SIENA. La pallacanestro italiana non ha ancora assimilato il lungo dominio della Montepaschi Siena in serie A. Una squadra che giusto dieci anni fa – il 16 maggio 2010 – chiudeva la stagione regolare 2009-10 con 52 punti, frutto di 26 vittorie e due sole sconfitte (campionato dispari per la squalifica della Sebastiani Rieti trasferita a Napoli e poi fallita), lasciando la seconda, la Juvecaserta, a 16 punti di distacco e l’Armani Milano a 18.
Ricordi che non piacciono evidentemente a nessuno. Né a chi tra gli addetti ai lavori, all’epoca, lisciava in tutti i modi Ferdinando Minucci (dominus a ragione di uno scudetto che non è stato toccato dalle squalifiche seguenti e forte di un budget imperiale che doppiava quello della avversaria più ricca); né a chi oggi, quotidianamente, si trova a dover affrontare l’argomento senza evitare il fastidio di mostrare un senso di inferiorità.
Ne è, ahimè, prova una recente intervista a Luca Banchi fatta da un sito milanese chiamato
backdoorpodcast.com. Il video dell’intervista è completo. Ma nella sua presentazione le tante e belle parole con cui il coach descrive le sue considerazioni sul lungo periodo al PalaSclavo non sono nemmeno menzionate. Si potrebbe pensare a una versione maschile psicoanalitica dell’invidia del pene descritta da Sigmund Freud…
Ma ecco le parole di Luca Banchi: “La consapevolezza di essere forti. Si era creata una consapevolezza che nasceva dalle vittorie. Nulla quanto vincere insegna a farlo. Ci sono state delle modalità con le quali abbiamo centrato i successi che sicuramente hanno contribuito a scolpire questo stile di essere, perché tale era … un autentico stile.
La squadra aveva una chiara identità, una consapevolezza dei ruoli quindi anche quando dava la sensazione di non essere pronta a soffocare l’avversario fino dall’inizio, in realtà aveva, avevamo, la consapevolezza che saremmo stati pronti nei momenti di difficoltà dei nostri avversari di chiudere la gara.
Pochi segreti all’atto pratico. Intanto avere certe tipologie di giocatori, più diesel, e non dei giocatori sprint, quindi erano dei motori che andavano attivati, spalmando il loro minutaggio, avere pazienza nell’arco della gara.
Poi il segreto di pulcinella: il secondo quintetto. Erano sulla bocca di tutti certi giocatori, sicuri protagonisti dei nostri successi ma avevi, ti potevi permettere di fare uscire dalla panchina, giocatori come Zisis, Kaukenas, come Carraretto, come Lavrinovic, come Tomas Ress, ricordo Pietro Aradori, Andrea Michelori ed altri, tanti altri che hanno caratterizzato i nostri secondi quintetti …. questo era qualcosa di impareggiabile per i nostri avversari.
Poi consapevolezza del ruolo che ognuno aveva e questo va dato merito a tutti, a Simone, ai compagni stessi, al club. Tutti hanno saputo creare le condizioni perché questa squadra giorno dopo giorno riuscisse a definire “questo stile” di gioco, queste caratteristiche.
Una squadra disposta a lavorare molto anche negli allenamenti a dispetto persino degli impegni; una squadra che creava quell’intensità vincente anche nel lavoro quotidiano. Poi quei piccoli aggiustamenti che si facevano ogni anno, eccetto il mio settimo anno, in cui fu necessario, non si sono mai fatti profondi cambiamenti ma solo opportuni aggiustamenti.
Questo ce lo consentiva la solidità del club dal punto di vista economico, ce lo consentiva la visione, la lungimiranza del nostro managemet … quindi quei pochi giocatori che arrivavano ogni estate avevano un compito agevolato perché avevano già una strada.
Ed anche quando Simone accettò l’incarico part-time andando ad allenare anche la nazionale, l’intero sistema aveva acquisito una efficienza tale per cui riuscivamo a lavorare a prescindere dalla sua presenza o meno durante l’estate. Onestamente si erano creati quei presupposti perché quel programma potesse durare nel tempo.
Poi la forza economica aiuta perché ci fu la possibilità di resistere anche ai rinnovi contrattuali di giocatori che si stavano mettendo in luce non solo a livello italiano ma anche a livello europeo. Lavorare al pari e come le altre. Per lo stesso Simone, un allenatore ambito, voluto dai migliori club europei, Siena continuava ad essere una soluzione possibile. Quindi devi avere alle spalle un club con una struttura organizzativa ed economica di un certo livello.
Il primo anno da capo-allenatore, il settimo nella mia storia senese, cambiarono molte cose, cambiarono 8/9 dodicesimi della squadra. Si ridusse drasticamente il budget e dovemmo andare a battere dei percorsi fino a quel momento inesplorati; non potevamo più appoggiarsi all’affidabilità di una squadra rodata ma dovevamo investire sull’imprevedibilità, il desiderio di affermarsi dei nuovi e gli autentici trascinatori di quella stagione furono proprio i nuovi arrivati, Daniel Hackett, Bobby Brown che utilizzarono Siena per un ulteriore lancio nella loro carriera”.
Ah, per non dimenticare come è andata a finire la stagione 2009-10, i playoff furono assolutamente trionfali per una superiorità schiacciante: asfaltata con un netto 3-0 la Benetton Treviso nei quarti, ancora per 3-0 la NGC medical Service Cantù in semifinale, per 4-0 l’Armani Jeans Milano. Con uno scarto di 24 punti a favore in gara 4 e con Romain Sato MVP.