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Per chi suona la Campana. Il basket attaccato dai marziani

di Enrico Campana
SIENA. Il basket italiano è sotto l’attacco dei marziani, anzi gli alieni sono già fra di noi poveri terrestri, stravolgono il gioco con altre logiche.
Non viene  da Marte  però il Barcellona, vincitore della sua seconda Coppa dei Campioni, la prima con una forte identità spagnola, dando una bella lezione al Cska e all’Olympiakos. I russi pretendevano di vincere giocando “in stile Messina” senza avere più… Ettore Messina. I greci sono una buon  mosaico, una selezione, ma non una grande squadra nell’accezione del termine. Fuori gioco Obradovic e, appunto, il nostro coach italiano più titolato, nella Final Four n.23 disputata a Parigi mancava per la quinta volta (nelle ultime sei edizioni) Siena. Una casistica stridente con la messe di  titoli e patri primati, le disponibilità, la preferenza data a un nucleo di campioni internazionali, e  giocatori – credo – anche di notevole valore (estrinseco-intrinseco)  e al punto giusto di maturità. Nessuno però ci ha fatto caso.  
Ben 199 TV  (la nostra credo abbia commentato da studio, non c’era difatti il minimo riferimento all’ambiente) erano collegate con Parigi-Bercy, tuttavia la copertura dell’evento in Italia è stata scandalosa. Non parliamo di provincialismo, ma invece di  oscuramento. Un vero e proprio autodafé, e un indirizzo del movimento culturalmente inadeguato. Ma in fondo nella logica, consequenziale se Milano afferma che l’Eurolega è decadente (giudizio peraltro che le altre squadre riservano all’Armani…) e che  la Virtus Bologna in caso di qualificazione dichiara che rinuncerà o – al massimo – fa capire che baratterà il suo diritto.
A parte  Dule Vujosevic, grande sottovalutato che meritava la finale (la Gazzetta ha annotato che gli arbitri hanno fischiato contro il Partizan, senza chiosare), perfetta copia di quel grande coach slavo che costruiva campioni ma non vinceva titoli, Xavi Pascual era (ed è) l’unico a sapere come si costruisce, si gestisce e si motiva una grande squadra. Più importante di Ricky Rubio. Davvero un grande allenatore, e difatti  ha messo tutte in fila quest’anno le rivali strapazzando Siena e Real verso la sua marcia trionfale.
Rispetto al geniale catalano, Evgeny Pashutin e quel cireneo triste di Panagiotis Giannakis sono apparsi solo due ex giocatori. Si tratta di due ottime persone, due professionisti, ma per nulla carismatici in un campionato come quello europeo che assomiglia alla NCAA. In cui il supercoach è sempre stato determinante, vedi le 13 vittorie degli slavi in 23 edizioni delle F4. Il Cska nel decennio ha vinto due volte solo con Ettore Messina, il Panathinaikos ha conquistato la prima coppa con Maljkovic e tutte le altre con Obradovic. Maljkovic ha firmato anche la prima e unica coppa del Limoges, Obradovic invece anche la prima e unica della Joventut e l’ultima del Real. Da parte sua Svetislav Pesic ha il merito di sbloccato il Barcellona dandole il primo trofeo dopo una serie-record di sconfitte, mentre l’unica (e ormai lontana) coppa dell’Olympiakos è stato un capolavoro dell’antico Dusan Ivkovic.
Ma forse alla fine questo Barcellona era semplicemente imbattibile, la squadra perfetta che apre forse un ciclo nel basket europeo, anche alla vigilia dell’introduzione del tiro da 3 punti allungato e altre novità. Chi vuole battere i catalani credo dovrà pensare subito a fare operazioni intelligenti e coraggiose di mercato, non pensare solo al budget. Il Barcellona è la squadra che gioca meglio, che gestisce meglio i giocatori, e interpreta la gara e l’evoluzione del basket. E la più fresca. Va in pensione il catenaccio, e bisogna avere giocatori versatili, e alla fine l’esplosione di Fran Vasquez, grande difensore, stoppatore, il primo gigante spagnolo col punch, ha dimostrato che per certi traguardi occorre un pivot mobile, intimidatore, giovane, come era stato l’anno scorso Nikola Pekovic.
Ah, e  dove sono i marziani? Da dove vengono? Da dove vengono francamente nessuno lo  sa, però pretendono di usare tutti i loro potenti mezzi, e  le loro armi sofisticate. E raramente usano ragione: se qualcuno tenta magari  di intavolare un dialogo si insospettiscono, figuriamoci se caso mai volesse sfidarli.
I marziani non lasciano mai nulla di intentato, sono organizzatissimi, vengono da un altro mondo, hanno sete di conquista. Non credono che le partite si vincano solo nei palazzetti, ma anche in altri ambiti, non si sa mai. Pensate che uno di loro, in previsione dei playoff, è andato addirittura a lamentarsi dal direttore di un grande giornale, davvero sconcertato più che impaurito, per come viene trattato il suo equipaggio. E del resto, anche se verdi e squamosi, anche i marziani  sono sensibili al look, e quando vanno Tv mi dicono che un loro capo pretende che i primi piani dedicati alla sua “figura” siano studiati e ben curati, e che la visibilità (numeri di passaggi) non sia mai inferiore ai maggiori personaggi extraterrestri. Sembra abbia richiesto addirittura di poter controllare i servizi, prima della messa in onda. Berlusconi, al confronto, è solo un dilettante da avanspettacolo.
I marziani hanno forse pensato bene, ma questo non è provato – è solamente una voce che gira – che le ben 220 squadre dei campionati dilettanti, la colonna vertebrale in senso geografico e “politico” della pallacanestro italiana fossero retrocesse da un giorno all’altro. Non gli bastano due campionati di A  – con relativi problemi, andate a chiedere a Napoli, Varese, Pesaro, Vigevano, Rimini, a quelle che tengono il mutuo, e così via –  non bastano. No, ne occorre anche un terzo, che si chiamerà “campionato di sviluppo” (sic) per riportare nel basket Genova, Torino, Firenze e altre città  italiane. E’ la logica della promozione marziana, essere sempre più visibili, fare proseliti. Ma vogliono anche il controllo del territorio, attraverso il reclutamento dei giovani terrestri per fargli fare carriera sulla panchina delle loro squadre, per cui la Federazione  del basket si è sentita obbligata a varare una norma per la quale i giovanissimi d’ora in poi non potranno più muoversi dalla loro area geografica. E se uno cambia residenza, che gli fanno?, mi chiedo io. Lo disintegrano col laser?
Comunque questa logica marziana ha i suoi lati positivi. Faccio un esempio di un ragazzo terrestre che possiede delle buone qualità per farlo giocare (ogni tanto, tanto poco…) minuti 1.06, 2.9 e 3.3 nel corso di tre campionati e con un corrispettivo di punti 0,3, 1,2, 0,8  di media che rasentano l’alienazione. Lui s’impegna, ha passione, ma scopre che arriverà un vecchio americano al suo posto. Fortunatamente sfogli il giornale e capisci che nei confronti dell’infelice ragazzo terrestre c’è molta umanità: gli viene dedicato addirittura un titolo a nove colonne di testata, consentendogli  di diventare un personaggio, mica si potrà lamentare?
La cosa  più bella dei marziani, questa settimana, è però sotto gli occhi di tutti: la storia di un bravo allenatore che ha rischiato di essere cacciato perché non avendo ricevuto ordini, ha pensato da buon onesto terrestre dello sport professionistico, che la prima regola fosse quella di cercare di vincere o fare tutto il possibile per perdere bene. Uscito dal campo sconfitto di 19 punti, s’è sentito dire che la cosa era “delittuosa”, che doveva perdere di 26 punti.
Su Marte le cose vanno così, si gioca a perdere, non  sapeva il povero coach che per la rabbia il suo datore di lavoro avrebbe voluto, testuali parole, tirarlo sotto con l’auto dopo la sconfitta di Roma. Piano, ma cosa avete capito? Tirare sotto uno con l’auto su Marte è un premio..
Sì, su Marte si gioca a basket, anche loro hanno una lega e una federazione e un regolamento, il padrone di una squadra può disporre dei suoi dipendenti come vuole, e permettersi di dire ciò che vuole. Anzi, più calca la mano, più è “feroce” e più è amato. E non importa che sia tesserato o meno come presidente, mica come quei barbari terrestri che amministrano la giustizia del calcio  e che mettono alla berlina il proprietario  del club  che spara “alzo zero” sul sistema anche se non è tesserato. Lui, il marziano, non viene squalificato nemmeno se sceglie un prestanome come presidente. Un terrestre grande e grosso come un monumento che dovrebbe difendere la sua gente, di fronte a questo strambo rovesciamento – che crea sconcerto – di regole fra i due pianeti più vicini nel sistema solare, si dice disgustato. Un termine che usa troppo spesso, senza dire basta una volta per tutte. ma del resto come può combattere come i marziani? Quelli hanno l’occhio metallico, basta che li fissi e quelli ti disintegrano.
Per fortuna questo dei marziani era solo un brutto sogno. E, in fondo, se uno ha letto il  divertente racconto di Flaiano che narra lo sbarco del marziano a Roma, si tranquillizza. Al panico è subentrata la curiosità della gente, e passati tre giorni, dopo tante discussioni, nessuno faceva più caso a quella creatura sconosciuta. Non ricordo bene se il marziano fosse diventato triste, o nottetempo fosse stato caricato sul camion della spazzatura.
Ma forse questo è il finale di un’altra novella. Mi documenterò meglio.
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