di Umberto De Santis
SIENA. Lorenzo Bucarelli è stato l’ultimo “prodotto da serie A” sfornato dalla Mens Sana. In questo triste 2019-20 che ha visto non solo la pallacanestro ma tutto lo sport mondiale fermarsi a causa del Covid-19, Bucarelli non dimenticherà di aver colto il primo successo importante in serie A, giocatore protagonista nella Dinamo Sassari di Gianmarco Pozzecco, grazie alla vittoria nella Supercoppa Italiana dello scorso settembre.
OA sport lo ha intervistato, e noi vogliamo riprendere e soffermarci sulle sue considerazioni verso i due step che l’hanno visto protagonista – soprattutto a livello giovanile – sia con la vecchia Montepaschi che con la Basket 1871 della disgraziata ripartenza nel periodo 2015-17. A livello giovanile può vantare, tra diversi successi, la medaglia d’argento conquistata con l’Italia Under 19 nel 2017 a Il Cairo, che gli ha garantito l’inserimento nel miglior quintetto della manifestazione con coetanei poi finiti nella NBA come RJ Barrett (Canada) e con il prospetto del prossimo draft Payton Pritchard, dopo aver battuto il rookie dei Washington Wizards Rui Hachimura (Giappone).
Siena 1. “Diciamo che la parte importante della mia crescita è stata a Siena. Stella Azzurra e Veroli sono state piccole parentesi. Io sono cresciuto sotto l’influenza Montepaschi, che è stata un enorme vantaggio per me, ma un’incredibile delusione quando, purtroppo, è stata fuori, però giustamente, viste le condizioni che c’erano. Io quando Siena fallì avevo 15-16 anni ed ero già nel roster della Serie A, mi ci allenavo regolarmente, ci andavo in panchina anche durante le finali scudetto e lì mi si chiuse la porta. Pian piano sono riuscito a riaprirmela e devo continuare, ma la delusione che ebbi quando fallì Siena e a me si stavano per aprire le porte della Serie A fu grande. Ero nel mondo perfetto, nel posto perfetto e svanì tutto in un secondo”.
Derby giovanili con Virtus e Costone. “Quando giocavo io i derby c’era già la parabola discendente, però in uno di quelli che ho giocato c’erano le tribune con i seggiolini del PalaEstra che erano quasi tutte piene. C’erano sulle 1500 persone sicuramente. Quando si andava a giocare in casa della Virtus, che in confronto sembra una palestrina, pareva un bunker, perché erano tutti praticamente in campo. La capienza massima penso sia di 300 persone, ma dentro ce ne potevano essere 700”.
Siena 2. “Sì, però era una Siena diversa da quella che conoscevano tutti. Non solo perché si trattava della Polisportiva, ma erano persone diverse, un ambiente diverso e con la Siena che conoscevamo io e tutti quelli che c’erano prima non c’entrava praticamente niente. Si chiamava Mens Sana, ma non lo era, era una squadra che giocava al PalaEstra, ma non era la Montepaschi, era un’altra cosa”.
Poco pubblico. “Dopo la promozione che fecero il primo anno in Serie B, l’anno successivo, quando io tornai, ha rischiato di chiudere. Se non fossero entrati i tifosi la squadra sarebbe fallita. L’anno successivo grossi proclami, ‘arriva lo sponsor’, e sanno tutti come è andata a finire. La gente di Siena non è stupida, sa benissimo quando prometti sempre e poi puoi dare al massimo 1. Purtroppo quando fai delle promesse che non puoi mantenere il risultato è quello”.