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Il futuro del basket a Siena – 2

Le giuste ambizioni secondo Matteo Tasso

L’invito di Augusto Mattioli: https://www.ilcittadinoonline.it/sport/basket-sport/quale-futuro-per-il-basket-senese-dite-la-vostra/

SIENA. I quasi 2000 spettatori fatti registrare dall’atto secondo della saga Mens Sana vs Costone (ai 1459 paganti comunicati dal botteghino del palasport vanno aggiunti gli under 16, che entrano senza necessità di tagliando, erano moltissimi, poi ci sono gli accrediti omaggio, irrisori rispetto ai “bei tempi andati”, ma qualche numero lo muovono ancora) impongono l’ennesima riflessione sullo stato di salute del basket cittadino, adagiatosi ormai da tempo tra i Dilettanti eppure circondato da una passione che, il riferimento va soprattutto a casa-Mens Sana, non trova in queste categorie la sua giusta dimensione.

Andiamo per gradi, perché il caro Augusto (di nome e di fatto) Mattioli mi/ci chiede una riflessione generale ed è giusto, doveroso, parlare di cosa oggi rappresentino tutte le società senesi. Per prima la Virtus, che è prima, appunto, se si guarda il campionato in cui milita (la B Interregionale, uno scalino al di sopra delle altre) e che è prima, nel senso di partita prima, almeno una ventina di anni per come ha saputo strutturarsi, nel seguimento dell’attività giovanile: fondamentale questo tassello, perché aver tenuto in piedi la propria “cantera” anche quando la Banca ha smesso di destinare sponsorizzazioni al basket (enormi, medie e piccole: tutti ne usufruivano in quel ben preciso momento storico, basta andare a rivedere i loghi sulle maglie delle società o scartabellare certi atti che hanno portato alla costruzione di determinate infrastrutture, certi palazzetti ad esempio) ha voluto dire per via Vivaldi la sopravvivenza e l’impostazione di un nuovo ciclo, del quale i frutti si vedono proprio in queste ultime stagioni costruite su tanti dei ragazzi nati, cresciuti e usciti dal vivaio rossoblu. C’è poi uno sponsor importante, alla Virtus, probabilmente una delle poche aziende senesi di respiro nazionale ancora interessate a fare dello sport locale un volano per il proprio brand (Stosa aveva investito anche sulla Mens Sana, prima che il patatrac iniziato nel 2016 e esploso nel 2019 consigliasse l’azienda, per giuste ragioni di cuore già legatissima al calcio pianese, a virare altrove), manca però un impianto di gioco se si dovesse programmare a bocce ferme la scalata verso il piano di sopra: era già successo a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del Duemila, con la B1 e la DNA disputate chiedendo ospitalità alla Mens Sana o all’allora Colle Basket, sta succedendo in questi mesi di esilio al PalaCorsoni (addirittura al PalaEstra), qualcosa che francamente stride con il concetto, ormai globale, di crescita sportiva legata in primis agli investimenti su asset propri, su tutti gli impianti di gioco.

Veniamo al Costone, che in classifica è la prima delle due senesi di C (anche perché ha vinto entrambi gli scontri diretti: scusate la deformazione, tutta mensanina me ne rendo conto, ma quella parola, derby, per me rimane legata a Livorno, Pistoia, Montecatini, non a fatti interni cittadini, per questo non la utilizzo mai) e che da quando si chiama Vismederi non solo per questioni di sponsorizzazione ha intrapreso un percorso inedito e vincente al tempo stesso per il basket senese. Rimangono l’idea, poetica e a tratti ruggente, del Ricreatorio e la magia del campo della Piaggia che a tanti di noi, cresciuti sulle lastre, ha regalato lunghi pomeriggi di tiri a canestro riempiendosi gli occhi con la grande bellezza della skyline cittadina, resta qualche colorita sacca del proverbiale e tenace orgoglio anti-Mens Sana, tutto il resto è virato altrove, verso quella dimensione nuova che gli investimenti di una proprietà a cui piace vincere ed emergere ovunque (non solo sul parquet) hanno legittimamente imposto a un ambiente abituato a logiche meno aziendali e manageriali di quelle che negli ultimi tempi hanno convinto giocatori in tutto e per tutto professionisti, a scendere dalla B o addirittura dall’A2 per accettare un campionato regionale dilettanti. Costone che quindi ha risorse, Costone che sta cercando di accreditarsi nelle famiglie senesi come casa ideale per i giovanissimi (leggi alla voce forte sviluppo del minibasket), grazie anche a un moderno e funzionale impianto che teoricamente potrebbe essere buono, con qualche piccolissimo aggiustamento, pure per una B Nazionale, Costone a cui manca casomai un seguito popolare che non sia quello messo assieme solo nelle grandi occasioni. Aspetto sul quale, in tanti modi, dalle parti di Montarioso stanno studiando il da farsi.

Arriviamo alla Mens Sana, croce per tutto ciò che il tifoso biancoverde ha dovuto patire almeno dal 2019 in poi (l’origine del male rimane il fallimento del 2014, che in giro per l’Italia non mancano di ricordarci ogni qual volta sentono pronunciare il nome Siena, ma è indubbio che la ripartenza da un campionato di Promozione sia stata la mano di coppale su tante situazioni: ad esempio la diaspora verso altri lidi cittadini di quelle che erano annate-chiave del settore giovanile di viale Sclavo, completamente disintegrato dagli effetti dell’ultimo crac), delizia per ciò che il tifoso biancoverde è riuscito, nonostante tutto, a farsi piacere, mantenendo alta la guardia e vivendo con passione genuina, a tratti smisurata, quei paradossi che lo hanno catapultato dal Pireo alla Vamba (palestrina scolastica situata dalle parti di Firenze Novoli: ci abbiamo giocato un attimo prima della pandemia), senza cedere di un millimetro in termini di affezione, di seguito, quando c’è bisogno anche di fidelizzazione. È la squadra della gente di Siena, la Mens Sana, lo è rimasta e continuerà a esserlo, perché la stagione in corso ha dissipato pure i dubbi sull’età media non più giovanissima di chi la Mens Sana va a vederla in casa e in trasferta: si sono viste tante facce nuove, di adolescenti e ventenni soprattutto, negli ultimi tempi al palasport, segno che il cuore batte sempre e si tramanda, nella bolgia del Settorino come altrove.

Tutto il buono che sta facendo la nuova società non è un contorno, anzi, ma interlocutori più accreditati e forse meno di parte del sottoscritto già ve lo stanno spiegando con dovizia di particolari da mesi e a loro lascio questa incombenza, come quella di valutare entro quanti anni la Mens Sana possa tornare a disputare almeno un campionato di serie B Nazionale. Per me il concetto chiave nella lunga e lenta risalita biancoverde rimangono invece i numeri che la Mens Sana smuove quando si tratta di sottoscrivere abbonamenti, riempire ciò che è possibile riempire della vecchia “astronave” costruita nel 1976 (e oggi passata in gestione all’Amministrazione Comunale per un’operazione che non sia solo rifarsi il look), presentarsi in giro per la Toscana a incitare gli splendidi dopolavoristi che oggi ne indossano la maglia, con la stessa passione con cui si incitavano i campionissimi strapagati del passato.

È una favola popolare, la Mens Sana. È tornata ad esserlo come negli anni Settanta, Ottanta e nei primi Novanta. E mi sento di adattarle un concetto scritto sulla pietra tempo fa da quella che è la favola popolare per eccellenza, il C.S. Lebowski (se non ne avete mai sentito parlare, cercate notizie in rete e sui social: è un unicum che fa bene alla mente e allo spirito, oltre che agli occhi), un concetto sul quale si deve continuare a spingere per continuare a crescere e tornare su palcoscenici degni del blasone e della storia biancoverde pre-bancaria: “è quanto l’impianto è pieno a poter dire a quali ambizioni una squadra può ambire. Con l’impianto vuoto devi giocare nell’ultima categoria, non nelle serie maggiori. Non puoi giocare in Serie D, o in Serie C, o addirittura in B e in A, se non riesci nemmeno a riempire la metà del tuo impianto”.

Matteo Tasso

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