di Enrico Campana
SIENA. “Dobbiamo metterci in testa che il mondo del basket e volley è un mondo a sé, e con una serie di imprenditori che ci mettono soldi di tasca propria chi per immagine personale,chi per ritorni economici, chi per mecenatismo. Questi si dimenticano magari di come gestiscono la loro azienda quando si occupano sport, ma benediciamoli tutti”.
Un presidente leader degli sport alternativi al calcio mi fa con toni accorati questo ragionamento quando gli chiedo se gli investitori abbiano grosse responsabilità nei problemi di questo sport. Accolgo l’invito a “non sparare sul pianista,” lascio stare il volley che sta forse meglio del basket in quanto a nazionale, movimento femminile, numeri, ma le cui cifre del campionato sono nettamente inferiori. E il volley non è correlato a una NBA, movimento non certo inferiore come fenomeno economico-commerciale alle grandi leghe calcistiche. Una NBA dove noi siamo rappresentati da ben 3 giocatori, “mago” Bargnani, il romano nuova star dei Toronto Raptors, il Rocky dei Warrior di San Francisco, il bolognese Marco Belinelli, e il milanese Danilo Gallinari uscito dal roster dei mitici Knicks per l’operazione alla schiena. Significa aver perso elementi di spettacolo e di traino.
Il campionato-spaghetti ha ormai un suo zoccolo duro come interesse e pubblico, ma non riesce a essere un media di tendenza e di costume, e i giovani fans preferiscono la NBA. Sarà colpa dei giornali, ma se Repubblica, testata giovanilista e di costume sociale, attenta ai nuovi tempi e alle nuove idee, al trend, alla fenomenologia dei cambiamenti confina ogni giorno il basket nel taccuino dello sport – salvo qualche “pastoncino” (in gergo giornalistico) di commento al campionato – è chiaro che scatta l’effetto-domino. Ad ogni livello si afferma (a torto, a ragione?) che il basket non tira (ironia della sorte: il tiro è la finalità del gioco), si è globalizzato fuori e si è ristretto dentro. Tempo fa mi chiedevano perché ho lasciato volontariamente la direzione di Superbasket (ormai tanti anni fa), ho risposto che le ragioni erano due: Alfredo Cazzola, personaggio di grande inventiva e determinazione degno di un Colleoni e che oggi corre per la poltrona di sindaco di Bologna con probabilità di scardinare gli schemi della politica, stava per dismettere la sua area editoriale di sport. Non mi interessava entrare in un sistema della stampa un tanto al chilo, e inoltre stava esplodendo Internet. Un mio giovane redattore esperto di NBA mi raccontava di notti passate sulla rete e da Acquario doc, sempre pronto a vivere nel futuro, avevo capito che il campionato italiano era schiacciato nella morsa fra il calcio italiano e la NBA, e che i futuri lettori sarebbero stati questi surfers del basket, e quindi un settimanale in edicola al martedì con le cronache della domenica non avrebbe avuto più senso. E anche, terza cosa, c’era una terribile mancanza di sense of humor. Cazzola mi raccontava che ad ogni seduta di Lega, organismo del quale era presidente, c’erano due-tre società chesi avvicinavano per i miei scritti. Me ne andai quando due di questi club, guarda caso in occasione di uno scontro diretto, srotolarono in mio onore uno striscione che nemmeno Maradona o Pelè hanno mai avuto. In qualsiasi consesso civile mi sarebbero arrivate come minimo delle scuse, la magistratura archiviò invece con un'alzata di spalle. Il dossier, con tanto di foto, frasi, testimonianze, l’ho regalato all’archivio dell’ordine dei Giornalisti, caso mai volesse occuparsi dei rischi che corrono ormai molti colleghi entrando in un luogo di sport, e quale sia tutelata la cosiddetta libertà d’espressione e d’opinione.
Un sistema che non permette alle opinioni di circolare è chiuso, si morde le coda. E si ritrova, in questo momento, fra le mani la patata bollente del rinnovo del contratto Sky. Una volta il basket aveva i santi in paradiso, grazie a De Michelis lucrava dalla Rai l’anticipo Tv del sabato (2° tempo e salotto) e 11 miliardi di lire. Non pago, ne voleva di più, di più e alla scadenza si ritrovò con un genio (vero, detto con stima) del marketing e della pubblicità quale presidente (Giulio Malgara) e dovette accettare il rinnovo del contratto all’80 per cento in meno. Il penultimo presidente di Lega, Franco Corrado, se n’è andato mesi fa dichiarando che “ciascuno pensava al proprio orticello e non al movimento” e raccontando che aveva già raggiunto un accordo con Sky per un rinnovo sulla base di 3 milioni di euro.
Il rinnovo del contratto è stato tirato troppo in lungo, e il brodo dei canestri è meno saporito e sfortuna vuole che la crisi economica significhi revisione dei costi. Siena ha fatto corsa a sé, la stessa Siena è andata fuori dalle Final Four. Milano che per i dati sarebbe il club più amato ha cominciato male, idem la Fortezza, mentre la Benetton aveva programmato un cambio d’impostazione all’inizio non facile. La Fortitudo è sull’orlo della retrocessione (ma scommetto che resterà in A-1), la Snaidero praticamente è già in Lega Due con entrambi i piedi. Come non bastasse lo stop d’ufficio a Napoli e Capo d’Orlando, Firenze ha subito un’altra retrocessione, idem Cagliari in B nazionale. Insomma, chiudere un contratto lucrativo con Sky è teoricamente più difficile. Anche perché Sky con Fiorello e la Cuccarini punta – per arrivare a 6 milioni – a ingaggiare le star della Tv generalista, e questo dimostra che lo sport tira meno, a cominciare dal “dio calcio”. E il basket territoriale, delocalizzato, trova un interlocutore che può sorvolare sulla conflittualità, sulle eterne piccole beghe, sulla disparità di forze e investimenti.
E forse non ha più i santi protettori di una volta, e in network commerciale di alta qualità tecnologica, professionale e di contenuti, dove bisogna rispettare i gusti dei 4,8 milioni di abbonati, in tempi come questi si deve ragionare sugli ascolti. E non capisco come mai questi ascolti non vengano divulgati: per amor patrio, o per imbarazzo, o per ragione di privacy?. Insomma, fila il ragionamento di un esperto che mi spiega che “il prezzo non lo decide chi vende o acquista ma il mercato”, invitandomi a dare una letta ai tabulati di Sky.
Sono un cronista curioso, e non un detective, perciò lascio questa incombenza a qualche altro giovane collega, augurandomi una svolta positiva. Ci vuole un atto d’umiltà, e soprattutto un marketing dei club sul prodotto e lancio di iniziative per nuovi abbonati, magari con un traguardo da raggiungere.
Perché registrare dai 50 ai 100 mila contatti per gara, significa investire su una “splendida minoranza”, ribadisco l’aggettivo e pure il sostantivo.
SIENA. “Dobbiamo metterci in testa che il mondo del basket e volley è un mondo a sé, e con una serie di imprenditori che ci mettono soldi di tasca propria chi per immagine personale,chi per ritorni economici, chi per mecenatismo. Questi si dimenticano magari di come gestiscono la loro azienda quando si occupano sport, ma benediciamoli tutti”.
Un presidente leader degli sport alternativi al calcio mi fa con toni accorati questo ragionamento quando gli chiedo se gli investitori abbiano grosse responsabilità nei problemi di questo sport. Accolgo l’invito a “non sparare sul pianista,” lascio stare il volley che sta forse meglio del basket in quanto a nazionale, movimento femminile, numeri, ma le cui cifre del campionato sono nettamente inferiori. E il volley non è correlato a una NBA, movimento non certo inferiore come fenomeno economico-commerciale alle grandi leghe calcistiche. Una NBA dove noi siamo rappresentati da ben 3 giocatori, “mago” Bargnani, il romano nuova star dei Toronto Raptors, il Rocky dei Warrior di San Francisco, il bolognese Marco Belinelli, e il milanese Danilo Gallinari uscito dal roster dei mitici Knicks per l’operazione alla schiena. Significa aver perso elementi di spettacolo e di traino.
Il campionato-spaghetti ha ormai un suo zoccolo duro come interesse e pubblico, ma non riesce a essere un media di tendenza e di costume, e i giovani fans preferiscono la NBA. Sarà colpa dei giornali, ma se Repubblica, testata giovanilista e di costume sociale, attenta ai nuovi tempi e alle nuove idee, al trend, alla fenomenologia dei cambiamenti confina ogni giorno il basket nel taccuino dello sport – salvo qualche “pastoncino” (in gergo giornalistico) di commento al campionato – è chiaro che scatta l’effetto-domino. Ad ogni livello si afferma (a torto, a ragione?) che il basket non tira (ironia della sorte: il tiro è la finalità del gioco), si è globalizzato fuori e si è ristretto dentro. Tempo fa mi chiedevano perché ho lasciato volontariamente la direzione di Superbasket (ormai tanti anni fa), ho risposto che le ragioni erano due: Alfredo Cazzola, personaggio di grande inventiva e determinazione degno di un Colleoni e che oggi corre per la poltrona di sindaco di Bologna con probabilità di scardinare gli schemi della politica, stava per dismettere la sua area editoriale di sport. Non mi interessava entrare in un sistema della stampa un tanto al chilo, e inoltre stava esplodendo Internet. Un mio giovane redattore esperto di NBA mi raccontava di notti passate sulla rete e da Acquario doc, sempre pronto a vivere nel futuro, avevo capito che il campionato italiano era schiacciato nella morsa fra il calcio italiano e la NBA, e che i futuri lettori sarebbero stati questi surfers del basket, e quindi un settimanale in edicola al martedì con le cronache della domenica non avrebbe avuto più senso. E anche, terza cosa, c’era una terribile mancanza di sense of humor. Cazzola mi raccontava che ad ogni seduta di Lega, organismo del quale era presidente, c’erano due-tre società chesi avvicinavano per i miei scritti. Me ne andai quando due di questi club, guarda caso in occasione di uno scontro diretto, srotolarono in mio onore uno striscione che nemmeno Maradona o Pelè hanno mai avuto. In qualsiasi consesso civile mi sarebbero arrivate come minimo delle scuse, la magistratura archiviò invece con un'alzata di spalle. Il dossier, con tanto di foto, frasi, testimonianze, l’ho regalato all’archivio dell’ordine dei Giornalisti, caso mai volesse occuparsi dei rischi che corrono ormai molti colleghi entrando in un luogo di sport, e quale sia tutelata la cosiddetta libertà d’espressione e d’opinione.
Un sistema che non permette alle opinioni di circolare è chiuso, si morde le coda. E si ritrova, in questo momento, fra le mani la patata bollente del rinnovo del contratto Sky. Una volta il basket aveva i santi in paradiso, grazie a De Michelis lucrava dalla Rai l’anticipo Tv del sabato (2° tempo e salotto) e 11 miliardi di lire. Non pago, ne voleva di più, di più e alla scadenza si ritrovò con un genio (vero, detto con stima) del marketing e della pubblicità quale presidente (Giulio Malgara) e dovette accettare il rinnovo del contratto all’80 per cento in meno. Il penultimo presidente di Lega, Franco Corrado, se n’è andato mesi fa dichiarando che “ciascuno pensava al proprio orticello e non al movimento” e raccontando che aveva già raggiunto un accordo con Sky per un rinnovo sulla base di 3 milioni di euro.
Il rinnovo del contratto è stato tirato troppo in lungo, e il brodo dei canestri è meno saporito e sfortuna vuole che la crisi economica significhi revisione dei costi. Siena ha fatto corsa a sé, la stessa Siena è andata fuori dalle Final Four. Milano che per i dati sarebbe il club più amato ha cominciato male, idem la Fortezza, mentre la Benetton aveva programmato un cambio d’impostazione all’inizio non facile. La Fortitudo è sull’orlo della retrocessione (ma scommetto che resterà in A-1), la Snaidero praticamente è già in Lega Due con entrambi i piedi. Come non bastasse lo stop d’ufficio a Napoli e Capo d’Orlando, Firenze ha subito un’altra retrocessione, idem Cagliari in B nazionale. Insomma, chiudere un contratto lucrativo con Sky è teoricamente più difficile. Anche perché Sky con Fiorello e la Cuccarini punta – per arrivare a 6 milioni – a ingaggiare le star della Tv generalista, e questo dimostra che lo sport tira meno, a cominciare dal “dio calcio”. E il basket territoriale, delocalizzato, trova un interlocutore che può sorvolare sulla conflittualità, sulle eterne piccole beghe, sulla disparità di forze e investimenti.
E forse non ha più i santi protettori di una volta, e in network commerciale di alta qualità tecnologica, professionale e di contenuti, dove bisogna rispettare i gusti dei 4,8 milioni di abbonati, in tempi come questi si deve ragionare sugli ascolti. E non capisco come mai questi ascolti non vengano divulgati: per amor patrio, o per imbarazzo, o per ragione di privacy?. Insomma, fila il ragionamento di un esperto che mi spiega che “il prezzo non lo decide chi vende o acquista ma il mercato”, invitandomi a dare una letta ai tabulati di Sky.
Sono un cronista curioso, e non un detective, perciò lascio questa incombenza a qualche altro giovane collega, augurandomi una svolta positiva. Ci vuole un atto d’umiltà, e soprattutto un marketing dei club sul prodotto e lancio di iniziative per nuovi abbonati, magari con un traguardo da raggiungere.
Perché registrare dai 50 ai 100 mila contatti per gara, significa investire su una “splendida minoranza”, ribadisco l’aggettivo e pure il sostantivo.