di Enrico Campana
BOLOGNA. La vera novità delle Final Eight, alias necessario per fare marketing sulla Coppa Italia? Non so – a proposito di una competizione cosiddetta tricolore – se gli organizzatori (Sabatini e c. ovvero la Virtus Bologna per conto della Lega Basket) hanno previsto prima di ogni giornata l’inno tricolore.
Diciamo che sarebbe un piccolo riconoscimento che li renderebbe più amati, perché ormai fra naturalizzati, passaportati venuti da ogni angolo di mondo il campionato è simile a una porta girevole. Eccetto Siena: la società in questo senso ha dato lezione nelle scelte e nei comportamenti, in certi momenti sembrano davvero i professori di una filarmonica dentro il loro smoking.. Mai un’occhiata sbagliata, un gesto fuori posto, se occorre persino un’idolatria di se stessi che diventa transfert agonistico., Se infatti gli allenamenti e il gioco ogni giorno motivanti grazie a due quintetti che non sai quale sia il migliore, non bastano, quando le forze vengono (molto raramente meno) Tyrrell McIntyre invita i compagni a guardare le foto dei successi appiccicati negli spogliatoi. Un po’ quello che faceva il grande Cassius Clay. E’ come un gong che scuote il proprio cervello. Vogliamo dunque l’inno nazionale, magari cantato da Lucio Dalla che è un grande appassionato di basket, vive a Bologna e racconta spesso alla Tv di essere stato anche un giocatore, giusto per misurarsi con gente più grande e grossa di lui. “Life building”, costruirsi una personalità.
Sembra un discorso ozioso quello dell’inno di Mameli, e invece potrebbe dare quel clima giusto che in ogni caso a questa competizione non manca mai, e viene garantito ai massimi livelli dalla Virtus che non solo è prima per la correttezza del suo pubblico (Coppa Disciplina), ma riesce a dare una pennellata utile al sociale, come nel caso dell’invito a chi vive in carrozzina. Magari, raggiunto l’accordo con la Nokia, l’azienda dei telefonini finlandese, per dare campo libero dentro il palazzo ai cellulari, con un traffico di messaggini e sms da San Valentino fra le tifoserie, Sabatini raccoglierà questo mio piccolo suggerimento di offrire in diretta l’inno di Mameli. Sai 100-500-1000 telefonini che squillano, sarebbe uno spettacolo, altro che “Casa Avellino”, dove i vincitori della scorsa edizione ai quali i cugini di Napoli e Battipaglia, i vari Poeta, Amoroso e Capobianco, hanno tarpato le ali nella prima partita dei quarti, offrono drink, simpatia e ovviamente il merchandising, il marketing, e tutti quegli “ing” che fanno moda. Un vecchio bolognese, simpaticamente, si fa largo fra tanto generoso pressing, e gli dice in faccia: “Mo vè, m’eravate più simpatici quando venivate qua con la canotta degli zampognari”…
La Coppa Italia è un bel contenitore, nulla a vedere con la march-madness, la follia di marzo come gli americani chiamano le Final Four della NCAA che alcuni giocatori conoscono. Qui è un carnevale cestistico di stile, non c’è la rabbia, lo spasmo dei playoff, grande festa per chi vince e pronta assoluzione per chi perde. The show goes on… Però questa cosa dell’inno mi sta qui. Faccio un piccolo ragionamento. Ogni anno alla greppia del basket-spaghetti (e parliamo anche di lega Due) mangiano almeno, in sottostima, 200 giocatori stranieri per i quali il Bel Paese resta l’America. Forse per questo è imbattibile Siena, una città dove ognuno si sente a casa sua. Ma lì c’è l’inno della Verbena, e si capisce perché McIntyre ha battezzato la figlioletta Siena.
Ah, l’Amata debutta nei quarti di una competizione nella quale ha sempre incontrato la squadra castigamatti. l’anno scorso la Scavolini, una delle grandi deluse con l’Armani Milano e la Fortitudo della stagione. L’apertura stavolta è con la sorprendente Cantù, la fornitrice della real casa mensanina (guai se Kaukenas e Stonerook non fossero arrivati in Brianza), che pur essendosi issata ai piani alti della classifica è stata però già stata mazzolata in due occasioni da quello che ormai si considera il nuovo Dream Team della pallacanestro italiana. Una squadra che snocciola un record dopo l’altro e vorrebbe arrivate in fondo alla stagione imbattuta, come fece nel 62-63 il Simmenthal delle “scarpette rosse”. E che non c’è giorno che non finisca di stupire, e non solo in campo.
L’ultima novità è la web Tv, cercherò di dare un’occhiata alla programmazione ma vedendo la disinvoltura e il taylorismo (spiegherò nei prossimi giorni questa scienza del lavoro organizzato) tipico della società, li ho scambiati per una troupe della CNN.
BOLOGNA. La vera novità delle Final Eight, alias necessario per fare marketing sulla Coppa Italia? Non so – a proposito di una competizione cosiddetta tricolore – se gli organizzatori (Sabatini e c. ovvero la Virtus Bologna per conto della Lega Basket) hanno previsto prima di ogni giornata l’inno tricolore.
Diciamo che sarebbe un piccolo riconoscimento che li renderebbe più amati, perché ormai fra naturalizzati, passaportati venuti da ogni angolo di mondo il campionato è simile a una porta girevole. Eccetto Siena: la società in questo senso ha dato lezione nelle scelte e nei comportamenti, in certi momenti sembrano davvero i professori di una filarmonica dentro il loro smoking.. Mai un’occhiata sbagliata, un gesto fuori posto, se occorre persino un’idolatria di se stessi che diventa transfert agonistico., Se infatti gli allenamenti e il gioco ogni giorno motivanti grazie a due quintetti che non sai quale sia il migliore, non bastano, quando le forze vengono (molto raramente meno) Tyrrell McIntyre invita i compagni a guardare le foto dei successi appiccicati negli spogliatoi. Un po’ quello che faceva il grande Cassius Clay. E’ come un gong che scuote il proprio cervello. Vogliamo dunque l’inno nazionale, magari cantato da Lucio Dalla che è un grande appassionato di basket, vive a Bologna e racconta spesso alla Tv di essere stato anche un giocatore, giusto per misurarsi con gente più grande e grossa di lui. “Life building”, costruirsi una personalità.
Sembra un discorso ozioso quello dell’inno di Mameli, e invece potrebbe dare quel clima giusto che in ogni caso a questa competizione non manca mai, e viene garantito ai massimi livelli dalla Virtus che non solo è prima per la correttezza del suo pubblico (Coppa Disciplina), ma riesce a dare una pennellata utile al sociale, come nel caso dell’invito a chi vive in carrozzina. Magari, raggiunto l’accordo con la Nokia, l’azienda dei telefonini finlandese, per dare campo libero dentro il palazzo ai cellulari, con un traffico di messaggini e sms da San Valentino fra le tifoserie, Sabatini raccoglierà questo mio piccolo suggerimento di offrire in diretta l’inno di Mameli. Sai 100-500-1000 telefonini che squillano, sarebbe uno spettacolo, altro che “Casa Avellino”, dove i vincitori della scorsa edizione ai quali i cugini di Napoli e Battipaglia, i vari Poeta, Amoroso e Capobianco, hanno tarpato le ali nella prima partita dei quarti, offrono drink, simpatia e ovviamente il merchandising, il marketing, e tutti quegli “ing” che fanno moda. Un vecchio bolognese, simpaticamente, si fa largo fra tanto generoso pressing, e gli dice in faccia: “Mo vè, m’eravate più simpatici quando venivate qua con la canotta degli zampognari”…
La Coppa Italia è un bel contenitore, nulla a vedere con la march-madness, la follia di marzo come gli americani chiamano le Final Four della NCAA che alcuni giocatori conoscono. Qui è un carnevale cestistico di stile, non c’è la rabbia, lo spasmo dei playoff, grande festa per chi vince e pronta assoluzione per chi perde. The show goes on… Però questa cosa dell’inno mi sta qui. Faccio un piccolo ragionamento. Ogni anno alla greppia del basket-spaghetti (e parliamo anche di lega Due) mangiano almeno, in sottostima, 200 giocatori stranieri per i quali il Bel Paese resta l’America. Forse per questo è imbattibile Siena, una città dove ognuno si sente a casa sua. Ma lì c’è l’inno della Verbena, e si capisce perché McIntyre ha battezzato la figlioletta Siena.
Ah, l’Amata debutta nei quarti di una competizione nella quale ha sempre incontrato la squadra castigamatti. l’anno scorso la Scavolini, una delle grandi deluse con l’Armani Milano e la Fortitudo della stagione. L’apertura stavolta è con la sorprendente Cantù, la fornitrice della real casa mensanina (guai se Kaukenas e Stonerook non fossero arrivati in Brianza), che pur essendosi issata ai piani alti della classifica è stata però già stata mazzolata in due occasioni da quello che ormai si considera il nuovo Dream Team della pallacanestro italiana. Una squadra che snocciola un record dopo l’altro e vorrebbe arrivate in fondo alla stagione imbattuta, come fece nel 62-63 il Simmenthal delle “scarpette rosse”. E che non c’è giorno che non finisca di stupire, e non solo in campo.
L’ultima novità è la web Tv, cercherò di dare un’occhiata alla programmazione ma vedendo la disinvoltura e il taylorismo (spiegherò nei prossimi giorni questa scienza del lavoro organizzato) tipico della società, li ho scambiati per una troupe della CNN.