di Vito Zita
SIENA. Per meglio comprendere la portata e le possibili conseguenze degli accordi presi in sede di Consiglio europeo in questi giorni vale la pena di scrivere una sintesi storica del rapporto Debito Pubblico/PIL Italiano.
Il rapporto fra debito pubblico e PIL italiano, studiato sulle analisi della Banca d’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, ha seguito una strada di quasi costante crescita tranne per il decennio 1995-2007. La prima metà del XX secolo è caratterizzata dalle due Guerre Mondiali, che incidono in maniera drastica sul rapporto debito/PIL sia a seguito dell’aumento del debito, in larga parte finanziato tramite prestiti dall’estero, sia a causa del crollo del PIL. Il secondo dopoguerra vede ridursi in maniera significativa il peso del debito accumulato durante la Seconda Guerra Mondiale, grazie ad un effetto combinato di crescita economica ed elevata inflazione. Gli anni ’70, per cui disponiamo di dati più precisi e certi, sono caratterizzati da un aumento della spesa pubblica (32,7% del PIL nel 1970, 40,8% nel 1980), da progressivi disavanzi primari e da un rallentamento della crescita economica (3,4% di media all’anno), ma la crescita del rapporto debito/PIL è contenuta da un’inflazione a due cifre, che abbatte il valore reale del debito: nel 1980 il rapporto debito/PIL è pari al 55%.
L’evoluzione del rapporto debito/PIL e lo stock nominale del debito in milioni di euro, dal 1965, evidenzia le cinque fasi che, dal 1981 ad oggi, hanno inciso più profondamente sulla dinamica del debito pubblico: 1) il decennio 1980-1990, nel quale si sono susseguiti 9 Governi e il rapporto debito/PIL è cresciuto dal 56,3% (1981)al 91 ,7% (1990); 2) La Crisi del Sistema Monetario Europeo (1991-1994), durante la quale si sono susseguiti 4 Governi e il rapporto debito/PIL è cresciuto dal 94,9% (1991) al 117,2% (1994); 3) La riduzione nel periodo 1995-2007, durante la quale si sono susseguiti 8 Governi e il rapporto debito/PIL è calato dal 116,9% (1995) al 99,8% (2007); 4) La Grande Recessione (2008-2012), durante la quale si sono susseguiti 2 Governi e il rapporto debito/PIL è salito dal 102,4% (2008) al 123,4% (2012); 5). L’eredità del Whatever it takes (ad ogni costo) degli anni 2013-2018, periodo durante il quale si sono susseguiti 4 Governi e il rapporto debito/PIL è salito dal 129% (2013) al 134,8% (2018) e si prevede al 157% per il 2020.
Sono quattro le componenti che incidono sul rapporto debito/PIL: 1) Il tasso di crescita reale del PIL, che riduce il rapporto debito/PIL (all’aumentare del PIL aumenta il denominatore); 2) Il tasso di inflazione, che riduce il peso reale del debito (il debito è espresso in maniera nominale: un aumento dell’inflazione, aumentando il PIL nominale, riduce il rapporto debito/PIL); 3) Gli interessi da pagare sullo stock di debito; 4) Il disavanzo primario, ovvero la differenza fra uscite dello Stato al netto degli interessi ed entrate dello Stato (nel caso le entrate fossero superiori alle uscite di parla di avanzo primario): se è negativo e quindi le entrate superano le uscite esso contribuisce a ridurre il rapporto debito/PIL. È così possibile scomporre, per ogni periodo individuato, il peso che ogni singola componente ha avuto sulla variazione del rapporto debito/PIL.
Quella appena raccontata è la succinta storia del rapporto debito/PIL italiano, i cui strascichi necessariamente viviamo nella quotidianità attuale. Nozioni di base miseramente sconosciute o addirittura ignorate volutamente. Ma adesso quale futuro ci aspetta dopo gli accordi sofferti presi nel Consiglio europeo sul piano per la ripresa economica in Europa? L’Italia si è vista assegnare un totale di circa 209 miliardi di euro, dei quali 82 a fondo perduto e 127 di prestiti. Prestiti che devono essere rimborsati, con l’aggiunta di un tasso di interesse agevolato, entro il 2058 e si inizierà a farlo ancora all’interno dell’attuale esercizio di bilancio settennale, ossia prima del 2028. Aspetto interessante sono le modalità di rimborso, delle quali nessuno parla perché tutti sono concentrati su come spendere e quali riforme eseguire al vecchio motto “ce lo chiede l’Europa”. In definitiva, la restituzione avverrà con maggiori contributi nazionali degli Stati membri, una riduzione di rispettivi bilanci oppure attraverso nuove fonti di reddito.
La vera novità è invece la condivisione del debito, ovvero la Commissione europea può emettere titoli comuni sui mercati finanziari. Cosa che sta passando in secondo piano perché ci si affanna a tirare la giacchetta perché tutti vogliono avere la loro parte di quei 209 miliardi. Esiste però la condizionalità sui progetti e piani di riforme presentati dai singoli Paesi che illustrano come verranno impiegati le varie tranches da erogare. Progetti e riforme che saranno approvati sulla base di una maggioranza qualificata e non unicamente dal controllo diretto della Commissione europea. Ovvero ciò che è stato il terreno di scontro fra il premier olandese Rutte e gli altri chiamati in assemblea.
Come conciliare il vecchio debito accumulato con quello nuovo? Quanto inciderà sul rapporto debito/PIL? Dove, in definitiva, lo Stato italiano troverà le risorse per la restituzione di 127 miliardi più interessi? Quali saranno le riforme che dovranno essere affrontate? Domande tragiche che al momento non hanno risposte, ma solo ipotesi. E non sono per nulla piacevoli. Perché nessuno ha regalato niente e lo Stato deve necessariamente provvedere a rientrare delle somme che andrà a spendere per lo sviluppo economico dell’Italia. Più voci si alzano per chiedere adeguamenti normativi, spese finalizzate, sviluppo, competitività, posti di lavoro. L’unico obiettivo è spendere quando invece dovrebbero parlare di investimenti. La differenza non è banale ed è da scolari dover spiegare la differenza fra spesa e investimento.
La via d’uscita sarà sicuramente come lo stato investirà quella enorme massa di denaro, su quali progetti di investimento remunerativo che permetta il rimborso. Già perché sono tutti bravi a spendere, generando benefici momentanei e non strutturali di lungo periodo. Ed alla fine saranno gli italiani a rimanere con il cerino in mano e pagare il conto salato del prestito europeo. E la strada è già indicata da diverso tempo con soluzioni allo studio che risultano sospese in attesa del momento giusto, che sembra essere arrivato.
(Photo credits: reddit.com e oecd.org)