di Enrico Campana
SIENA. I problemi che affliggono il campionato di vertice (sempre più Spaghetti-League) sono molteplici, bisogna però affrontarli nella loro giusta dimensione, senza un facile panico tipicamente italiano, quindi previo un minimo di autocritica individuale e collettiva. Non addebitarli ad altri, non vedere solo la pagliuzza nell’altrui occhio. E ritenere che la soluzione sia esclusivamente il marketing, una scienza acquisita priva del gene forte della sopravvivenza, una scienza (per le Università) moderna, mediata, consequenziale alla validità del prodotto. Il marketing non produce un prodotto, ma viceversa. Mi rivolgo a Dino (Meneghin), inaspettatamente votato assieme al socio (entrato anche lui in Fip) al culto di questa intrigante Circe diventata attività primaria, raccomandandogli di rispettare la sua storia, di ripensare alle sue battaglie gladiatorie, non combattute con lustrini e apparizioni Tv.
Devo ricordagli la mission per cui è stato messo lì, proprio mentre sono sbalordito che si accinga a creare una A-3 per portare al basket le grandi città (che possono essere attratte solo dalla A-1, non certo dal 3° campionato) contro un declassamento sotto forma di ukase di oltre 200 squadre. Prima di tutto bisogna avere un prodotto vincente, con capacità di ammortizzazione, che soddisfi tutti e non solo un’élite autoreferenziale. Sarà utile e dignitoso in questa fase che vede molti imprenditori già fuori dall’uscio (il patron di Ferrara, quello di Rieti bruscamente estromesso) e altri in fase di disimpegno totale o parziale o di ripensamento (fra questi il geniale “Mister Cagiva” varesino, la famiglia pesarese che ha portato avanti la tradizione della Vuelle; forse anche Roma incerta fra il lascia e raddoppia), non riempirsi la bocca della parola crisi. E non nascondersi dietro la foglia di fico di questa crisi.
Fortunatamente lo sport in sé è rigenerativo, e oggi ci si nutre meglio, si conoscono sempre più cose, e in ogni caso una buona dieta come quella che ci aspetta disintossica, aguzza il cervello. I profeti del budget, i Negroponte del parquet, vedrete quale fino faranno, c’è bisogno adesso di una sana e piccola “economica domestica”. Come quella che portò durante il secondo boom italiano un ex-grossista di bevande, il canturino sciur Aldo, al secolo Aldo Allievi, a creare il miglior vivaio d’Italia forte di due fra i migliori allenatori di ogni tempo (Boris Stankovic e Arnaldo Taurisano) per riuscire “con la squadra fatta in casa” a conquistare il titolo italiano e quello europeo. Una squadra di ragazzi bene educati, perfetti nella gestione della propria persona, fra i quali un certo Recalcati e un certo Marzorati, che ai tempi valeva (forse anche di più come simbolo e atletismo) il tanto decantato Ricky Riubio di oggi. Cantù è ancor oggi il club italiano ad avere, se non erro, il miglior palmares a livello internazionale, ha vinto più coppe di Milano, Varese, Bologna, Siena pur essendo figlio di una provincia, Como, che invece ha sempre preferito il basket femminile.
L’Italia è un paese che nella storia dell’ingegno è sempre stato fra i primissimi al mondo in ogni campo e anche nel basket ha preso il bel regalo fatto dagli americani ai tempi della guerra e l’ha trasformato in un fenomeno sociologico preciso. Il papà dei primi grandi allenatori italiani ai quali consegnò le tavole dei “Foundamentals”, i segreti del gioco come il passaggio, il palleggio, il tiro, il rimbalzo, etc, è stato un graduato dell’esercito Usa, Elliot Van Zandt, poi è venuto il geniale vulcanico Jim McGregor, che sarebbe stato un perfetto generale Patton.
L’Archimede Pitagorico è stato il romano avvocato Claudio Coccia il quale ha saputo valorizzare gli investimenti di imprenditori lungimiranti e in alcuni casi molti potenti (vale a dire i padri del primo boom, Adolfo Bogoncelli con l’idea-Simmenthal, nata addirittura come fondaco milanese per propagandare l’italianità di Trieste, grande causa, e il cumendatur Giovanni Borghi, ai tempi il maggior imprenditore italiano dopo Agnelli, con la sua idea-Ignis), creando un sano mix fra sport, interessi, ragioni di palazzo, futuribilità.
Il basket è stato così il primo sport per quanto riguarda gli sponsor, gli stranieri, le formula, la A-1 e A-2, i playoff e i playout ai quali credo il calcio presto si convertirà. Per troppo amore per il basket e per la sua autorità Claudio forse si è giocato una splendida carriera di presidente del CONI, se andiamo a vedere il management del basket di quei tempi e quello di oggi capiremo che il problema non è la crisi, è la conoscenza, l’innovazione, l’ibrido imprenditoriale e un ego ipertrofico, che riduce il significato sportivo e collettivo dell’impegno, fino a sconfinamenti mai prima consentiti. Questo produce un sistema appiattito su certe posizioni, per cui i titoli – che certo non si comperano al supermercato, sono segno di capacità organizzative, di qualità del team, del coach e così via – alla fine sono sviliti anche nella loro eccezionalità. Fino al un paradosso ingrato con la Mens Sana dei record, vera vox clamantis in deserto. Una squadra-simbolo che vince e colleziona record come il Simmenthal degli anni d’oro, 4 scudetti fra il 2004 ed oggi, il 3° e 4° consecutivo in arrivo, ma solo una volta presente nelle ultime 6 finali di Eurolega, che non ha dato un solo giocatore alla nazionale, precipitata a sasso proprio a partire dal 2004. Una pura coincidenza, non voglio creare sottili e subdoli ragionamenti, non si fa peccato a creare un dibattito, a trovare soluzioni alternative che portino equilibrio.
Qual è oggi la differenza fra i vari livelli del basket?. Abbiamo sottomano l’uscita nei quarti di Treviso e Roma, i più interessanti progetti del basket della scorsa stagione, che forse hanno suggestionato gli autori dei medesimi, senza ritenere che in Italia il manico conta, vedi Mourinho per l’Inter. E quindi Roma ha sbagliato a lasciar andar via Repesa, a voler confermare Gentile, il quale non voleva prenderne il posto, aveva un deficit d’esperienza, ma ancor più di lui il suo management. Mentre Treviso ha promosso un coach che a me non dispiace, Frank Vitucci, per dare un senso al proprio vivaio, dimenticandosi però di verificare se la rotta era quella giusta: le squadre, le grandi squadre, nascono dalla difesa.
Treviso, dopo aver provato con Kukoc a diventare la 24.a squadra NBA, ha capito che il basket italiano non garantiva un supporto di un’economia di mercato in linea con l’azienda Benetton, è passato prevalentemente a un progetto sociale che può avere una valenza, rispetto al passato, alla battaglia della Mens Sana per l’introduzione dell’educazione fisica nelle scuole. Si tratta di “Primo Sport 0-2-4-6 anni”, frutto del grido d’allarme degli studiosi che hanno capito che i ragazzini escono dalla culla e diventano schiavi di giochi, coccole, merendine e Tv, e a 6 anni tendono all’obesità e non sanno nemmeno correre.
Il progetto dei Parchi Giochi partito da Treviso riflette bene anche le finalità sociali – la responsabilità dell’impresa – di un grande gruppo, la sua comunicazione su livelli internazionali e difatti all’inaugurazione con ministri di spicco, grandi imprenditori e di un Gianni Petrucci che ha ringraziato per l’assist e addirittura ha interessato la BBC significa lo spostamento di Verdesport SpA su orizzonti più ampi. Il braccio sportivo creato da Gilberto Benetton, è un paradiso dello sport. L’investimento è nato per passione, ma non è un bancomat e il suo “ad” deve raccogliere diversi milioni ogni anno per avere un utile di bilancio, con 130 aziende partner fra cui multinazionali, come per le altre sorelle del Gruppo di Ponzano. Questo “ad”, che si chiama Giorgio Buzzavo, ha fatto autocritica per gli errori, anche i suoi, ha ringraziato però i collaboratori e sottolineato che Repesa è un grande coach.
Da Roma invece si legge di un presidente che stimiamo per l’impegno, la passione, sempre indeciso nel dotare Roma di un’organizzazione adeguata, in grado di ammortizzare certe delusioni. E’ possibile un progetto Verdesport anche nell’ipercalcistica Roma? E’ possibile, sì, basta volerlo. “La mia soddisfazione però sarebbe – ha detto il presidente romano – quella di avere un giorno un campo così caldo come quello di Caserta o di Siena. Dovrò fare alcune considerazioni al termine di questa stagione, ma non dimentichiamoci che abbiamo una immagine da difendere anche in Europa. Dovremo quindi trovare un compromesso fra quello che ci impone l'Eurolega e il progetto un po' più a lunga scadenza in Italia”.
Speriamo che rifletta al meglio e si corregga il presidente che va a correre con i giocatori, non basta per raggiungere certi livelli “un campo caldo” né ragionare in termini di “compromesso”, parola che in Italia ha giustificato la commistione e confusioni.
A proposito, sabato 29 mattina a Roma i club dilettanti fra cui 4 senesi (Virtus, Costone, Cus, Colle), sono chiamati a votare pro o contro la A-3, e chi ha una larghissima maggioranza non può tollerare accordi a tavolino a sua insaputa. E registriamo al proposito una lettera del presidente di Jesolo San Donà Basket, che denuncia “la proposta di Meneghin una provocazione per portarci su di un altro obiettivo, perché è insostenibile sia sotto il profilo del diritto che sotto quello oggettivo”, e questo spiega perché la FIP l’ha deliberata ma non ancora pubblicata, evidentemente perché teme l’impugnativa immediata da parte delle società che non ricadrebbero nel tranello di Maifredi di tre anni fa, e di essere portata in un contenzioso dagli sviluppi imprevedibili, soprattutto se viene avviata anche un’azione per danni”. “Probabilmente – conclude Giambattista Ferrari che delegittima la retromarcia del presidente di LNP – l’obiettivo della FIP è quello di portarci a trattare su una vecchia proposta, però in termini economici sicuramente più costosa dell’attuale configurazione a piramide perfetta e causerebbe una valanga di retrocessioni”.
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SIENA. I problemi che affliggono il campionato di vertice (sempre più Spaghetti-League) sono molteplici, bisogna però affrontarli nella loro giusta dimensione, senza un facile panico tipicamente italiano, quindi previo un minimo di autocritica individuale e collettiva. Non addebitarli ad altri, non vedere solo la pagliuzza nell’altrui occhio. E ritenere che la soluzione sia esclusivamente il marketing, una scienza acquisita priva del gene forte della sopravvivenza, una scienza (per le Università) moderna, mediata, consequenziale alla validità del prodotto. Il marketing non produce un prodotto, ma viceversa. Mi rivolgo a Dino (Meneghin), inaspettatamente votato assieme al socio (entrato anche lui in Fip) al culto di questa intrigante Circe diventata attività primaria, raccomandandogli di rispettare la sua storia, di ripensare alle sue battaglie gladiatorie, non combattute con lustrini e apparizioni Tv.
Devo ricordagli la mission per cui è stato messo lì, proprio mentre sono sbalordito che si accinga a creare una A-3 per portare al basket le grandi città (che possono essere attratte solo dalla A-1, non certo dal 3° campionato) contro un declassamento sotto forma di ukase di oltre 200 squadre. Prima di tutto bisogna avere un prodotto vincente, con capacità di ammortizzazione, che soddisfi tutti e non solo un’élite autoreferenziale. Sarà utile e dignitoso in questa fase che vede molti imprenditori già fuori dall’uscio (il patron di Ferrara, quello di Rieti bruscamente estromesso) e altri in fase di disimpegno totale o parziale o di ripensamento (fra questi il geniale “Mister Cagiva” varesino, la famiglia pesarese che ha portato avanti la tradizione della Vuelle; forse anche Roma incerta fra il lascia e raddoppia), non riempirsi la bocca della parola crisi. E non nascondersi dietro la foglia di fico di questa crisi.
Fortunatamente lo sport in sé è rigenerativo, e oggi ci si nutre meglio, si conoscono sempre più cose, e in ogni caso una buona dieta come quella che ci aspetta disintossica, aguzza il cervello. I profeti del budget, i Negroponte del parquet, vedrete quale fino faranno, c’è bisogno adesso di una sana e piccola “economica domestica”. Come quella che portò durante il secondo boom italiano un ex-grossista di bevande, il canturino sciur Aldo, al secolo Aldo Allievi, a creare il miglior vivaio d’Italia forte di due fra i migliori allenatori di ogni tempo (Boris Stankovic e Arnaldo Taurisano) per riuscire “con la squadra fatta in casa” a conquistare il titolo italiano e quello europeo. Una squadra di ragazzi bene educati, perfetti nella gestione della propria persona, fra i quali un certo Recalcati e un certo Marzorati, che ai tempi valeva (forse anche di più come simbolo e atletismo) il tanto decantato Ricky Riubio di oggi. Cantù è ancor oggi il club italiano ad avere, se non erro, il miglior palmares a livello internazionale, ha vinto più coppe di Milano, Varese, Bologna, Siena pur essendo figlio di una provincia, Como, che invece ha sempre preferito il basket femminile.
L’Italia è un paese che nella storia dell’ingegno è sempre stato fra i primissimi al mondo in ogni campo e anche nel basket ha preso il bel regalo fatto dagli americani ai tempi della guerra e l’ha trasformato in un fenomeno sociologico preciso. Il papà dei primi grandi allenatori italiani ai quali consegnò le tavole dei “Foundamentals”, i segreti del gioco come il passaggio, il palleggio, il tiro, il rimbalzo, etc, è stato un graduato dell’esercito Usa, Elliot Van Zandt, poi è venuto il geniale vulcanico Jim McGregor, che sarebbe stato un perfetto generale Patton.
L’Archimede Pitagorico è stato il romano avvocato Claudio Coccia il quale ha saputo valorizzare gli investimenti di imprenditori lungimiranti e in alcuni casi molti potenti (vale a dire i padri del primo boom, Adolfo Bogoncelli con l’idea-Simmenthal, nata addirittura come fondaco milanese per propagandare l’italianità di Trieste, grande causa, e il cumendatur Giovanni Borghi, ai tempi il maggior imprenditore italiano dopo Agnelli, con la sua idea-Ignis), creando un sano mix fra sport, interessi, ragioni di palazzo, futuribilità.
Il basket è stato così il primo sport per quanto riguarda gli sponsor, gli stranieri, le formula, la A-1 e A-2, i playoff e i playout ai quali credo il calcio presto si convertirà. Per troppo amore per il basket e per la sua autorità Claudio forse si è giocato una splendida carriera di presidente del CONI, se andiamo a vedere il management del basket di quei tempi e quello di oggi capiremo che il problema non è la crisi, è la conoscenza, l’innovazione, l’ibrido imprenditoriale e un ego ipertrofico, che riduce il significato sportivo e collettivo dell’impegno, fino a sconfinamenti mai prima consentiti. Questo produce un sistema appiattito su certe posizioni, per cui i titoli – che certo non si comperano al supermercato, sono segno di capacità organizzative, di qualità del team, del coach e così via – alla fine sono sviliti anche nella loro eccezionalità. Fino al un paradosso ingrato con la Mens Sana dei record, vera vox clamantis in deserto. Una squadra-simbolo che vince e colleziona record come il Simmenthal degli anni d’oro, 4 scudetti fra il 2004 ed oggi, il 3° e 4° consecutivo in arrivo, ma solo una volta presente nelle ultime 6 finali di Eurolega, che non ha dato un solo giocatore alla nazionale, precipitata a sasso proprio a partire dal 2004. Una pura coincidenza, non voglio creare sottili e subdoli ragionamenti, non si fa peccato a creare un dibattito, a trovare soluzioni alternative che portino equilibrio.
Qual è oggi la differenza fra i vari livelli del basket?. Abbiamo sottomano l’uscita nei quarti di Treviso e Roma, i più interessanti progetti del basket della scorsa stagione, che forse hanno suggestionato gli autori dei medesimi, senza ritenere che in Italia il manico conta, vedi Mourinho per l’Inter. E quindi Roma ha sbagliato a lasciar andar via Repesa, a voler confermare Gentile, il quale non voleva prenderne il posto, aveva un deficit d’esperienza, ma ancor più di lui il suo management. Mentre Treviso ha promosso un coach che a me non dispiace, Frank Vitucci, per dare un senso al proprio vivaio, dimenticandosi però di verificare se la rotta era quella giusta: le squadre, le grandi squadre, nascono dalla difesa.
Treviso, dopo aver provato con Kukoc a diventare la 24.a squadra NBA, ha capito che il basket italiano non garantiva un supporto di un’economia di mercato in linea con l’azienda Benetton, è passato prevalentemente a un progetto sociale che può avere una valenza, rispetto al passato, alla battaglia della Mens Sana per l’introduzione dell’educazione fisica nelle scuole. Si tratta di “Primo Sport 0-2-4-6 anni”, frutto del grido d’allarme degli studiosi che hanno capito che i ragazzini escono dalla culla e diventano schiavi di giochi, coccole, merendine e Tv, e a 6 anni tendono all’obesità e non sanno nemmeno correre.
Il progetto dei Parchi Giochi partito da Treviso riflette bene anche le finalità sociali – la responsabilità dell’impresa – di un grande gruppo, la sua comunicazione su livelli internazionali e difatti all’inaugurazione con ministri di spicco, grandi imprenditori e di un Gianni Petrucci che ha ringraziato per l’assist e addirittura ha interessato la BBC significa lo spostamento di Verdesport SpA su orizzonti più ampi. Il braccio sportivo creato da Gilberto Benetton, è un paradiso dello sport. L’investimento è nato per passione, ma non è un bancomat e il suo “ad” deve raccogliere diversi milioni ogni anno per avere un utile di bilancio, con 130 aziende partner fra cui multinazionali, come per le altre sorelle del Gruppo di Ponzano. Questo “ad”, che si chiama Giorgio Buzzavo, ha fatto autocritica per gli errori, anche i suoi, ha ringraziato però i collaboratori e sottolineato che Repesa è un grande coach.
Da Roma invece si legge di un presidente che stimiamo per l’impegno, la passione, sempre indeciso nel dotare Roma di un’organizzazione adeguata, in grado di ammortizzare certe delusioni. E’ possibile un progetto Verdesport anche nell’ipercalcistica Roma? E’ possibile, sì, basta volerlo. “La mia soddisfazione però sarebbe – ha detto il presidente romano – quella di avere un giorno un campo così caldo come quello di Caserta o di Siena. Dovrò fare alcune considerazioni al termine di questa stagione, ma non dimentichiamoci che abbiamo una immagine da difendere anche in Europa. Dovremo quindi trovare un compromesso fra quello che ci impone l'Eurolega e il progetto un po' più a lunga scadenza in Italia”.
Speriamo che rifletta al meglio e si corregga il presidente che va a correre con i giocatori, non basta per raggiungere certi livelli “un campo caldo” né ragionare in termini di “compromesso”, parola che in Italia ha giustificato la commistione e confusioni.
A proposito, sabato 29 mattina a Roma i club dilettanti fra cui 4 senesi (Virtus, Costone, Cus, Colle), sono chiamati a votare pro o contro la A-3, e chi ha una larghissima maggioranza non può tollerare accordi a tavolino a sua insaputa. E registriamo al proposito una lettera del presidente di Jesolo San Donà Basket, che denuncia “la proposta di Meneghin una provocazione per portarci su di un altro obiettivo, perché è insostenibile sia sotto il profilo del diritto che sotto quello oggettivo”, e questo spiega perché la FIP l’ha deliberata ma non ancora pubblicata, evidentemente perché teme l’impugnativa immediata da parte delle società che non ricadrebbero nel tranello di Maifredi di tre anni fa, e di essere portata in un contenzioso dagli sviluppi imprevedibili, soprattutto se viene avviata anche un’azione per danni”. “Probabilmente – conclude Giambattista Ferrari che delegittima la retromarcia del presidente di LNP – l’obiettivo della FIP è quello di portarci a trattare su una vecchia proposta, però in termini economici sicuramente più costosa dell’attuale configurazione a piramide perfetta e causerebbe una valanga di retrocessioni”.
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