di Enrico Campana
SIENA. Vengo sollecitato e pungolato da diversi lettori allo scopo di tentare di spiegare le ragioni e le dinamiche alla base dell’escalation di Siena, essendo ritenuto a vari livelli un esegeta documentato, libero e intellettualmente onesto. Il coraggio è un’altra cosa. Il coraggio è insito, un valore intrinseco di certe professioni, come quelle del giornalista. Questo vale anche per i giornalisti di sport, nel cui mondo sono sempre più frequenti episodi di cronaca nera e giudiziaria: il doping, le frodi, Moggiopoli, e riguardo al basket gli arbitraggi pilotati di cui si sta occupando la Procura di Reggio Calabria, Moggio mentre è di questi giorni la voce che la Finanza passerebbe al vaglio a campione ipotetici reati valutari riguardanti i diritti d’immagine di alcuni giocatori stranieri.
Tutti questi scottanti capitoli implicano già in partenza l’assunzione di un impegno documentale e di rischi da parte del giornalista. Una professione sempre più difficile, come ho sperimentato sulla mia pelle, per cui – in virtù di certe brutte cicatrici che difficilmente verranno rimarginate – non posso che dare la mia adesione alla battaglia sulla Libertà di Stampa prevista questo sabato a Siena. Perché – ripeto – lo sport a tutti i livelli ormai non è immune al potere e alla politica. Siccome non ho la fortuna di essere Roberto Saviano, il compito di scoprire se c’è del marcio e di riaggiustare il sistema lo lascio agli inquirenti. E’ loro questo lavoro a fine civile e sociale, non certo mio.
Mi auguro, avendo speso la mia vita fra il rettangolo di gioco e i 3,05 metri del canestro, che il basket continui a essere l’isola felice che è sempre stata.
Detto questo, passo a elencare i 10 punti per cui Siena è diventata l’unicum dello sport italiano, sia per i successi, i primati e anche il suo status. Mi auguro anche che, per la verità, il basket ne abbia un adeguato ritorno, anche se non mi sembra che questa “senesizzazione” stia portando risultati positivi. Magari col tempo chissà… Ma forse solo per congiunzioni astrali, e non per colpa della Mens Sana magari troppo avanti rispetto ad altre componenti. Con una precisazione: sono gli uomini che fanno i progetti, e non viceversa. E’ solo una questione di “classe dirigente” che si è andata abbassando fino all’ultimo colpo fatale: la messa al bando da parte dei maggiori club del general-manager. La figura tecnica basilare in un concetto di buona produzione. L’alternativa è stata un procedere per alleanze che significano in Italia politica spicciola, spesso a tutela dei propri interessi e non della collettività. Cosa che non biasimo: se un sistema è gestito male e io ci perdo, tento di salvaguardare il mio lavoro, il mio orticello. Dunque: ognuno per sé e Dio per tutti.
Ecco le 10 principali ragioni di un successo che illustra la medaglia col suo rovescio: la grandezza di una e il “tran tran”delle altre. Salvo qualche eccezione progettuale interessante però in via di collaudo. Vedi soprattutto la ricerca dei migliori talenti da parte di Treviso, l’adesione al rilancio di Azzurra da parte di Roma e lo splendido “faidate” di Teramo.
1)Il favore – anzi la partnership – delle istituzioni senesi. Un unicum quanto un unicum è la sua banca: data dal 1472, ha finanziato papi, re, imperatori. Negli anni ottanta – mi spiegava l’ex provveditore Piero Barucci poi ministro della Finanze e cestofilo incallito – la banca poteva addirittura far oscillare in Borsa il dollaro di 80-100 lire. Nessuna città d’Italia ha una banca autoctona pubblica, che finanzia cioè il territorio, dalla cultura al welfare fino allo sport. E difatti la piccola Siena è al vertice nel basket e nel campionato di calcio, e a noi azionisti ha distribuito due anni fa un prontuario dove stava scritto di 40 milioni di euro per lo sport professionistico. La mossa vincente – che ha fatto leva su una società sportiva che ha oltre 120 anni e su una tradizione cestistica cittadina che dura dal 1907 e si perpetua nelle contrade – è stata quella di imporsi come partner delle istituzioni attraverso la Finanziaria di Sviluppo (Fises), quindi con un credito (uguale finanziamento) teoricamente illimitato. Il basket nelle stanze del potere senesi viene considerato un media per divulgare le eccellenze del territorio. Dico eccellenze perché “sistema Siena” mi pare un termine infelice e obliquo.
2)Ne deriva quindi un budget cresciuto in maniera esponenziale, maggiore magari 3-4 volte delle concorrenti. Prendiamo il gap fra il bilancio ufficiale della Mens Sana Basket S.p.A. – costituita appena 10 anni fa – fra i due esercizi al 30 giugno 2007 e 2008 (siamo in attesa dell’ultimo): alla voce “costi della produzione” da 13.873.118 a 16.361.429, più 2,5 milioni con un’impennata del 20 per cento. Per la verità, con un utile finale(esiguo, rispettivamente di 3893 e 6467 euro ) contro una cifra modesta alla voce entrate. Cioè per abbonati e presenze siamo sotto il milione di euro, anche se nei penultimi due esercizi Siena – se non erro è passata dal 13° al 3° o 4° posto assoluto come incassi di A con una politica di prezzi molto popolare, sempre per il concetto di “veicolo di comunicazione e marketing del territorio”.
3)I risultati non potevano essere migliori. Una coppa in più, anche se si chiama Eurolega, non cambia di una virgola lo scenario: siamo di fronte, per rimanere in Toscana, a una vera e propria Signoria dello sport. La stessa amatissima Fiorentina verso la quale il Comune di Firenze è generoso è un’altra cosa. Sono un appassionato di storia, conosco quella di Firenze e della Repubblica senese. Si tratta di due momenti marcati da un’illuminata borghesia locale, non scordiamo che il Magnifico era figlio di ricchi commercianti del Mugello, coltivava la finanza, le arti e il potere, venne idolatrato e discusso. Sì, a parte il Savonarola andate a chiedere ad esempio ai volterrani che pretesero di difendere le loro miniere d’allume…
4)I giocatori. E’ l’unica squadra ad avere 4-5 leader, ormai potrebbe vincere anche col secondo quintetto un campionato, vince sempre e con scarti medi vicini ai 20 punti. Poco importa se va a beccare nell’orto altrui, vedi Hawkins, Moss, Stonerook, Finley, e via dicendo. Faceva lo stesso il Simmenthal regalando 10 palloni a Gorizia in cambio di Pino Brumatti o l’immenso commendator Borghi dell’Ignis. La scelta dei giocatori non dipende, insomma, solo dai quattrini. Sanno scegliere bene…
5)Il miglior gioco in circolazione, spettacolare e finalizzato al successo. Il superamento del penitenziale ma vincente credo di Messina e Obradovic, effetto delle scelte compresa quella di Simone Pianigiani e del suo fido assistente che ragionano con la mentalità del “capo”, espressione gergale che spero non venga interpretata male.
6)A parte l’infelice sortita sulla nazionale e gli attacchi al presidente Meneghin che resta un simbolo di tutto lo sport nazionale – che hanno suscitato lo sprezzo del presidente del CONI, una vicenda che finirà col tipico italico “volemose bene”) – la società ha tenuto nella scalata un profilo alto ufficiale, e soprattutto è impermeabile, blindata, refrattaria agli spifferi. I casi, se ci sono, nascono e finiscono in casa.
7)Un potere ramificato a 360 gradi, magari imperscrutabile, magari presunto, tipico delle squadre tiranne…Altolà: potrebbe essere visto, e son sicuro che sia così, come una virtù alta, una forma di professionalità in fatto di management, marketing, comunicazione, nuove tecnologie, privacy, rapporti coi media specie in un sistema-basket molto delocalizzato trascurato dai grandi media, per cui la stampa locale pur con le sue professionalità e passione indiscusse implode la critica. Ve lo dico io che quando stavo a Varese ero considerato nemico dell’Ignis, e quando lavoravo alla Gazzetta dello Sport ero considerato da Milano un tifoso della stessa gloriosa società varesina…
8)La duplicazione delle cariche dell’uomo-guida della società. Forse la sua impronta sarà proprio come il motto sulla bandiera brasiliana (“Ordem e Progreso”), ma concentra un potere che nel basket nessuno ha mai avuto, con capacità di “moral suasion” centrifuga e centripeta. Cioè dentro e fuori Siena.
9)Il gioco di alleanze coi grandi club, dimostrata anche da una circolazione di giocatori ad hoc fra le stesse. Anche questo è un fenomeno nuovo, Milano vendette a Varese Nane Vianello e Paolo Vittori, e dunque fino a prova contraria lecito e giustificato. Questo gioco di alleanze ha portato però a un controllo di fatto della politica di Lega, un vecchio vizio ereditato dal passato. Dalla scelta degli arbitraggi ai calendari, ai contratti con questo e quello l’assemblea è sovrana, quindi è tutto ok, ma lo sport richiede – oltre alla trasparenza – una distinzione netta fra gli interessi di un singolo club e quelli collettivi. Specie in un panorama molto sbilanciato da club a club, dagli organici alle possibilità. Per la verità però questa disparità è più marcata dal punto di vista dei budget più che dell’organizzazione vedendo in giro ancora entusiasmo e sano volontariato.
10) Leggo spesso la frase “anche se Siena non è simpatica però è brava…”, non so se il livello di antipatia stia superando il livello di guardia. Meglio però un cinismo manageriale che la falsa adulazione perché ti serve qualcosa. Il problema è un altro: manca una dialettica comune, non c’è un’opposizione vera dentro la Lega. Al massimo stizza e aventinismo. Il concetto dei padroni del vapore è manicheo: se non sei d’accordo con me, sei mio nemico. Prendo un esempio: avrò i titoli, o no, per essere nella mailing di Lega scrivendo per (qualificati) media on line e curando l’informazione su una trasmissione radiofonica (dove Siena è amata ospite…)?. Che fanno, se vogliamo, molta più “audience” (numero di contatti) dei giornali dove scrivevo prima… Niente. Non mi offendo minimamente, le notizie riesco a procurarmele ugualmente. Anzi, c’è più gusto che ricevere una velina o perdere tempo col pianto greco e il pettegolezzo del questuante di turno, una pratica tanto invalsa nel nostro movimento. Comunque mi sembra che dopo le critiche, Siena stia cercando di dare più spazio agli italiani, anche se i migliori hanno preso altre destinazioni (Datome) e non ha cerfto preso i rischi di Treviso che punta sulla regia di Daniel Hackett un ragazzo italiano uscito dal college americano – cosa mai vista – e per i cambi di ritmo su un nanerottolo juniores che di nome fa De Nicolao da me soprannominato la “zecca atomica”.
Chiosa finale. Non mi permetto di dare consigli, tanti ne ho dati in passato al “grande capo” del progetto e mi compete una critica onesta che serve a capire chi siamo a dove andiamo. Se proprio richiedesse un mio parere magari gli direi di contenere i glorificatori militanti. Spesso delle banderuole. Mi dicono che Siena avrebbe salvato il settimanale Superbasket, e se così fosse sarei il primo ad essere felice, come ex direttore, non ultimo perché l’acacia è una pianta simbolica che apprezzo. Dovrei forse scandalizzarmi quando fui protagonista di un’operazione simile, condotta con massima trasparenza, da Alfredo Cazzola? Mi convinse “Mister Motor Show” e ultima grande Virtus a lasciare la rosea. Là stavo da papa , ma valeva la pena rischiare la testata storica di Aldo Giordani, il Von Braun mediatico del basket. Per prima cosa confermai la redazione, che poteva essere licenziata. E’ la cosa di cui vado più fiero. Ma dopo sette anni alla garibaldina e fortunati lasciai però anche il più grande presidente dell’era moderna. La ragione? Essendo al tempo stesso il presidente di Lega, ascoltava troppo i neo-farisei. Quando tese l’orecchio ai lamenti di un coach oggi famoso, scrissi un fondo “famoso”, nel senso che ancora molti ricordano, dal titolo: “Quando scrive l’editore..”. Subito dopo mi dimisi. Dopo quattro giorni Cazzola mi chiamò. Davo per scontato che l’argomento fosse la chiusura del rapporto, invece mi mise davanti un ricco assegno, e con un abbraccio mi disse: “Enricone, dopo questo fondo, tutti quelli che vengono a piangere sulla mia spalla capiranno che il vero padrone del giornale sei tu”.
Non era coraggio, il mio, ma solo un minimo gesto di rispetto nei confronti dei lettori, della redazione, dei collaboratori, del basket e dello stesso editore. Un grande davvero l’Alfredo Cazzola, l’ultimo Colleoni del basket. Voleva trattenermi nella sua azienda, in seguito mi ha proposto di tornare a collaborare in altre vesti. Fra noi è rimasta una reciproca e vera stima.
Infine, non sono in grado di rispondere su quanto durerà la “tirannia” senese. Posso solo azzardare, sempre come appassionato di storia, la quale come tutti sanno vichianamente si ripete, la caduta non verrà per mano di una squadra più forte. Quindi non sul campo ma più verosimilmente su Piazza Del Campo e dintorni. Sarà determinata dal suo interno, per equilibri di potere locale, e quindi con le “procedure” immutabili nel tempo riguardanti tutte le attività della “vetus senae”.. Siena ha sempre regolato infatti all’interno delle sue mura ogni propria faccenda, per questo resta la più insulare realtà italiana e tanto mi affascina. Tutto risponde solo al dettato del tempo, anche se sembra che la polvere si cristallizzi. Quando mi capita di addentrarmi in una delle sue viuzze buie, mi appaiono lampi di luce che illuminano racconti di intrighi e complotti. Ironia della sorte, c’era una famiglia di tiranni che di nome faceva Petrucci.
SIENA. Vengo sollecitato e pungolato da diversi lettori allo scopo di tentare di spiegare le ragioni e le dinamiche alla base dell’escalation di Siena, essendo ritenuto a vari livelli un esegeta documentato, libero e intellettualmente onesto. Il coraggio è un’altra cosa. Il coraggio è insito, un valore intrinseco di certe professioni, come quelle del giornalista. Questo vale anche per i giornalisti di sport, nel cui mondo sono sempre più frequenti episodi di cronaca nera e giudiziaria: il doping, le frodi, Moggiopoli, e riguardo al basket gli arbitraggi pilotati di cui si sta occupando la Procura di Reggio Calabria, Moggio mentre è di questi giorni la voce che la Finanza passerebbe al vaglio a campione ipotetici reati valutari riguardanti i diritti d’immagine di alcuni giocatori stranieri.
Tutti questi scottanti capitoli implicano già in partenza l’assunzione di un impegno documentale e di rischi da parte del giornalista. Una professione sempre più difficile, come ho sperimentato sulla mia pelle, per cui – in virtù di certe brutte cicatrici che difficilmente verranno rimarginate – non posso che dare la mia adesione alla battaglia sulla Libertà di Stampa prevista questo sabato a Siena. Perché – ripeto – lo sport a tutti i livelli ormai non è immune al potere e alla politica. Siccome non ho la fortuna di essere Roberto Saviano, il compito di scoprire se c’è del marcio e di riaggiustare il sistema lo lascio agli inquirenti. E’ loro questo lavoro a fine civile e sociale, non certo mio.
Mi auguro, avendo speso la mia vita fra il rettangolo di gioco e i 3,05 metri del canestro, che il basket continui a essere l’isola felice che è sempre stata.
Detto questo, passo a elencare i 10 punti per cui Siena è diventata l’unicum dello sport italiano, sia per i successi, i primati e anche il suo status. Mi auguro anche che, per la verità, il basket ne abbia un adeguato ritorno, anche se non mi sembra che questa “senesizzazione” stia portando risultati positivi. Magari col tempo chissà… Ma forse solo per congiunzioni astrali, e non per colpa della Mens Sana magari troppo avanti rispetto ad altre componenti. Con una precisazione: sono gli uomini che fanno i progetti, e non viceversa. E’ solo una questione di “classe dirigente” che si è andata abbassando fino all’ultimo colpo fatale: la messa al bando da parte dei maggiori club del general-manager. La figura tecnica basilare in un concetto di buona produzione. L’alternativa è stata un procedere per alleanze che significano in Italia politica spicciola, spesso a tutela dei propri interessi e non della collettività. Cosa che non biasimo: se un sistema è gestito male e io ci perdo, tento di salvaguardare il mio lavoro, il mio orticello. Dunque: ognuno per sé e Dio per tutti.
Ecco le 10 principali ragioni di un successo che illustra la medaglia col suo rovescio: la grandezza di una e il “tran tran”delle altre. Salvo qualche eccezione progettuale interessante però in via di collaudo. Vedi soprattutto la ricerca dei migliori talenti da parte di Treviso, l’adesione al rilancio di Azzurra da parte di Roma e lo splendido “faidate” di Teramo.
1)Il favore – anzi la partnership – delle istituzioni senesi. Un unicum quanto un unicum è la sua banca: data dal 1472, ha finanziato papi, re, imperatori. Negli anni ottanta – mi spiegava l’ex provveditore Piero Barucci poi ministro della Finanze e cestofilo incallito – la banca poteva addirittura far oscillare in Borsa il dollaro di 80-100 lire. Nessuna città d’Italia ha una banca autoctona pubblica, che finanzia cioè il territorio, dalla cultura al welfare fino allo sport. E difatti la piccola Siena è al vertice nel basket e nel campionato di calcio, e a noi azionisti ha distribuito due anni fa un prontuario dove stava scritto di 40 milioni di euro per lo sport professionistico. La mossa vincente – che ha fatto leva su una società sportiva che ha oltre 120 anni e su una tradizione cestistica cittadina che dura dal 1907 e si perpetua nelle contrade – è stata quella di imporsi come partner delle istituzioni attraverso la Finanziaria di Sviluppo (Fises), quindi con un credito (uguale finanziamento) teoricamente illimitato. Il basket nelle stanze del potere senesi viene considerato un media per divulgare le eccellenze del territorio. Dico eccellenze perché “sistema Siena” mi pare un termine infelice e obliquo.
2)Ne deriva quindi un budget cresciuto in maniera esponenziale, maggiore magari 3-4 volte delle concorrenti. Prendiamo il gap fra il bilancio ufficiale della Mens Sana Basket S.p.A. – costituita appena 10 anni fa – fra i due esercizi al 30 giugno 2007 e 2008 (siamo in attesa dell’ultimo): alla voce “costi della produzione” da 13.873.118 a 16.361.429, più 2,5 milioni con un’impennata del 20 per cento. Per la verità, con un utile finale(esiguo, rispettivamente di 3893 e 6467 euro ) contro una cifra modesta alla voce entrate. Cioè per abbonati e presenze siamo sotto il milione di euro, anche se nei penultimi due esercizi Siena – se non erro è passata dal 13° al 3° o 4° posto assoluto come incassi di A con una politica di prezzi molto popolare, sempre per il concetto di “veicolo di comunicazione e marketing del territorio”.
3)I risultati non potevano essere migliori. Una coppa in più, anche se si chiama Eurolega, non cambia di una virgola lo scenario: siamo di fronte, per rimanere in Toscana, a una vera e propria Signoria dello sport. La stessa amatissima Fiorentina verso la quale il Comune di Firenze è generoso è un’altra cosa. Sono un appassionato di storia, conosco quella di Firenze e della Repubblica senese. Si tratta di due momenti marcati da un’illuminata borghesia locale, non scordiamo che il Magnifico era figlio di ricchi commercianti del Mugello, coltivava la finanza, le arti e il potere, venne idolatrato e discusso. Sì, a parte il Savonarola andate a chiedere ad esempio ai volterrani che pretesero di difendere le loro miniere d’allume…
4)I giocatori. E’ l’unica squadra ad avere 4-5 leader, ormai potrebbe vincere anche col secondo quintetto un campionato, vince sempre e con scarti medi vicini ai 20 punti. Poco importa se va a beccare nell’orto altrui, vedi Hawkins, Moss, Stonerook, Finley, e via dicendo. Faceva lo stesso il Simmenthal regalando 10 palloni a Gorizia in cambio di Pino Brumatti o l’immenso commendator Borghi dell’Ignis. La scelta dei giocatori non dipende, insomma, solo dai quattrini. Sanno scegliere bene…
5)Il miglior gioco in circolazione, spettacolare e finalizzato al successo. Il superamento del penitenziale ma vincente credo di Messina e Obradovic, effetto delle scelte compresa quella di Simone Pianigiani e del suo fido assistente che ragionano con la mentalità del “capo”, espressione gergale che spero non venga interpretata male.
6)A parte l’infelice sortita sulla nazionale e gli attacchi al presidente Meneghin che resta un simbolo di tutto lo sport nazionale – che hanno suscitato lo sprezzo del presidente del CONI, una vicenda che finirà col tipico italico “volemose bene”) – la società ha tenuto nella scalata un profilo alto ufficiale, e soprattutto è impermeabile, blindata, refrattaria agli spifferi. I casi, se ci sono, nascono e finiscono in casa.
7)Un potere ramificato a 360 gradi, magari imperscrutabile, magari presunto, tipico delle squadre tiranne…Altolà: potrebbe essere visto, e son sicuro che sia così, come una virtù alta, una forma di professionalità in fatto di management, marketing, comunicazione, nuove tecnologie, privacy, rapporti coi media specie in un sistema-basket molto delocalizzato trascurato dai grandi media, per cui la stampa locale pur con le sue professionalità e passione indiscusse implode la critica. Ve lo dico io che quando stavo a Varese ero considerato nemico dell’Ignis, e quando lavoravo alla Gazzetta dello Sport ero considerato da Milano un tifoso della stessa gloriosa società varesina…
8)La duplicazione delle cariche dell’uomo-guida della società. Forse la sua impronta sarà proprio come il motto sulla bandiera brasiliana (“Ordem e Progreso”), ma concentra un potere che nel basket nessuno ha mai avuto, con capacità di “moral suasion” centrifuga e centripeta. Cioè dentro e fuori Siena.
9)Il gioco di alleanze coi grandi club, dimostrata anche da una circolazione di giocatori ad hoc fra le stesse. Anche questo è un fenomeno nuovo, Milano vendette a Varese Nane Vianello e Paolo Vittori, e dunque fino a prova contraria lecito e giustificato. Questo gioco di alleanze ha portato però a un controllo di fatto della politica di Lega, un vecchio vizio ereditato dal passato. Dalla scelta degli arbitraggi ai calendari, ai contratti con questo e quello l’assemblea è sovrana, quindi è tutto ok, ma lo sport richiede – oltre alla trasparenza – una distinzione netta fra gli interessi di un singolo club e quelli collettivi. Specie in un panorama molto sbilanciato da club a club, dagli organici alle possibilità. Per la verità però questa disparità è più marcata dal punto di vista dei budget più che dell’organizzazione vedendo in giro ancora entusiasmo e sano volontariato.
10) Leggo spesso la frase “anche se Siena non è simpatica però è brava…”, non so se il livello di antipatia stia superando il livello di guardia. Meglio però un cinismo manageriale che la falsa adulazione perché ti serve qualcosa. Il problema è un altro: manca una dialettica comune, non c’è un’opposizione vera dentro la Lega. Al massimo stizza e aventinismo. Il concetto dei padroni del vapore è manicheo: se non sei d’accordo con me, sei mio nemico. Prendo un esempio: avrò i titoli, o no, per essere nella mailing di Lega scrivendo per (qualificati) media on line e curando l’informazione su una trasmissione radiofonica (dove Siena è amata ospite…)?. Che fanno, se vogliamo, molta più “audience” (numero di contatti) dei giornali dove scrivevo prima… Niente. Non mi offendo minimamente, le notizie riesco a procurarmele ugualmente. Anzi, c’è più gusto che ricevere una velina o perdere tempo col pianto greco e il pettegolezzo del questuante di turno, una pratica tanto invalsa nel nostro movimento. Comunque mi sembra che dopo le critiche, Siena stia cercando di dare più spazio agli italiani, anche se i migliori hanno preso altre destinazioni (Datome) e non ha cerfto preso i rischi di Treviso che punta sulla regia di Daniel Hackett un ragazzo italiano uscito dal college americano – cosa mai vista – e per i cambi di ritmo su un nanerottolo juniores che di nome fa De Nicolao da me soprannominato la “zecca atomica”.
Chiosa finale. Non mi permetto di dare consigli, tanti ne ho dati in passato al “grande capo” del progetto e mi compete una critica onesta che serve a capire chi siamo a dove andiamo. Se proprio richiedesse un mio parere magari gli direi di contenere i glorificatori militanti. Spesso delle banderuole. Mi dicono che Siena avrebbe salvato il settimanale Superbasket, e se così fosse sarei il primo ad essere felice, come ex direttore, non ultimo perché l’acacia è una pianta simbolica che apprezzo. Dovrei forse scandalizzarmi quando fui protagonista di un’operazione simile, condotta con massima trasparenza, da Alfredo Cazzola? Mi convinse “Mister Motor Show” e ultima grande Virtus a lasciare la rosea. Là stavo da papa , ma valeva la pena rischiare la testata storica di Aldo Giordani, il Von Braun mediatico del basket. Per prima cosa confermai la redazione, che poteva essere licenziata. E’ la cosa di cui vado più fiero. Ma dopo sette anni alla garibaldina e fortunati lasciai però anche il più grande presidente dell’era moderna. La ragione? Essendo al tempo stesso il presidente di Lega, ascoltava troppo i neo-farisei. Quando tese l’orecchio ai lamenti di un coach oggi famoso, scrissi un fondo “famoso”, nel senso che ancora molti ricordano, dal titolo: “Quando scrive l’editore..”. Subito dopo mi dimisi. Dopo quattro giorni Cazzola mi chiamò. Davo per scontato che l’argomento fosse la chiusura del rapporto, invece mi mise davanti un ricco assegno, e con un abbraccio mi disse: “Enricone, dopo questo fondo, tutti quelli che vengono a piangere sulla mia spalla capiranno che il vero padrone del giornale sei tu”.
Non era coraggio, il mio, ma solo un minimo gesto di rispetto nei confronti dei lettori, della redazione, dei collaboratori, del basket e dello stesso editore. Un grande davvero l’Alfredo Cazzola, l’ultimo Colleoni del basket. Voleva trattenermi nella sua azienda, in seguito mi ha proposto di tornare a collaborare in altre vesti. Fra noi è rimasta una reciproca e vera stima.
Infine, non sono in grado di rispondere su quanto durerà la “tirannia” senese. Posso solo azzardare, sempre come appassionato di storia, la quale come tutti sanno vichianamente si ripete, la caduta non verrà per mano di una squadra più forte. Quindi non sul campo ma più verosimilmente su Piazza Del Campo e dintorni. Sarà determinata dal suo interno, per equilibri di potere locale, e quindi con le “procedure” immutabili nel tempo riguardanti tutte le attività della “vetus senae”.. Siena ha sempre regolato infatti all’interno delle sue mura ogni propria faccenda, per questo resta la più insulare realtà italiana e tanto mi affascina. Tutto risponde solo al dettato del tempo, anche se sembra che la polvere si cristallizzi. Quando mi capita di addentrarmi in una delle sue viuzze buie, mi appaiono lampi di luce che illuminano racconti di intrighi e complotti. Ironia della sorte, c’era una famiglia di tiranni che di nome faceva Petrucci.
