che ciò rischia di comportare la fuga del tossicodipendente dalla comunità, con l’ovvia conseguenza per cui il fuggitivo – ovviamente non pronto alla vita quotidiana – si sente inadeguato e ricomincia a far uso di droghe. Inoltre, vi è una terza funzione che questo centro di accoglienza si prefigge di svolgere, ovvero il sostegno che la struttura può offrire agli innumerevoli ragazzi che Luisa e Don Patrizio hanno assistito e mandato nelle varie comunità, con il fine del loro riadattamento alla vita “reale”. “Questo aspetto è importantissimo” – spiega Don Patrizio – “poiché le persone che completano il percorso di recupero offerto dalla comunità non dura meno di tre anni e, trascorso tale periodo, vogliono ripartire, ma si ritrovano senza lavoro, senza un/una compagno/a, senza amici (spesso ex tossicodipendenti o tossicodipendenti), senza uno scopo nella vita e con una famiglia diffidente e distante”. Così, la casa di accoglienza offrirebbe a queste persone un luogo in cui andare, un obiettivo in cui credere, delle attività da svolgere e li metterebbe in condizione di svolgere una funzione sociale, collaborando con Luisa e Don Patrizio per il perseguimento del nobile scopo. In conclusione, è evidente l’utilità e la necessità di questo progetto che vuol fronteggiare situazioni difficilissime, grazie all’aiuto di persone specializzate, quali sono – ed hanno dimostrato di essere – Luisa e Don Patrizio.
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