di Umberto De Santis
SIENA. Dal fallimento della Montepaschi Mens Sana Spa provocato dalla mancanza semi-improvvisa della pioggia di quattrini con cui la banca aveva foraggiato la prima squadra cittadina per circa una quindicina di anni – con punte superiori anche a 15 milioni di euro annui complessivi – abbiamo imparato poco. Non è stata economicamente facile la vita per la nuova Mens Sana Basket fin dal momento di scrivere il bilancio della vittoriosa stagione in serie B. Sono quattro anni di fila, cominciando dalla stagione 2015-16 che, dopo Natale, esplodono i problemi finanziari, giusto in corrispondenza dell’esaurimento del gruzzoletto racimolato con la campagna abbonamenti.
L’Associazione “Io tifo Mens Sana”, che si era resa promotrice della salvezza della società nella primavera 2016, aveva poi ceduto la guida a un neo-Consorzio di imprenditori che ne avrebbe dovuto essere la spina dorsale. Evidenti mancanze di leadership e di mission hanno reso velleitario il passaggio di consegne dall’Associazione, che avrebbe voluto ritagliarsi un posto di “garante” dei contributi dei suoi associati, alla nuova realtà consortile. Essa si è trascinata stancamente, con le ricorrenti voci di fallimento, fino alla primavera 2017 in cui è comparso lo sponsor Soundreef. Quello di cui ci hanno raccontato che con una sola partita con maglia griffata 2016-17 sarebbero usciti i soldi per sistemare tutte le pendenze. E la Soundreef, come più volte affermato pubblicamente, farebbe capo alla famiglia Macchi che così entra nella storia della Mens Sana alla grande.
Tanto è vero che l’estate comincia con i fuochi d’artificio con un nuovo presidente, piani ambiziosi, americani costosissimi, del cui cachet si viene a sapere solo dalla derisione degli avversari che con lo stipendio di loro due ci pagano l’intera squadra. Ma anche ricorrenti cadute sul piano operativo e mediatico che fanno storcere la bocca a chi ha competenza nella gestione di squadre sportive e poi anche agli sportivi.
More solito, alle prime difficoltà finanziarie – con scuse varie e sempre di circostanza – spariscono i vari protagonisti più o meno glamour per scaricare il “pacco” alla Siena Sport Network, che, da socio-sponsor (Soundreef e poi On Sharing) al 34% di una compagine sociale affiatata, si ritrova a poter esercitare oggi un diritto di proprietà che potrebbe arrivare a oltre il 90%, se davvero dovesse eseguire da sola l’aumento di capitale da 500mila euro lanciato nel luglio 2018 ma fin qui non sottoscritto da alcuno, almeno a quanto ha riferito pubblicamente Massimo Macchi, attuale presidente.
Progressivamente la voce, l’azione, la presenza del Consorzio si zittiscono da sole in una inania sconcertante, culminata nelle dimissioni dal Cda della Mens Sana dei suoi consiglieri. L’Associazione dei tifosi, che dagli oltre seicento soci iniziali è precipitata a meno di 200, segue lo stesso percorso del Consorzio, venendo meno all’azione di garanzia che ne giustifica l’esistenza in presenza di una proprietà che, almeno sulla carta, si dichiara forte suo malgrado. Sì, perché il grido di dolore che si alza per chiedere soldi a destra e a manca non fa il paio con una gestione sportiva importante, al punto che in sequenza giocatori come Poletti, Pacher, Prandini, Morais e Marino lasciano la squadra per giungere alla gara di ieri sera in casa contro Scafati con appena cinque titolari del roster assemblato lo scorso settembre.
A noi che le persone che parlano per inglesismi ci sono sempre state un poco così (anche di termini tecnici della pallacanestro ne usiamo in abbondanza e siamo capaci di rispondere a tono), sentir dire di stakeholders che devono pagare a prescindere dallo spettacolo offerto nel 2019, sembra un atteggiamento davvero datato. Così si parla spesso per non farsi capire e forzare il rispetto nei confronti di chi non possiede la stessa scioltezza del linguaggio. L’esistenza al giorno d’oggi di tante realtà storiche del basket italiano in crisi finanziaria ed economica ci consente di affermare che questo andazzo del mecenatismo (o finto mecenatismo), che ancora pervade il mondo delle società sportive, non funziona più.
La mancanza di un progetto imprenditoriale complessivo ha strozzato il Consorzio senese. Parimenti si stanno trasformando gli altri (pochi) consorzi operativi esistenti in Italia in realtà più funzionali. E poiché “senza lilleri non si lallera” bisogna che sia l’im-prenditore a progettare e finanziare l’opera, giusto perché è il fondamento della società capitalistica, giusto per non perdere per la strada il prefisso im-.