Le riflessioni di Andrea Frullanti
L’invito di Augusto Mattioli: https://www.ilcittadinoonline.it/sport/basket-sport/quale-futuro-per-il-basket-senese-dite-la-vostra/
SIENA. I 1500 spettatori del derby tra Mens Sana e Costone. I circa 1000 che, in occasione di ogni partita dei biancoverdi, si recano in viale Sclavo. E poi ancora i 300, con tante presenze del settore giovanile, che seguono le partite interne della Virtus o che, per esempio, hanno riempito il PalaOrlandi per la Coppa Toscana, vinta dal Costone. Sono le immagini di questa stagione da tenere indelebilmente impresse nella memoria e che ci dicono che c’è del fuoco sotto la cenere.
Nonostante tutte le vicissitudini degli ultimi anni, sia sportive che cittadine, Siena è ancora una piazza che pulsa di grandi emozioni per la pallacanestro. Ma questa è la leva, o meglio il punto di partenza, per impostare le strategie di rilancio di tutto il movimento negli anni a venire. Senza però scivolare nell’ennesimo falso mito, quello cioè di fare una squadra unica dalle 3 attuali per convogliare in una sola direzione gli investimenti.
Negli anni o meglio, nella storia, il fatto di poter contare su realtà così diverse ed eterogenee, per cultura e bacino d’utenza, ha sempre rappresentato una fonte di arricchimento e di crescita per il basket nostrano. E così deve continuare ad essere: le differenze sono e devono essere una fonte di sviluppo, o quantomeno uno stimolo, per il miglioramento costante di ogni società. Uniformare tutto in un’unica realtà farebbe perdere, a mio parere, anche gran parte della parte della passione, legata a sani antagonismi e competitività, necessari in un percorso di crescita. Oltre che sentimenti vivi che, non solo in ambito sportivo, animano la città.
Cosa serve allora? Serve che si torni a giocare a livelli professionistici. Perché occorre avere un apice d’eccellenza, il professionismo, per far sì che anche i settori giovanili lavorino per produrre giocatori che possano stare ai quei livelli. Come? Implementando le foresterie e il lavoro con le altre società del territorio, non solo toscano. È un gioco di proporzioni: se il massimo che si può esprimere è una squadra di serie C o B interregionale, i giocatori che arrivano dalle giovanili, salvo eccezioni, si attesteranno su quei livelli. Se si alza l’asticella, magari, si formano giocatori che possono stare anche a livelli più alti e auspicabilmente alimentare le prime squadre di domani. Ma si può ambire a qualcosa in più sul fronte dei parametri, sistema che nessuno ama ma che rappresenta tutt’oggi il paradigma di riferimento per “riscuotere” i frutti del proprio lavoro.
Non è semplice impostare simili progettualità, perché tutto questo presuppone un cambio di mentalità e anche perché sono strategie che non danno risultati nell’immediato. Però, dal mio punto di vista, sono necessarie per poter avere una visione di crescita complessiva di tutto il movimento.
Gli investimenti poi vanno e vengono e bisogna essere bravi a intercettarli e renderli funzionali al progetto sportivo che si intende perseguire. Basti pensare quello che rappresentano oggi Stosa e Vismederi per Virtus e Costone: due nomi che però sono transitati nel recente passato anche dalla Mens Sana, salvo poi attestarsi altrove.
Il ritorno al professionismo deve però essere la stella polare. In primis sulla rotta della Mens Sana che, per tradizione, blasone, coinvolgimento mediatico e storia, è deputata a porselo come obiettivo strategico futuro. A medio e “non troppo” lungo termine. Se non altro per la spinta della piazza e del tifo organizzato su cui può contare, fattore sempre costante anche nelle categorie minors.
Anche Virtus e Costone rappresentano la storia del nostro basket e devono continuare a farlo. Ognuno con le sue caratteristiche e peculiarità. Dando seguito, alla crescita esponenziale degli ultimi anni e al grandissimo lavoro fatto per strutturarsi e dare grande solidità ai propri progetti sportivi.
Se si guarda complessivamente a tutto questo panorama, così variegato ed eterogeneo, è lecito avere ambizione e tanta voglia di crescere ancora.
Andrea Frullanti