Il 21 dicembre 1891 la prima partita dell
SIENA. Il 21 dicembre 1891 volando su Springfield (stato del Massachussetts) con la sua slitta Santa Klaus fece un dono eccezionale agli Stati Uniti e al mondo, nasceva il basket. Non per niente, il più grande scrittore americano vivente, Philip Roth, nel suo best seller “Pastorale Americana”, saga da una famiglia del New Jersey di origine europea arrivata in alta posizione sociale, non nasconde la passione per questo sport, del resto come tanti altri illustri americani, dal presidente Obama al regista Spice Lee e all’attore Jack Nicholson, tifosissimi dei Knicks e dei Lakers. Non c’è infatti commedia cinematografica o programma Tv statunitense di qualsivoglia argomento dove non compaia un canestro, un accenno a questo sport, alle squadre e ai campioni più famosi. Il protagonista principale del romanzo di Roth è un campione di basket, lui lo chiama “ Svedese” per le fattezze e il fascino che ne fa l’eroe del college. Raccontando la vita fortunata dello “Svedese” spesso gli mette in bocca questa frase: “Il basket è un’altra cosa”.
Buon compleanno al basket che compie 120 anni. Vado a cercare sul sito della Fip la notizia, risulta però introvabile nelle news. Si parla dei sorteggi europei, della ricerca di un immobile e un comunicato mi ricorda che Dino Meneghin sarà ospite stasera da G-7, il programma Tv di Geppi Cucciari. Darò quindi per scontato (“se sbaglio corriggetemi”, come diceva Giovanni Paolo II) che non se ne scorderà, da buon presidente della Fip “intronato” nella Hall of Fame e detentore di alcuni record prestigiosi fra i quali ricordo le 7 Coppe dei Campioni e l’esser stato primo italiano scelto nel draft (per i Knicks).
Spesso quando vengo invitato a parlare di basket, per l’esperienza e lo studio che mi ha consentito di realizzare una doppia edizione di un’enciclopedia per la Rizzoli e un po’ perché il basket mi fa sognare o guardare in alto, butto là una frase alata: “Il basket è la metafora della moderna società ”. Questo perché il gioco rappresenta una sfida fra 5 gladiatori che alternativamente attaccanti e difensori, devono mettere la palla all’altezza dei 3,05 del canestro, quindi un breve ma non sempre facile volo umano. La metafora riguarda la sua nascita come sinonimo di una moderna società, perché il basket è nato al college e conquistato la sua popolarità grazie all’inurbamento. Quando sulla scia della grande industrializzazione dei primi 900 le metropoli hanno cominciato ad assumere un aspetto tentacolare grazie alle ondate di immigrati provenienti da tutto il mondo, e soprattutto dall’Europa, sono nati i playground, la culla popolare di questo sport. La metafora è appunto la sfida dell’uomo moderno sempre più alto, veloce, aggressivo, che stretto dal cemento e dalla folla tenta di far canestro. Per i giovani un canestro vincente vale oro, e se Koby Bryant guadagna 24 milioni di dollari all’anno, grazie ai successi e agli spot pubblicitari Michael Jordan è ancora lo sportivo più ricco al mondo (60 milioni di dollari, secondo la classifica di Forbes) oltre che il più amato, basta pensare che n Kim Jong Il il dittatore nordcoreano si vantava di avere tutte le cassette delle partite del n.23 dei Bulls al quale ancor prima del suo ritiro Chicago eresse una statua equestre.
Il suo pacco dono Santa Klaus lo mi mise nelle mani giuste, James Naismith, e manche nel posto giusto e perché la prima partita si giocò non a caso in Armony Styreet, la Strada dell’Armonia. La musicalità di questo sport che Marco Cassani, uno dei nostri grandi giornalisti che mi aprì le porte della Gazzetta dello Sport chiamandomi che avevo 19 anni, lo definiva “atletica giocata” quale compendio del gesto atletico, scatto, lancio, salto. Il concetto dello sport nobile è anche ben sottolineato da un aforisma degli slavi, massimi interpreti in Europeo negli ultimi 20-30 anni , dopo il calo dei sovietici che dominavano con formazioni di stato saccheggiando anche campioni ucraini (Volkov, Tikhonenko), lituani (Arvidas Sabonis, forse il più grande europeo), georgiani (ad esempio il folletto Armaniak Alachachan). Gli slavi sostengono infatti a lode del “kosarkaski” che “Il calcio si gioca coi piedi, il volley con le mani, il basket col cervello”. Questo sport è forse il prodotto per il quale sono conosciuti più all’estero con i loro campioni coinvolti anche un ruolo diplomatico e di freno nel conflitto civile. Merito naturalmente anche dei loro grandi allenatori, a cominciare da Boris Stankovic che darà il primo scudetto a Cantù prima di prendere le redini della Federazione Internazionale, e Aza Nikolic, il coach della grande Ignis che ebbe però un contributo importante anche da due altri allenatori, prima Nico Messina detto il Tigre artefice della “rivoluzione verde” che portò al basket la novità dei pesi lanciando in prima squadra Meneghin, Ossola e Rusconi e scegliendo un messicano sotto il metro e 90 (Manuel Raga) vinse subito lo scudetto, e naturalmente infine completò l’opera il Patton della panchina, Sandro Gamba che porterà in seguito l’Italia ai massimi livelli, argento olimpico ’80 e il primo oro europeo a Nantes.
James Naismith è un inventore più che il padre del basket, doveroso intitolargli la Hall of Fame il Pantheon di questo sport (c’è anche una ramificazione europea ed italiana), il Trofeo per il miglior giocatore del college, il Trofeo per il miglior giocatore del Mondiale. Nasce nel 1861, l’anno dell’Unità d’Italia, in Canada, si laurea in medicina, a 30 anni è responsabile di educazione fisica a dell’Ymca di Springfield. In quel luogo gli inverni sono freddi e nevosi, lo sport di squadra più seguito è il football e il preside chiede un’idea per occupare gli studenti in attesa della primavera al suo geniale “baffo di ferro”, effigiato con un’aria severa: panciotto, occhialini tondi da tipico professore, i capelli radi con la scriminatura in mezzo e appiccicati al capo con la brillantina. “The Doc “ rifacendosi a un gioco celtico europeo, il “tiro all’anatra”, per cui bisogna colpire un sasso su una roccia per farlo cadere e raccoglierlo al volo cercando di non farsi prendere dal rivale, prese due cesti per la frutta appendendoli alla balconata della palestra, mise in campo i 18 ragazzi del suo corso divisi in due squadre: finì 1-0 e l’autore dell’unico punto, William R.Chase, figura con gli 8 compagni nel “First Team” nella Hall of Fame. Naismith, spirato all’età di 78 anni a Lawrence (Kansas), 3 anni dopo le Olimpiadi di Berlino, pago dunque di vedere la sua creatura assumere una dimensione mondiale, è stato anche l’inventore del caschetto del football americano originariamente in cuoio. Pensato il nuovo gioco, stilò le 13 regole basilari, e fu tanto previdente da non porre limiti al numero dei giocatori specificando però “non meno di 3 e non più di 40” per via della superficie del campo. Le prime gare, in effetti, risultarono affollatissime, questo frenava la spettacolarità del gioco, e si arrivò così ai 5 giocatori con i 7 sostituti in panchina. Se il basket continuerà la sua scalata, un giorno potrà anche pensare di giocare in grandi stadi come quelli del calcio, e quindi allargare il campo e magari pensare anche a un 6° o 7° giocatore, trovata per ora impensabile. La visione di Naismith era talmente lungimirante per cui, mai dire mai.
In Italia il basket è stato presentato come esercizio ginnico nel 1907 dalle allieve delle Mens Sana Siena che dopo un secolo diventerà la squadra più titolata del momento, omaggio ai corsi e ricorsi vichiani. In un bellissimo affresco di Massimo Bianchi, capogruppo in maggioranza in Consiglio Comunale e figura impeccabile del suo contesto, parlando delle origini del basket e il determinante contributo offerto dalla città del Palio (che ha avuto anche un sacerdote-coach-educatore, Don Perucatti calatosi anche nel ruolo di capocantiere del primo palazzetto) cita anche un articolo di giornale nel quale racconta quando le allieve della valorosa professoressa Nomi Pesciolini tornarono da Venezia, dopo aver conquistato la medaglia d’argent, fra due ali di folla.
Al basket italiano non sono mancati gli ideali, una motivazione fondamentale che ha ispirato figure straordinarie. Ad esempio Adolfo Bongoncelli il padre dell’Olimpia Milano che creò le “scarpette rosse” per l’italianità di Trieste, chiamando quindi la “meglio gioventù” triestina, cominciando da Cesare Rubini , campione olimpico di pallanuoto e azzurro di basket e in seguito il grande leader del club più titolato d’Italia, con 25 scudetti. Giovanni Borghi sbaragliò invece gli americani costruendo frigoriferi migliori dei loro. Il cummenda di Comercio coinvolse le sue industrie nel basket, l’Ignis a Varese, l’Ignis Sud a Napoli e l’Algor a Siena, attratto dalla rapidità del gioco, e dalla grinta difensiva fu l’artefice della nascita del matrimonio fra basket e sponsor, un fenomeno che ancor oggi viene studiato ad Harvard.
Altro bellissimo esempio la favola di Cantù, borgo brianzolo di 30 mile anime, opera di Aldo Allievi, il sciur Aldo. Ereditata la società dai Casella (Oransoda) e buna bella tradizione (Alfredo Broggi, Frigerio, Sarti, Tracuzzi, coach Corsolini arrivato dall’Emilia) l’ex contabile dell’azienda delle bibite milanese, grazie al contributo di Stankovic, creò il primo college, basket e studio, e la scuola di gioco che con Arnaldo Taurisano, coach-scrittore-guru, scoprì i Recalcati, Marzorati, Vendemini, Della Fiori, Bargna e poi Bianchini completò l’oper. Una storia di scudetti, due coppe dei Campioni, la coppa Intercontinentale che permette da ben 18 anni a Cantù di mantenere il primato di società più titolata nell’albo d’oro europeo.
L’Italia ha dominato la Coppa dei Campioni (oggi Euroleague), e con 13 titoli è prima, contro gli 11 della Spagna. Questo fra il ’69 e l’85 grazie alla grande Ignis (5 successi, 5 finali!), a Milano (3 successi, di cui il primo assoluto nella competizione,nel ’66 a Bologna contro lo Slavia, grazie a un certo Bill Bradley, ex star dei Knicks e senatore democratico anni fa in odore di Casa Bianca), a 2 di Cantù e della Virtus Bologna e 1 di Roma con Valerio Bianchini. La serie s’è interrotta nel 2002, sono seguite altre 3 finali, nel suo ciclo d’oro (5 scudetti, e la prospettiva del 6° che sarebbe la serie record) Siena non è riuscita ancora a giocare una finale, un indicatore attuale del quale parlerà la storia. Arriva allo sconto una gestione del basket che non ha avuto più dirigenti come quelli cui accennavo, e presidenti di federazione dello stampo dell’avvocato Claudio Coccia (colui che inventò le nuove formule e aprì allo straniero e mise Giancarlo Primo alla guida della nazionale e del Settore Tecnico), di Enrico Vinci e Gianni Petrucci o per la Lega l’avvocato Porelli.
L’Italia vanta il primato anche delle Coppe Intercontinentali, ha avuto una nazionale vincente (debutto il 4 aprile del ’26, 23-17 all’Arena di Milano), due europei, con Gamba e Tanjevic, due finali olimpiche con Gamba e Recalcati), ha raccolto in epoca moderna le prime medaglie con Primo e i migliori piazzamenti ai mondiali (un doppio 4° posto) e la svolta sulla difesa. Paga oggi a livello giovanile , salvo rare eccezioni, la concezione mercantile dei nuovi dirigenti, e dopo 18 anni solo quest’anno ha vinto un argento quando l’Italia di Blasone giocava la finale mondiale mettendo in crisi gli Usa e collezionando di titoli giovanili.
Il problema è che per seguire un ibrido del modello NBA, nell’ultimo decennio l’Italia ha perso la propria supremazia, così la Spaghetti League che un tempo richiamava star della NBA (McAdoo, Dawkins, Gervin, McDaniels, Wilkins, Hawkins e tantissimi altri) è stato superato dalla Spagna che oggi è la padrona del basket. All’Italia però, ripeto, rimangono tanti altri primati, ad esempio aver avuto l’onore del n.1 del draft con Andrea Bargnani, il giocatore italiano più pagato, 50 milioni di dollari per 5 anni. Ma è anche m un primato la mancanza del rispetto della propria storia, dei propri ex giocatori messi nel dimenticatoio, e provo un senso di nausea quando l’indifferenza provoca episodi di ingratitudine, come leggere su wikipedia a proposito della storia della nazionale che gli 11 anni del professor Nello Paratore hanno dato risultati mediocri, quando il 4° posto dell’Olimpiade romana vale un Perù, perché lì è nato il feeling fra gli italiani e la pallacanestro grazie a campioni come Lombardi e Vittori. E che dire di pubblicazioni sociologiche dimentiche degli allenatori? Vogliamo infatti parlare di Cesare Rubini col suo contropiede e il fascino del Principe-Padrino, della difesa di Primo, dell’antesignano del pick and roll Vittorio Tracuzzi, del gioco organizzato di Gamba e del forte aspetto motivazionale di Arnaldo Taurisano?.
Se mi chiedono quali siano in questi 120 anni i grandi momenti e i grandi contributi mondiali, dico che intanto l’invenzione di Naismith che ha avuto una crescita più rapida del calcio, oggi è il più diffuso al mondo, con 213 federazioni. Ricordo poi le squadre da spettacolo dei primi anni del Novecento come gli Original Celtics e gli Harlem Globetrotters, la nascita della Federazione europea nel 1932 (fra le 8 nazioni anche l’Italia che compie dunque 90 anni), il primo europeo del ’33 in Svizzera, quello della NCAA nel ‘39 , la creazione della NBA nel 1946, la nascita nel ’58 dei mondiali in Argentina e della Coppa dei Campioni (oggi Euroleague), la storia dell’UCLA di John Wooden unica a vincere 3 volte il titolo senza sconfitte, la squadra Usa alle Olimpiadi di Roma, la vittoria dei russi a Monaco nel ’74 con canestro di Alex Belov che avvicinò Europa e America e fece crolare il mito americano che dovette ricorrere al favoloso Dream team Barcellona, la squadra più forte di ogni tempo, quella di Bird, Magic Johnson, Michael Jordan, Charles Barley, Robinson che vinse tutte le sue gare con più di 100 punti e uno scarto medio di 44 punti!.
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