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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la Campana. Inchiesta sulla salute, B come Bianchini…

di Enrico Campana
SIENA. La rubrica prosegue questa settimana con l’inchiesta promossa da Il Cittadinoonline.it dalla A alla Z sul tema: “Stato di salute del basket italiano”. Alla lettera B, ovviamente Valerio Bianchini.
1) Valerio, siamo in fase di evoluzione, riflusso o restaurazione?
Il declino è cominciato con Mani Pulite e la perdita di appeal di un certo tipo di sponsorizzazioni. Su questo si è innestata la grande mutazione portata dalla libera circolazione dei comunitari prima e dall’emarginazione dei giocatori italiani poi, aggravata dalla perdita del vincolo e quindi del sostentamento dei vivai. Il basket, di fronte a questi sconvolgimenti, ha fatto finta di niente e non si è riprogettato, iniziando una navigazione a vista che ci ha condotto a questo punto. Stato di salute attuale: precomatoso.
2) Siamo al paradosso: una squadra vincitutto ma enormi problemi di sistema, escludiamo ogni correlazione?
Tanto di cappello alla prima in classifica per metodo tecnico e saggezza gestionale. Resta il fatto che essere una cattedrale nel deserto non le giova affatto, a cominciare dal confronto con l’Europa. D’altra parte Siena dimostra di avere il know how per dominare il campionato italiano e potrebbe anche bastarle. La mancanza di cultura specifica della maggior parte dei suoi concorrenti, che si affidano mani e piedi agli agenti, le facilita enormemente il compito. Anche  Simmenthal negli anni '50 dominava incontrastato, ma il suo mentore Bogoncelli capì che per dare valore al suo club doveva adoprarsi a far cresere anche gli altri club.
3) Pianigiani CT, per tutti è una buona scelta, ma quali potrebbe essere un tuo consiglio da infilare nel taschino del coach al gel?
Il mestiere del CT è tutt’affatto diverso da quello dell’Head-Coach in campionato. E’ come se un grande chef dovesse adattarsi a fare del fast food, seppure di qualità. La  duttilità sarà la prima dote da affinare da parte di Pianigiani. L’altro principio fondamentale sarà  non commettere l’errore fatto dalla nazionale negli ultimi  due anni, quello di pensarsi come la squadra dei tre ragazzi NBA. Sia nella comunicazione che nel lavoro tecnico bisognerà costruire una squadra indipendentemente dalla presenza dei tre. Se poi essi arriveranno, saranno “parte” della Nazionale, ma non “la Nazionale”, come si immagina l’opinione pubblica. Salvo poi lapidarli in caso di insuccesso ,come avvenuto per Bargnani.
4) Quest'anno non va male, come apporto di giocatori italiani del  campionato.
Pare che in termini di quantità di minuti giocati, i giocatori italiani vadano peggio dello scorso anno. In termini di qualità stanno migliorando. In termini di  “presenza” decisiva per la vittoria, i più latitano, ma ci sono eccezioni..
5) Siamo destinati a diventare produttori della NBA, o possiamo ancora avere un primato italiano?
La Benetton, già negli anni novanta anticipò i tempi, scegliendo di essere, da Kukoc in poi, un traghetto per i migliori giocatori europei verso la NBA. Poi questo criterio diventò un uso comune dell’Europa da parte della NBA, visto lo scadimento di qualità dei giocatori provenienti dai colleges. Ora in Italia abbiamo questo paradosso: se un giocatore in uscita dal settore giovanile è molto bravo, diventa una scelta dei professionisti, se è abbastanza bravo (ahimè per lui) va in una squadra di A e rischia non solo di non giocare mai, ma a 19 anni anche di allenarsi poco a fronte delle necessità di tenere allenati i veterani. Solo se  è bravino, allora  è fortunato,  perchè gioca in Legadue, l’unico campionato che ha una sua ragione nell’essere  preparatorio di giocatori italiani e stranieri per la serie A. Sotto la Legadue è  schizofrenia pura. Là dove si dovrebbero far crescere i giovani, giocano i Mario Boni e compagnia, disperdendo risorse economiche che andrebbero investite nei vivai.
6) Il gioco del campionato è di qualità, e a che stadio è? Medio, alto o  basso , e dipende dal gioco, dai giocatori, dal sistema?
La mancanza di cultura sportiva dei nuovi responsabili dei club e lo strapotere degli agenti, unita alla mediocrità  degli stranieri, porta a un livello molto basso del gioco. Cambiando spesso direttore di orchesta e  cambiando gli orchestrali anche in corso di stagione, che musica vorrete mai ascoltare?
7) Io sostengo che la partita di Istanbul è stata la cartina di  tornasole quale differenza fra il basket europeo più maschio e quello  italiano di sistema, magari viziato da arbitraggio chirurgico.
La squadra di Ataman è formata da uno sterminato roster di giocatori esperti, forti fisicamente, rotti a tutte le battaglie. Si è andata compattando nel corso della stagione e produce un basket “pesante” ma efficace. L’arbitraggio è  un capitolo a parte. Bene o male in Euroleague ci sono i migliori arbitri della FIBA, ma gestiti  e governati con potere assoluto dal criterio di un uomo solo.
8) Come allenatori  la A forse non è male,  ma i dirigenti sono meglio?
Il livello degli allenatori di scuola italiana è notevole sotto il profilo tecnico. Disastroso sotto il profilo della  comunicazione e della “narrazione” della propria squadra, a livello di analfabetismo mediatico.Questo è una delle cause della ghettizzazione del basket in una nicchia, assieme all’impossibiltà di vederlo in chiaro. Quanto ai dirigenti, la sparizione dei grandi general managers, che, in binomio con gli allenatori, tenevano testa a squadra e proprietari e la loro sostituzione con anonimi aziendalisti o peggio agenti-piovra, ha condotto il basket al punto in cui siamo.
9) In questo sistema one way non pensi che i  possibili nuovi investitori non siano  incoraggiati a mettere piede o è solo un problema di crisi economica?
Gli investitori non sono incoraggiati perchè  principalmente non esiste un marketing del basket. Quando c’è crisi economica la comunicazione diventa ancora più importante. Ma il basket non comunica.
10) Guarda avanti 10 anni, dove saremo, come saremo, e come dovremo cercare di essere…
Dicono gli esperti che l’accelerazione data al cambiamento dalle continue rivoluzioni tecnologiche impedisce qualsiasi previsione sul futuro. Immaginavate,  solo 5 anni fa, di poter guardare su una tavoletta illuminata qualsiasi partita di basket, in qualsiasi parte del mondo, stando voi in qualsiasi angolo della terra? Eppure oggi accade. Allora bisognerebbe essere profeti e io, da  coach, tento solo  profezie tecniche. Il basket, fin dalle origini, è stato sempre un gioco dialettico. Sembrerebbe inventato da Hegel invece che da Naismith. Tesi, antitesi, sintesi che a sua volta diventa una nuova tesi che sarà contrastata da un’antitesi e darà luogo a una nuova sintesi e cosi via, all’infinito. Tutto questo fino a qualche anno fa era nella logica di sviluppo del basket. Un allenatore proproneva un attacco (tesi). Il suo avversario rispondeva con una misura difensiva (antitesi). Da questo scontro nasceva un nuovo attacco, cui veniva contrapposta una nuova difesa e così via. In tal modo il gioco è diventato sempre più raffinato, dal punto di vista della strategia. Questo finchè il Pick and Roll non è diventato il dominatore assoluto del gioco. La pericolosità offensiva dei giocatori e lo sciagurato arco dei tre punti hanno portato alla sparizione del gioco classico e all’affermazione totalitaria del Pick and Roll. Il problema è che al P/R (tesi) non si è ancora trovata una difesa efficace (antitesi) e dunque non abbiamo una sintesi. In altre parole l’evoluzione del gioco si è bloccata. Presto di questo dramma si accorgeranno anche gli spettatori,  per lo meno  quelli europei, che non vanno al palazzo dello sport solo per ingollare hot dogs, pop corn e cazzate dei giocatori in campo. Allontanare l’arco dei tre punti è solo una pia illusione. Il basket, per sopravvivere, deve apportare dei cambiamenti radicali, deve reinventarsi, magari mutare le sue misure. Tra dieci anni il nostro gioco dovrà essere a misura di I-Pad.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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