di Enrico Campana
SIENA. Sono le 17 di mercoledì 15 luglio quando i tam tam del basket informano che la trattativa per la Virtus è definitivamente conclusa. Ma non come tutti speravano, e come purtroppo si era già intuito il 14 luglio con l’allungamento (l’ennesimo) dei tempi di altre 24 ore per il deposito delle garanzie su Roma, tramite i buoni uffici del Credito Sportivo, che ha finanziato l’acquisto del palasport di Casalecchio (oggi Futurstation Show Arena), e quindi, in pratica, destinataria della prima trance (o deposito cauzionale) di 6 milioni di euro
Il comunicato ufficiale finisce in rete sul sito www.virtusbasket.it solo in serata. E recita così: “Virtus Pallacanestro Bologna informa che la Società International Business Assets IBA S.a., che ha stipulato in data 13 luglio 2009 un contratto di deposito vincolato per l’acquisizione del pacchetto della società, non ha rispettato le condizioni previste per l’apertura del conto e versamento entro il 15 luglio, chiedendo l’ennesima proroga dei termini per il deposito cauzionale di 6 milioni di euro. Preso atto del mancato rispetto delle clausole pattuite, Virtus Pallacanestro Bologna ritiene definitivamente conclusa la trattativa in corso e risolto il contratto siglato in data 13 luglio”
La telenovela dell’estate del basket finisce in modo sconcertante, anche se era nell’aria per i caratteri delle parti in commedia, i percorsi motivazionali e le storie diverse, e molti lati oscuri e il peso delle briscole nelle mani di due parti, che per settimane hanno ingaggiato un duello più che una vera trattativa. Forse aveva ragione il proprietario della Virtus facendo intendere che le garanzie richieste presentavano zone d’ombra, come la natura societaria del gruppo, una S.a. (una società anonima). Si va a comperare la Juve del basket, 9 milioni di costo più altri 5 per costruire la squadra, quasi 30 miliardi delle vecchie lire, con una semplice S.a.? E’ anche possibile che i pretendenti abbiano voluto farsi pubblicità o, nella migliore delle ipotesi, abbiano peccato d’impreparazione, commettendo l’errore di non chiarire bene fin dapprincipio lo spessore della propria compagine, le motivazioni, i vertici del team. Per cui di volta in volta sono entrati in scena figure poco rappresentative. Queste lacune hanno dato spago al proprietario nel suo tormentatone “vendo, non vendo…”, e il segnale che la trattativa era definitivamente chiusa è arrivata ancor prima del comunicato, quando nel giro del mercato si è saputo che la Virtus ricontattava tutti gli agenti e gli operatori per informare: “si torna indietro”.
Chi sono questi acquirenti (con la a minuscola di “anonima”…) che sono prima in due, poi in tre, quindi in quattro, tornano da una missione in Svizzera e consegnano una garanzia di credito di 6 milioni di un istituto bancario, fanno una conferenza stampa pubblica per spiegare che i soldi ci sono e che loro andranno in fondo? E perché il proprietario ha firmato l’impegnativa il 13 luglio, quando era già in possesso delle informazioni e poi per la seconda volta ha detto definitivamente no?
Il mistero non è legato al quantum, avendo accettato senza battere ciglio il (velato) gruppo acquirente di pagare 9 milioni, 6 come garanzia e 3 a conclusione della trattativa, una cifra che – ho scritto più volte – è da considerarsi un affare da Guinness, alla luce dei 5 milioni pagati da Armani per Milano e in un quadro economico fosco, vedi anche quello che succede nel calcio con Milan, la richiesta di Cardia di escludere il calcio dalla borsa e i provvedimenti della Covisoc che segnano il fallimento di diversi club. E venendo alle pretese del venditore per quel rifiuto di 3000 abbonati su 4500 di acquistare l’abbonamento per i playoff, quindi una perdita del 60 per cento dell’azionariato, e parimenti la cifra del suo declassamento economico.
Il nodo gordiano era certamente legato al vaglio del documento di credito, a qualche lato oscuro che poteva diventare una crepa pericolosa per il futuro (ad esempio, si parla di un socio protestato del gruppo acquirente), e parlare di “scadenza dei termini” è solo una scappatoia legale per giustificare la mesta ritirata.
Si è perso del tempo, questo dimostra che il basket (parlo della Lega) ha bisogno di un commissioner, meglio se un legale, in quanto vicende simili non riguardano solo un proprietario e i privati, ma anche la credibilità del movimento. Adesso gli acquirenti devono spiegare fin dove c’è ingenuità e fin dove volevano e potevano spingersi, mentre l’attuale proprietà non ha bisogno di chiedere il perdono ai tifosi che hanno scritto nei giorni una lettera pubblica che circola in rete per spiegare che lo stile Virtus non c’è più, e che non acquisteranno gli abbonamenti.
Un ultimo sguardo al sito delle “V nere”, e in sottofondo l’inno del club esaspera questa storia: “La città impazzita che spera e soffre insieme a vooooooiiiiiiiiii…”. Sulle radio bolognesi il motivetto diventerà il tormentone dell’estate cercando una verità più semplice di quel che appare, mentre l’attenzione adesso è sulla riapertura della campagna abbonamenti. I tifosi revocheranno l’embargo, ma a quali condizioni?
Intanto il basket incassa un altro primato: va su “Scherzi a Parte”.
SIENA. Sono le 17 di mercoledì 15 luglio quando i tam tam del basket informano che la trattativa per la Virtus è definitivamente conclusa. Ma non come tutti speravano, e come purtroppo si era già intuito il 14 luglio con l’allungamento (l’ennesimo) dei tempi di altre 24 ore per il deposito delle garanzie su Roma, tramite i buoni uffici del Credito Sportivo, che ha finanziato l’acquisto del palasport di Casalecchio (oggi Futurstation Show Arena), e quindi, in pratica, destinataria della prima trance (o deposito cauzionale) di 6 milioni di euro
Il comunicato ufficiale finisce in rete sul sito www.virtusbasket.it solo in serata. E recita così: “Virtus Pallacanestro Bologna informa che la Società International Business Assets IBA S.a., che ha stipulato in data 13 luglio 2009 un contratto di deposito vincolato per l’acquisizione del pacchetto della società, non ha rispettato le condizioni previste per l’apertura del conto e versamento entro il 15 luglio, chiedendo l’ennesima proroga dei termini per il deposito cauzionale di 6 milioni di euro. Preso atto del mancato rispetto delle clausole pattuite, Virtus Pallacanestro Bologna ritiene definitivamente conclusa la trattativa in corso e risolto il contratto siglato in data 13 luglio”
La telenovela dell’estate del basket finisce in modo sconcertante, anche se era nell’aria per i caratteri delle parti in commedia, i percorsi motivazionali e le storie diverse, e molti lati oscuri e il peso delle briscole nelle mani di due parti, che per settimane hanno ingaggiato un duello più che una vera trattativa. Forse aveva ragione il proprietario della Virtus facendo intendere che le garanzie richieste presentavano zone d’ombra, come la natura societaria del gruppo, una S.a. (una società anonima). Si va a comperare la Juve del basket, 9 milioni di costo più altri 5 per costruire la squadra, quasi 30 miliardi delle vecchie lire, con una semplice S.a.? E’ anche possibile che i pretendenti abbiano voluto farsi pubblicità o, nella migliore delle ipotesi, abbiano peccato d’impreparazione, commettendo l’errore di non chiarire bene fin dapprincipio lo spessore della propria compagine, le motivazioni, i vertici del team. Per cui di volta in volta sono entrati in scena figure poco rappresentative. Queste lacune hanno dato spago al proprietario nel suo tormentatone “vendo, non vendo…”, e il segnale che la trattativa era definitivamente chiusa è arrivata ancor prima del comunicato, quando nel giro del mercato si è saputo che la Virtus ricontattava tutti gli agenti e gli operatori per informare: “si torna indietro”.
Chi sono questi acquirenti (con la a minuscola di “anonima”…) che sono prima in due, poi in tre, quindi in quattro, tornano da una missione in Svizzera e consegnano una garanzia di credito di 6 milioni di un istituto bancario, fanno una conferenza stampa pubblica per spiegare che i soldi ci sono e che loro andranno in fondo? E perché il proprietario ha firmato l’impegnativa il 13 luglio, quando era già in possesso delle informazioni e poi per la seconda volta ha detto definitivamente no?
Il mistero non è legato al quantum, avendo accettato senza battere ciglio il (velato) gruppo acquirente di pagare 9 milioni, 6 come garanzia e 3 a conclusione della trattativa, una cifra che – ho scritto più volte – è da considerarsi un affare da Guinness, alla luce dei 5 milioni pagati da Armani per Milano e in un quadro economico fosco, vedi anche quello che succede nel calcio con Milan, la richiesta di Cardia di escludere il calcio dalla borsa e i provvedimenti della Covisoc che segnano il fallimento di diversi club. E venendo alle pretese del venditore per quel rifiuto di 3000 abbonati su 4500 di acquistare l’abbonamento per i playoff, quindi una perdita del 60 per cento dell’azionariato, e parimenti la cifra del suo declassamento economico.
Il nodo gordiano era certamente legato al vaglio del documento di credito, a qualche lato oscuro che poteva diventare una crepa pericolosa per il futuro (ad esempio, si parla di un socio protestato del gruppo acquirente), e parlare di “scadenza dei termini” è solo una scappatoia legale per giustificare la mesta ritirata.
Si è perso del tempo, questo dimostra che il basket (parlo della Lega) ha bisogno di un commissioner, meglio se un legale, in quanto vicende simili non riguardano solo un proprietario e i privati, ma anche la credibilità del movimento. Adesso gli acquirenti devono spiegare fin dove c’è ingenuità e fin dove volevano e potevano spingersi, mentre l’attuale proprietà non ha bisogno di chiedere il perdono ai tifosi che hanno scritto nei giorni una lettera pubblica che circola in rete per spiegare che lo stile Virtus non c’è più, e che non acquisteranno gli abbonamenti.
Un ultimo sguardo al sito delle “V nere”, e in sottofondo l’inno del club esaspera questa storia: “La città impazzita che spera e soffre insieme a vooooooiiiiiiiiii…”. Sulle radio bolognesi il motivetto diventerà il tormentone dell’estate cercando una verità più semplice di quel che appare, mentre l’attenzione adesso è sulla riapertura della campagna abbonamenti. I tifosi revocheranno l’embargo, ma a quali condizioni?
Intanto il basket incassa un altro primato: va su “Scherzi a Parte”.