di Enrico Campana
SIENA. Eurolega: la prima sentenza è venuta da Belgrado. Sull’unico 3-0 c’è l’inconfondibile calligrafia cestistica di Ettore Messina, che non guida una squadra irresistibile, l’opposto di quelle squadre russe sprecone che, ancor prima della caduta del muro di Berlino, giravano l’Europa con le borse piene di scatolette di caviale. In attesa del verdetto finale di Siena-Panathinaikos una presenza italiana forte c’è già, e questo autorizza a credere che Messina, pur milionario, lascerà Mosca a fine stagione per riprendere le redini di Azzurra e aprire con Recalcati e Meneghin un nuovo ciclo. Credo sarà il primo, il dottor Ettore, a non mercanteggiare, penso pretenderà unione fra le componenti, chiarezza e un certo rispetto delle gerarchie per ruoli e competenza che oggi manca a vari livelli strategici.
Il Partizan era la squadra meno forte (non più debole), l’unica squadra europea simile a una NCAA, perché dopo i 21 anni se dimostri di conoscere la pallacanestro ti si apre il mondo, e, difatti, se vai a guardare il roster di una squadra slava di livello non c’è posto per i vecchioni (l’eccezione è Bojan Krstovic, nonno dell’Hemofar con i suoi 28 anni). Drazen Dalipagic, uno dei grandi del Partizan, mi raccontava che al rientro in patria dopo aver fatto sfracelli a Venezia, provò a giocare in una squadra locale e che dovette smettere perché i giovani non gli passavano la palla. Come dire: tu sei già ricco e famoso, perché vuoi negarci l’opportunità di una buona carriera?
Il Partizan da un ventennio è un magnifico laboratorio sperimentale. E’ formativo come l’Actors Studio o il Piccolo teatro se si vuole affrontare il cinema o il palcoscenico. Non hanno inculcato il concetto (o meglio: contro-concetto) degli scudetti giovanili. Infatti il più grande coach della storia, più famoso degli Stankovic, Nikolic, Novosel e via dicendo metteva sul piatto della bilancia la lunga lista di campioni da lui lanciati invece degli scudetti e mini-scudetti. Un apologo, questo, sul quale il duo Meneghin-Recalcati dovrà riflettere – ricordando che loro stessi a 16 anni erano già in serie A – se davvero vogliono pensare a un basket italiano o almeno all’italiana. Meneghin ha creato un circuito di 3 contro 3 che sembra stia raggiungendo i 100 mila iscritti, Siena ha surrogato le altrui carenze promozionali col suo progetto detto “BG” e Roma da parte sua ha creato un’adunata di migliaia e migliaia di ragazzini, il segno che il club di Claudio Toti non vive di solo Lottomatica, perchè probabilmente in quelle leve si nasconde il nuovo Andrea Bargnani, il mago della NBA che con la maglia di Toronto ha fatto nei giorni scorsi 28 contro Chicago e che il mio amatissimo foglio rosa non aveva nemmeno messo fra le nomination dell’Eurobasket.
Elogio degli sconfitti, dunque, anche se a stento il Partizan ha toccato i 150 punti in 3 gare contro il Patton del basket, Ettore Messina. Noi giornalisti avremmo fatto analisi tortuose, loro hanno già archiviato. Domani è un altro giorno, o meglio un “altro giovane”. Onore, più che mai, al rappresentante di un basket autoctono, inesauribile nutrice, una sorta di “razza Piave” del basket mondiale, che ha cambiato questo sport a partire dagli anni settanta, quando i cestisti di stato russi dominavano incontrastati la scena, e due allenatori, l’italiano Primo e lo spagnolo Miguel Diaz, erano i novelli Diogene alla ricerca di un’identità forte per il vispo basket latino, che sarebbe più tardi stato a sua volta protagonista. Da quella scuola vengono anche i due migliori giovani dell’anno, la torre montenegrina Nikola Pekovic, che prima di giocare nel Panathinaikos dove i suoi 216 centimetri e le sue mani buone ne fanno un uomo-chiave (vedi gli scontri con Siena), si è fatto le ossa con la maglia del club che vinse per primo il titolo europeo per i “plavi” (blu) all’inizio degli anni 90; e il MVP dell’Eurocup che vedremo a Torino in questi giorni, Milan Macevan, 19enne gioiello serbo dell’Hemofarm Stada.
Forse, a bocce ferme, si analizzerà come utile esempio l’inversione di marcia della Benetton, simile a quella che fece Siena con Ataman per costruirsi un rango internazionale. Un bel taglio al budget da parte di Giorgio Buzzavo per restare competitivi, e un coach pronto alla sfida e che non si presenta in sede per chiedere questo e quello. Il farmacista turco-macedone Oktay Mahmuti non a caso è stato proclamato coach dell’anno di Eurocup. La Benetton riporta una squadra italiana nelle Final Eight della competizione, Bulleri è rinato, CJ Wallace è diventato il miglior pivot del campionato in maglia trevigiana, l’asse della squadra è stato riequilibrato e giornata dopo giornata ha guadagnato posizioni in classifica. E sarà credo un cliente difficile per tutti nei playoff.
SIENA. Eurolega: la prima sentenza è venuta da Belgrado. Sull’unico 3-0 c’è l’inconfondibile calligrafia cestistica di Ettore Messina, che non guida una squadra irresistibile, l’opposto di quelle squadre russe sprecone che, ancor prima della caduta del muro di Berlino, giravano l’Europa con le borse piene di scatolette di caviale. In attesa del verdetto finale di Siena-Panathinaikos una presenza italiana forte c’è già, e questo autorizza a credere che Messina, pur milionario, lascerà Mosca a fine stagione per riprendere le redini di Azzurra e aprire con Recalcati e Meneghin un nuovo ciclo. Credo sarà il primo, il dottor Ettore, a non mercanteggiare, penso pretenderà unione fra le componenti, chiarezza e un certo rispetto delle gerarchie per ruoli e competenza che oggi manca a vari livelli strategici.
Il Partizan era la squadra meno forte (non più debole), l’unica squadra europea simile a una NCAA, perché dopo i 21 anni se dimostri di conoscere la pallacanestro ti si apre il mondo, e, difatti, se vai a guardare il roster di una squadra slava di livello non c’è posto per i vecchioni (l’eccezione è Bojan Krstovic, nonno dell’Hemofar con i suoi 28 anni). Drazen Dalipagic, uno dei grandi del Partizan, mi raccontava che al rientro in patria dopo aver fatto sfracelli a Venezia, provò a giocare in una squadra locale e che dovette smettere perché i giovani non gli passavano la palla. Come dire: tu sei già ricco e famoso, perché vuoi negarci l’opportunità di una buona carriera?
Il Partizan da un ventennio è un magnifico laboratorio sperimentale. E’ formativo come l’Actors Studio o il Piccolo teatro se si vuole affrontare il cinema o il palcoscenico. Non hanno inculcato il concetto (o meglio: contro-concetto) degli scudetti giovanili. Infatti il più grande coach della storia, più famoso degli Stankovic, Nikolic, Novosel e via dicendo metteva sul piatto della bilancia la lunga lista di campioni da lui lanciati invece degli scudetti e mini-scudetti. Un apologo, questo, sul quale il duo Meneghin-Recalcati dovrà riflettere – ricordando che loro stessi a 16 anni erano già in serie A – se davvero vogliono pensare a un basket italiano o almeno all’italiana. Meneghin ha creato un circuito di 3 contro 3 che sembra stia raggiungendo i 100 mila iscritti, Siena ha surrogato le altrui carenze promozionali col suo progetto detto “BG” e Roma da parte sua ha creato un’adunata di migliaia e migliaia di ragazzini, il segno che il club di Claudio Toti non vive di solo Lottomatica, perchè probabilmente in quelle leve si nasconde il nuovo Andrea Bargnani, il mago della NBA che con la maglia di Toronto ha fatto nei giorni scorsi 28 contro Chicago e che il mio amatissimo foglio rosa non aveva nemmeno messo fra le nomination dell’Eurobasket.
Elogio degli sconfitti, dunque, anche se a stento il Partizan ha toccato i 150 punti in 3 gare contro il Patton del basket, Ettore Messina. Noi giornalisti avremmo fatto analisi tortuose, loro hanno già archiviato. Domani è un altro giorno, o meglio un “altro giovane”. Onore, più che mai, al rappresentante di un basket autoctono, inesauribile nutrice, una sorta di “razza Piave” del basket mondiale, che ha cambiato questo sport a partire dagli anni settanta, quando i cestisti di stato russi dominavano incontrastati la scena, e due allenatori, l’italiano Primo e lo spagnolo Miguel Diaz, erano i novelli Diogene alla ricerca di un’identità forte per il vispo basket latino, che sarebbe più tardi stato a sua volta protagonista. Da quella scuola vengono anche i due migliori giovani dell’anno, la torre montenegrina Nikola Pekovic, che prima di giocare nel Panathinaikos dove i suoi 216 centimetri e le sue mani buone ne fanno un uomo-chiave (vedi gli scontri con Siena), si è fatto le ossa con la maglia del club che vinse per primo il titolo europeo per i “plavi” (blu) all’inizio degli anni 90; e il MVP dell’Eurocup che vedremo a Torino in questi giorni, Milan Macevan, 19enne gioiello serbo dell’Hemofarm Stada.
Forse, a bocce ferme, si analizzerà come utile esempio l’inversione di marcia della Benetton, simile a quella che fece Siena con Ataman per costruirsi un rango internazionale. Un bel taglio al budget da parte di Giorgio Buzzavo per restare competitivi, e un coach pronto alla sfida e che non si presenta in sede per chiedere questo e quello. Il farmacista turco-macedone Oktay Mahmuti non a caso è stato proclamato coach dell’anno di Eurocup. La Benetton riporta una squadra italiana nelle Final Eight della competizione, Bulleri è rinato, CJ Wallace è diventato il miglior pivot del campionato in maglia trevigiana, l’asse della squadra è stato riequilibrato e giornata dopo giornata ha guadagnato posizioni in classifica. E sarà credo un cliente difficile per tutti nei playoff.