FIRENZE. “La Toscana ha una storia e un impegno sul fronte della cultura della legalità e della gestione di immobili confiscati di primissimo piano, basta citare il caso della Tenuta di Suvignano: 630 ettari, 17 poderi e, fortunatamente, la società regionale in house ‘Ente Terre’ che gestisce l’attività agricola. Pur non potendo beneficiare di alcun contributo siamo riusciti a mantenere in attività la tenuta, ma si tratta di impegni importanti nei quali le Regioni dovrebbero avere un sostegno dallo Stato, visto che come Regioni del nord non possiamo attingere ai fondi Pnrr”. Eugenio Giani interviene a proposito del meeting nazionale su beni confiscati in corso a Napoli, dove per la Toscana parla l’assessore alla cultura della legalità, Stefano Ciuoffo.
L’assessore, invoca strumenti più efficaci per la complessa gestione dei beni confiscati sui territori, in capo ai Comuni e, quindi, alle Regioni. “Ci sono casi di beni immobili confiscati e assegnati che, dopo anni di investimenti e di costi di gestione, tornano all’originario titolare. Le Regioni non possono essere lasciate sole: chiediamo all’Agenzia dei beni confiscati e quindi allo Stato un’ assunzione di garanzia”. Un sostegno che arrivi agli enti locali e alle Regioni che devono far fronte a quelli che Ciuoffo indica come “paradossi”, riferendosi sia ai beni immobili confiscati – “alle volte non costituiscono un valore per la comunità ma solo un corpo di reato” – sia alle attività economiche. “Occorrono nuovi strumenti a disposizione dell’Agenzia sia per avere la capacità di non tenere ‘in pancia’ gli immobili confiscati per periodi troppo lunghi sia perché, una volta assegnati ai Comuni, ci sono costi di ristrutturazione ai quali contribuiamo con spese alle volte superiori a quelle che dovremmo sostenere con la demolizione e ricostruzione”.
Ciuoffo riferisce anche casi di acquisizione di attività economiche “Spesso del tutto anomale, nate come attività di riciclaggio e quindi senza un rapporto equilibrato tra costi e ricavi: metterle in affidamento significa da un lato dover dimostrare che quando arriva lo Stato non si chiude un’azienda e non si perdono posti di lavoro, ma anche dover gestire in prima persona come enti pubblici, con il rischio di alimentare l’opinione che si tratti di carrozzoni di Stato che stanno in piedi solo perché assistiti e non con il mercato”.