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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la Campana. Pianigiani non può aspettare Godot?

di Enrico Campana
SIENA. Simone Pianigiani, ct della Nazionale di basket, attende senza fretta la fine della stagione Nba per fare il punto della situazione con Andrea Bargnani, Marco Belinelli e Danilo Gallinari, in vista degli impegni estivi della selezione azzurra. A Bari, ad agosto, l’Italia sarà impegnata nelle qualificazioni agli Europei.
“Aspettiamo e vediamo – dice Pianigiani, a margine del seminario sugli sport di squadra organizzato dal Coni -. Dovremo valutare la situazione con i ragazzi, in base alle loro condizioni. Tutti, ad ogni modo, tengono alla maglia azzurra. Ogni ct desidera avere a disposizione il maggior numero possibile di giocatori e questo vale anche per me. Devo ancora parlare con loro, ma, ripeto, tutti hanno sempre mostrato di tenere all’azzurro”
Riporto questa notizia d’agenzia pubblicata il 14 aprile da www.sportevai.it  e come suo estimatore della prima ora, cosa che mi consente anche di criticarlo (per il suo bene, prima che per una dialettica che, al di fuori del suo ambito, non può essere negata a chicchessia..)  dissento  – come Grillo Parlante – dall’approccio mentale che sull’argomento “italians NBA”  Simone Pianigiani  sta tenendo nei giorni precedenti il debutto di CT.
E’ infatti  in questa vigilia che dovrà vincere la sua prima gara e dalle prime  mosse  che farà di “si parrà sua nobilitate”. Il capitolo riguarda il trio Bargnani, Gallinari e Belinelli, la cui stagione, almeno per i primi due, è largamente positiva anche se le loro performances non hanno compensato i problemi delle rispettive squadre, che i playoff li vedranno forse col binocolo. Mai un neo CT – dopo Giancarlo Primo – ha avuto tanti padri tanto forti. C’è ovviamente il suo Mentore per antonomasia, poi un Dino Meneghin riconvertitosi (opportunamente) al “pianigianismo”, e quindi adesso più realista del re, ma fortunamente l’ex figurante della Lupa ha conquistato anche Gianni Petrucci, al quale piacciono le persone in giacca e cravatta, di stile, come “Supersimo” e il quale (parliamo sempre del “papa” del CONI)  manda a dire ripetutamente che le sue eccezioni riguardavano solo il part-time, non certo la persona, i titoli e così via. Ah, sì?…
Questo approccio al problema è fondamentale, soprattutto perché mi sembra che ci sia un “laissez faire”  troppo fiducioso, se non pericoloso, del tipo “sono sicuro che tanto lo fanno gli altri”. Intanto, deve capire due “pregiudiziali” sfumatissime:
1) il  suo part-time è una sorta di contratto ad honorem, scontato per i titoli, anche se c’è  in realtà anche il biennale reale di due, ma non basta essere un coach col più del 90 per cento di vittorie quando si è a digiuno  di titoli internazionali; non ha fatto trafila, per cui verrebbe crocifisso  in questo paese ondivago se non riuscisse a riportare l’Italia ai vertici
2) ha allenato squadre eccellenti, ma all star, senza un forte nocciolo italiano, la sua esperienza con i giocatori italiani è mediata attraverso convinzioni, stima e così via.
Attenzione, caro Simo, che gli “amici”  – quando piove – sono come gli ombrelli, scompaiono.  Scrivo queste cose  anche perché ho saputo da un serissimo professionista del settore di ritorno dagli Stati Uniti – il quale non parlava con lingua biforcuta – che  “Gallinari è più no che sì”, fortemente indeciso.  Va rispettata qualsiasi decisione prenda. Fa più marketing lui che tante pompose epopee. O meglio: bisogna incoraggiarlo,  essere accomodanti, se occorre, sostenerlo se decide di presentarsi al raduno venendo il carismatico ragazzo da un anno terribile.
Queste le varie tappe, per sommi capi. Intanto, la scelta contrastata dei Knicks, fra scetticismo e sfottò: “Mike e Danilo sarebbero un ottima insegna per una pizzeria italiana a New York”, scrisse il più puntuto opinionista NBA la scorsa estate. Poi lo stop e l’operazione alla schiena, quindi il recupero e la necessità di conquistare il posto in campo in una squadra in cui la componente black-power difende il suo territorio, è diffidente con l’uomo bianco, specie se straniero. Ma se decidesse per il no, va compreso.
Il motivo dei suoi dubbi forse sarebbero già superati, se si fosse preparato un piano ad hoc per il rilancio della nazionale, magari discutendone con i diretti interessati, invece dei mesi persi fra la conferma di Recalcati, l’impeachment dello stesso, il valzer delle candidature e la scelta di Pianigiani sulle prime estranee alle logiche del palazzo (romano), ma già  punto fisso nelle strategie di quelle senesi, come si udiva dal canto delle chiarine ufficiali.
Come il sottoscritto, gli azzurri  NBA forse non riescono a concepire come in una civiltà competitiva si sia gettata al vento l’opportunità di andare ai mondiali grazie alla wild card, per credere che la qualificazione per l’europeo, l’amore per la maglia azzurra, i giovani ti guardano, un allenatore giovane e capace di dare 30 punti a tutti, e così  via siano molle sufficienti a convincere un giovane campione a rischiare la carriera, non avendo, come i tre,  ancora una maturità per gestirsi come un Parker o un Gasol.
Gallinari, siamo chiari,  è il vero leader, non certo Bargnani con tutto il rispetto col Mago che, da parte sua, un po’ di diffidenza negli allenatori adesso dovrebbe provocarla,  dopo lo scherzetto che ha combinato a un volpone come Carlo Recalcati, dichiarando ai microfoni di Sky,  in seguito  alla disfatta estiva (l’Italia è finita dietro a Francia e Belgio), che lui c’era, avrebbe voluto fare meglio, che l’atmosfera dentro la squadra era ottima ma che nessuno gli diceva cosa doveva fare..
Mah, a parte che Pianigiani è alla sua prima esperienza, si deve costruire un feeling, e che Meneghin ha ormai a sua volta un approccio con questi problemi da presidente e non più da team-manager, da saggio zio, e giustamente non deve farsene carico direttamente, mi racconta un altro  serio professionista di basket di aver scambiato quattro chiacchiere a  Toronto col Mago. Il quale – saputo che Pianigiani vorrebbe farlo giocare pivot – si sarebbe  già impaurito con la prospettiva di dover sostenere  questo ruolo poco congeniale al suo modo di giocare, fronte a canestro. Sotto canestro si prendono tante botte, soprattutto nelle tonnare europee. Che saranno ancor più “crudeli” con il nuovo regolamento che dal 1° luglio oltre all’arretramento del tiro da 3, le linee delle rimesse, lo stop dell’orologio sui 24”, prevede la creazione di una specie di terra di nessuno, un cerchio a 1,25 metri dal canestro dove attaccante e difensore potranno combattere di gomiti, con piglio gladiatorio, per evitare quei fischi scientifici degli arbitri di cui sono specialisti alcuni fischietti-chirurghi del nostro campionato, che hanno deciso nell’ultimo quinquennio più di una gara grazie all’enorme discrezionalità.
Non dimentico, su questi (presunti) timori del Mago Buono, che l’anno scorso  il CT Recalcati, ancor prima del raduno azzurro, mi raccontò che la squadra azzurra gli aveva chiesto di convincere Shaun Stoonerook, e per primo proprio il Mago. Serve un pivot vero, per togliere le castagne dal fuoco a chi deve rafforzarsi la corazza, anche dal punto di vista tecnico oltre che fisico. Se Stoneorok dice no, basterà Mason Rocca?
Mi inquieta che a due mesi o poco più dall’adunata Simone dichiari candidamente: “Devo ancora parlare con loro, ma, ripeto, tutti hanno sempre mostrato di tenere all’azzurro”. Ma cosa aspetta, dico io? Forse  l’arrivo di Godot? Nella commedia dell’assurdo di Samuel Beckett, Vladimiro-Didi ed Estragone-Gogo stanno aspettando su una spoglia strada di campagna un "certo Signor Godot". Dietro di loro un albero triste e solitario indica il passare dei giorni col cambio delle foglie. Ma questo Godot non appare mai, manda invece dai due vagabondi, un ragazzo per far sapere che "oggi non verrà, ma che verrà domani". I due uomini nel frattempo si lamentano del loro stato esistenziale, pensano di separarsi ma sono in fondo l'uno dipendente dall'altro, solo che sciupano il tempo invece di risolvere il problema cercando personalmente questo signor Godot.
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