Per la candidata di "Emanuele Montomoli sindaco" vanno "ripensate le modalità di assistenza"
SIENA. Sono trascorsi più di quarant’anni da quando la legge 180 meglio conosciuta come legge Basaglia, chiuse definitivamente gli istituti manicomiali “liberando” migliaia di malati psichiatrici togliendoli da una spesso ingiusta e disumana “detenzione”. La chiusura delle strutture manicomiali, se è vero che ha ridato dignità alla vita dei pazienti psichiatrici, ha lasciato al tempo stesso un vuoto non sufficientemente colmato dalle istituzioni che si occupano della presa in carico dei malati psichici. Il Dipartimento di Salute Mentale della Usl si è trovato così a gestire migliaia di pazienti con scarse risorse economiche, carenze di professionisti, limitate strutture residenziali.
Lo testimonia il PNRR dove il finanziamento per la Sanità e il Sociale è meno del 10% e il DM 77/2022 nel quale la Salute Mentale nemmeno esiste. In questo quadro ogni critica dovrebbe partire dalla domanda ” abbiamo ancora una costituzione vivente che sostiene un welfare pubblico universale?
“In questo scenario inutile dire che le famiglie inevitabilmente diventano il punto d’appoggio per la cura e la tutela del malato mentale – spiega Valentina Cappelli, candidata nella lista “Emanuele Montomoli Sindaco” -. Ma a quale prezzo? É chiaro che rimpiangere i vecchi manicomi non sia la soluzione. Vanno però ripensate le modalità di assistenza alle famiglie, lasciate troppo sole rispetto alle innumerevoli problematiche che ruotano intorno al disagio mentale.
E’ la solitudine delle famiglie il vero nemico da combattere. L’elemento terzo dell’istituzione, oggi deficitaria e sempre più sostituita da forme assistenziali privatistiche, è quanto mai necessario per il recupero di una distanza minima e salutare fra i familiari, schiacciati sempre di più dal peso delle reciproche difficoltà assistenziali.
“Perché a differenza di altre malattie -prosegue Cappelli – la malattia mentale spesso non concede tregua, a volte non consente una vita familiare degna di questo nome, poiché può essere molto distruttiva. Bisogna quindi aiutare le famiglie, ma come? Prima di tutto con un’informazione semplice e alla portata di tutti, che tocchi i diversi aspetti legati alla patologia psichiatrica, spiegazione sui sintomi, i farmaci in uso, gli aspetti terapeutici e riabilitativi, l’accesso ai servizi pubblici”.
Un secondo passo potrebbe essere quello di organizzare dei gruppi di familiari, dove condividere la loro esperienza, le loro sofferenze e apprendere dai terapeuti modalità nuove e diverse di rapportarsi con la malattia, sostenendoli nel difficile cammino verso la riabilitazione.
“Occorre poi impedire le nuove cronicizzazioni – spiega Valentina Cappelli – salvare i giovani che si ammaleranno domani, mediante la costituzione di una nuova psichiatria di territorio incisiva, capillare, dotata di tutte le risorse necessarie, umane, strutturali, economiche, in grado così di coinvolgere le famiglie per una proficua collaborazione, che possa offrire al malato il supporto necessario fino a quando non avrà potuto raggiungere una sufficiente autonomia, o la guarigione. Per questo motivo le Associazioni di Familiari dovrebbero essere ricostituite nella nostra città, perché a questo dovrebbero servire: per condividere la sofferenza, uscire dalla solitudine, lo scoprire di non essere soli, il constatare anche presso altri lo stesso tipo di condizione e di dolore è di per sé un fatto terapeutico. Le famiglie dovrebbero essere una presenza vigile a fianco dei servizi, e non in modo solo rivendicativo ma come tramite di cultura e risorsa con cui collaborare attivamente, una rappresentanza presso le istituzioni e un collegamento con le altre associazioni del territorio. Credo fermamente che i familiari organizzati possano essere una vera e propria risorsa, che deve essere sempre più valorizzata e che in questi tempi di ristrettezza può dare molto in un percorso vicino a quello dei servizi pubblici”.