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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Per chi suona la Campana. Basket europeo, Partizan e baroni italiani

di Enrico Campana
SIENA. In attesa dell’Halloween senese di giovedì 11 febbraio, ospita la rinascente Pesaro, squadra di qualità di gioco e adesso anche di giocatori,  la Mps, brava a salvare la ghirba sotto di 20 in Turchia. E’ stata infatti capace di recuperare quei 10 punti di scarto che le consentono sulla carta di avere le stesse probabilità per i playoff  di Efes Pilsen, Maccabi e Real Madrid (prossimo avversario giovedì 11 febbraio a Siena) anche se, tanto  invalsa l’abitudine italiana di visioni catastrofiche, potrebbe  crearsi un clima ingiustificato di panico. Ricordato che nel saldo Siena è messa maluccio rispetto alle 3 concorrenti per i 2 posti, la corsa è lunga.
Conviene, per prima cosa,  lasciar stare argomenti complottardi,  del tempo “Brazauskas vs. Minucci” o viceversa. Temi pericolosi se costruiti su voci, tesi di parte, argomenti che di fatto allontanano l’esame dei problemi reali e le relative responsabilità che saranno già state affrontate a “Fort Mens Sana”.
Le verità tartufesche lette qua e là (non parlo della società, ma di quelle di certi blog e social forum) sono fallaci, parliamo invece della salute (pessima)  della squadra ma anche, partendo proprio da questo, dalla  impostazione di questa  gara. Specie in un particolare clima dell’ambiente e  le caratteristiche gladiatorie dei turchi.  Mi permetterà  quindi SuperSimo – che come CT azzurro adesso è più osservato – che  da un coach con i suoi titoli, con l’enorme simpatia e  fiducia che tutti noi riponiamo in lui,  ci si aspettava almeno quelle piccole cose che si fanno per tentare di sparigliare una gara di questo livello. Magari bisognosa di cosette semplici, di “cardaiolana memoria” (qui si parla di Ezio Cardaioli, il padre dei coaches di Siena… mezzo scienziato e mezzo ragioniere).
Un piccolo esempio: in una gara “canestro e randello” forse conviene mettere subito sotto canestro Denis Marconato,  preso proprio per i suoi 35 anni e la grande esperienza in gare internazionali, quindi per occasioni come quella di Istanbul, chiedendogli di interpretare il ruolo di gladiatore e suggerire al collega Eze  (0 rimbalzi difensivi ma anche pochi falli…), che si deve giocare in orizzontale e non in verticale. E  magari, altra cosetta,  iniziare con due pivot veri, o terza cosetta puntare su Zizis, uomo d’ordine esperto, ragionatore, lineare, per preservare  un McIntyre non più di primo pelo, aggredito in Europa, che veniva già da una precedente serataccia di tiro, e purtroppo s’è ripetuto..
A proposito del “Why-gate” proposto dalla Tv,  vorremmo dire solo due cose: che l’arbitro Brazauskas ha fatto quel che deve fare un primo arbitro di livello internazionale, e che Ferdinando Minucci ha fatto quel che deve fare un bravo presidente di una squadra che ha dei problemi e necessita di una scossa forte. Qua la mano, una reazione umana, la sua…
Speculazioni sugli arbitraggi mai ne ho fatti in vita mia, specie riguardo ad  una sola gara, un solo episodio come sembra invece rituale della mentalità distorta della spaghetti-league. E inoltre: proprio noi italiani siamo i meno indicati, in fondo, a criticare gli arbitraggi, per quanto sta scritto sugli atti della procura di Reggio Calabria a proposito di “Arbitropoli”. Si narrano i “peccatucci” veniali di arbitri di Serie A con tanto di nomi e cognomi, onorata carriera e stile personale. Si tratta di superficialità, però altamente tossiche e pericolose nel paese della cultura del sospetto e del complotto.
Occorre precisare una cosa: l’arbitraggio di Istanbul, stile internazionale,  è di metro diverso da quello italiano, che guarda  più alle minuzie, sparagnino, finalizzato spesso alla compensazione. E lo dimostra proprio il caso di uno dei migliori fischietti, Lamonica, intervenuto a Belgrado da  “causidico” (eccelso?) per dirimere il caso dell’interferenza (sospetta) del Partizan sul tiro del Barcellona che ballava sull’anello. L’ha giudicato a tempo scaduto, da qui foto e fotogrammi, e che doveva fare? Non c’era nemmeno bisogno infatti di fermare il gioco e creare discussioni a non finire. “Verum quod inutile”, dicevano i latini. Il vero non necessita di spiegazioni.
Si tratta delle tipiche minuzie “italiote” su cui si costruiscono i drammoni greci dei nostri playoff, e che una dopo l’altra, dalla prima all’ultima gara della stagione, spezzettano il gioco, abbassano lo spettacolo, tarpano le ali ai giocatori, fomentano spesso solo  polemiche e costringono coach alla giusta contraria. Cioè a vincere secondo il metro arbitrale. Il che significa subire la situazione, non sfidarla. Questo andazzo, eccolo là l’arcano,  offre  a certi arbitri  il pretesto per il fischio chirurgico,  scientifico, quello che puntualmente riassume spesso in una chiamata l’esito di una gara. Con polemiche a cascata.  
Ecco come nascono le  baronie del fischietto, quando invece  gli arbitri bravi e giovani ci sarebbero. E non sono in pochi. Taccio però  i nomi, perché la nomenclatura arbitrale, se ancora è autonoma, sarebbe capace di metterli al bando, come eretici di un sistema a sua volta eretico, e ancor più “compromesso” nella sua naturale evoluzione, come si è assistito alla “comica” partita sotto traccia giocatasi in questi giorni fra CIA e Aiap in quella che avrebbe dovuto essere l’”operazione-kleenex”.
C’è stato, si dice,  uno scambio di lettere e accuse, e una capitolazione finale del…grande capo, mica del suo sottoposto insubordinato, come avviene nei sistemi del merito. Sì, proprio colui  che nei verbali della Procura di Reggio Calabria, come  scrivono quei giornali che il medesimo “furbetto del campino” non ha potuto smentire, si sarebbe addirittura  prestato a raccomandare ai capi una sua arbitressa, mentre in contemporanea un’altra arbitressa veniva ghettizzata. Ma lo sa queste cose il ministro della Pari Opportunità? E Meneghin può continuare a far finta di nulla, a considerarsi nel “migliore dei mondi possibili” per dirla come Voltaire,  lui che una volta uscì dal campo lanciando le polsiere addosso a due grandi arbitri?  
Caro grande Dino, sappi una cosa: così, ripeto, nascono e proliferano le baronie arbitrali del basket-spaghetti, e se tutti quanti, a 350 gradi,  ti chiedono di fare pulizia, è meglio, anche per la stessa credibilità di chi vince perché non è giusto che venga chiacchierato. Pertanto: ci vuole poco magari mettere in piedi il sorteggio da qui ai playoff?  O continuiamo a fidarci che sia scontato l’esito del campionato, per rinviare e rinviare ancora? Non è meglio, per un dovere istituzionale, riprendere un controllo totale della situazione, e passare dunque al sorteggio “coram populo”, almeno per un primo passo di buona volontà?
Nota tecnica e pratica, infine, sullo sfondo di questi discorsi di fondo. La dialettica del basket di coppe lascia spazio al gioco fisico, e in questa ottica per arrivare a certi traguardi, come una Coppa dei Campioni, devi avere il pivot-ariete. E quando il centro titolare porta 3 rimbalzi, ma zero in difesa, bisogna prenderne atto. Purtroppo, le nostre squadre, anche le meglio costruite, rispondono talvolta a logiche da manuale Cencelli, invece che a quanto occorre per vincere sullo scacchiere europeo, e lasciamo stare stavolta la storia dei budget o l’”Europa decadente”. Argomenti che fanno arrossire  di fronte ai due colpi del Partizan e alla quasi eliminazione del Panathinaikos che, mi assicura Costas Daskalopoulos, ammonta a un record di 26 milioni di euro. Per noi, dove un certo proprietario non smette di dire ai quattro venti che nel campionato gli italiani non solo altro che l’arredo, salvo poi mettere alla porta Fabio Di Bella, il play della squadra dell’anno, un comunitario significa un vantaggio.  Siamo sicuro sia così? Certo, puoi vincere anche  col 60 per cento da 3 punti, come Siena peraltro può fare, ma occorre il big-man, senza guardare al passaporto. E devi prendere uno che ha le caratteristiche per quel gioco maschio, che fa scintille, molto più formativo di certi scontati valzer nostrani o, come dice il poeta Gozzano, “del the triste  delle 5 in attesa dell’ora di cena”. Se poi è comunitario o italiano di passaporto, tanto meglio.
Butto là ad esempio  un’ipotesi estrema, prima di verificare il regolamento lo permette: mi chiedo,  ma se Siena va avanti, e il Panathinaikos va fuori, perché non cercare di “affittare” un pivot quale Nikola Pekovic? Provvedo a informarmi, dato per scontato che i regolamenti cambiano spesso (da quest’anno l’Europa  consente 3 comunitari, 3 stranieri, 4 giocatori di formazione nazionale), e non è possibile. Peccato.
Avremmo comunque  sempre un campo teorico di scelta europeo interessante, senza escludere i tagli NBA, fra i pivot delle squadre eliminate nella regular season. A titolo indicativo, non per fare polemica o il gioco degli agenti,  ma solo per collaborare con l’Amata, mi permetto di elencare una serie di possibili candidati, con le relative cifre di rendimento: Ali Traore (classe 1985, francese ASVEL, 14,5 pt. 5,4 rb),  Ludovic Vaty (1988, francese ,Orleanaise, 7 pts. 4,8 rb), Jasmin Perkovic (1980,croato, Oldenburg, 9,5 pt. 4,1 rb), Marko Scekic (1981 bosniaco, Oldenburg, 8,2 pt., 4,7 rb), Milko Bjelica (1984, montenegrino ,Lietuvos Rytas, 11,8 pt. 4,3 rb.),  Nemanja Aleksandrov (serbo Olimpija Ljubljana, 2,6 pts. 2,6 rb).
Certo, vien da mordersi le mani pensando a giocatori come il ceko diciannovenne Jan Vesely  del Partizan che ha vinto (15 rimbalzi) il duello con Ndong e tenuto il’illustre predecessore Pekic, o il croato Ante Tomic che poche settimane fa Ettore Messina ha portato al Real Madrid fino al 2013.
In fondo erano almeno comunitari…
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