di Enrico Campana
SIENA. Ci sarà anche Dino Meneghin mercoledì pomeriggio alla presentazione a Palazzo Pubblico del libro che darà un volto storico allo sport della pallacanestro (allora palla al balzello), che proprio una professoressa di educazione fisica – che riposa nella sua San Gimignano – Ida Nomi Pesciolini, fece conoscere per la prima volta in Italia 102 anni fa in un concorso ginnico a Venezia e che Saverio Battente e Tito Menzani, gli autori, hanno intitolato “Storia sociale della pallacanestro in Italia”.
Ottima idea, davvero, non presentare il basket solo attraverso monografie agiografiche, in questo caso la storia viene sì scritta sempre da chi ha vinto (un autore è senese e l’altro bolognese, piazze vincenti e appassionate), ma con un diverso spessore accademico, così voglio sperare..
La presenza di Dino Meneghin a Siena, però, chiama tutti all’attualità. Argomento molto meno nobile ma importante, trattandosi del capitolo riguardante il nuovo CT della Nazionale che subentrerà a Charlie Recalcati. Il suo arrivo è un segnale di un disgelo diplomatico che davo per scontato, e per quanto riguarda l’Azzurra del basket un segno di continuità in senso tecnico, che avevo auspicato già diversi mesi fa, ritenendo Simone Pianigiani il più degno a raccogliere l’eredità del coach che ci ha dato un argento olimpico, operazione già riuscita brillantemente col passaggio di consegne alla Mens Sana.
Mi ero permesso anche di dire che il suo gioco era anche il miglior marketing, quando una squadra si diverte come la Mens Sana la fatica si sente meno e non ci sono polemiche.
Tuttavia, avevo posto strada facendo solo due riserve.La prima che Simone Pianigiani col suo palmares ineguagliabile, da Guinness, roba da far invidia anche a un imbattibile come Cesare Rubini o a scienziati come Nikolic e Taurisano, ma soprattutto “inventore” – se mi è permesso – di un basket all’italiana, organizzato e scintillante, riuscisse a smarcarsi dalla sua società. Questo prima che scendesse in campo Gianni Petrucci per polemizzare con la politica esterofila di Siena. L’uscita del capo dello sport italiano poteva far supporre un braccio di ferro antipatico, che ho sempre ecluso, e nemmeno mai accennato. Nello sport (a meno che uno abbia secondi fini o animo poco predisposto alla competizione leale), le cose si superano con una stretta di mano e guardandosi negli occhi, credo perciò – come avevo auspicato – che ci sia stato quel chiarimento e abbia trionfato la sana logica dello sport più che la real-politk.
Mai scritto, invece, di presunti veti da parte federali e di chicchessia, sciocchezze non proponibili, trattandosi appunto dell’interesse dello sport nella sua massima espressione di consumo e piacere: la nazionale.
Conoscendoli, mai Petrucci e Meneghin avrebbero pensato minimamente a un ostracismo, solo dovevano far capire che la Nazionale è stata sempre – e sempre sarà – la priorità del movimento, specie di un movimento di scarse risorse come il nostro. Anche la stessa NBA ha avuto bisogno della nazionale e ha varato il Dream Team.
L’altro aspetto, invece, che mi lasciava perplesso era il part-time con una nazionale da rilanciare. In questa ottica ha ragionato anche la Federazione e – dopo un’opportuna esplorazione a 180 gradi con altri candidati illustri che hanno detto no, come Tanjevic e Blatt, due campioni d’Europa (e il primo con Azzurra 10 anni fa), coperti d’oro da turchi e russi – ha preso quota la candidatura di Jasmin Repesa, il ginnasiarca serbo-croato che ha allenato più in Italia nel suo paese, a Bologna e Roma, con 1 trionfo in 5 finali, epperò molti altri scudetti col Cibona e in Turchia, oltre ad aver portato la Croazia ai mondiali. Essendosi rivolto poi a un procuratore italiano, l’avvocato Maurizio Balducci di Perugia, si è quindi sviluppata una pista logica quale altenativa a “Supersimo”, mentre in un corsa a due con Stefano “Pino” Sacripanti quella del lupaiolo illustre era obbligata, da parte della Fip. Però, ancora oggi qualche media spingeva per Sacripanti, mettendo l’accento sul basket spettacolare che sta offrendo Caserta. Sacripanti è un bravo coach, ha portato a casa col 4° posto della Under 20 il miglior risultato dell’anno, ma è bocciato da un palmares largamente inferiore. E meno conosciuto all’estero. E il destino di una nazionale si gioca sul pragmatismo, sulle cifre, il credito a tutto tondo, e per fortuna non sul lobbismo mediatico della parrocchietta.
Nei giorni scorsi Meneghin si è incontrato col legale di Recalcati, l’accordo si è trovcato in fretta, con una buonuscita del 70 per cento del contratto. Forse non è un caso che un possibile “nodo gordiano”, come spesse succede quando due grandi amici (Dino & Charlie) prendono strade diverse, si sia trasformato in un atto-lampo quasi formale. Il procuratore di Recalcati è infatti l’ottimo avvocato Storelli, lo stesso di Simone Pianigiani. E questo ha facilitato anche la svolta che Meneghin aveva già in mente passando subito dopo al capitolo Pianigiani.
Questa è la soluzione migliore, in questo momento, anche se non dimentichiamo che esistono fortunatamente in Italia altri allenatori di notevole potenziale, come Matteo Boniciolli, Stefano Pillastrini, Andrea Capobianco o l’emergente Luca Bechi, il quale ha trasformato uno “scarto” dei grandi club in un giocatore prossimo alla NBA quale Pietro Aradori. E naturalmente lo stesso Sacripanti, che potrà gestire ancora la Under 20. Certo, la gente italica vorrebbe Messina o Scariolo, ma quelli hanno contratti milionari, sono inavvicinabili, e lo sport inoltre ha un suo divenire. Pianigiani rappresenta una svolta generazionale, se però il sistema Fip si dimostrerà forte.
Qui spiego la ragione per cui non mi ostino ad arroccarmi sulla tesi che Pianigiani in part-time fino al termine della stagione sarebbe un suicidio programmatico. Il Settore Squadre nazionali può portare avanti i suoi (di Pianigiani) programmi fino a metà giugno, dopo prenderà in mano la squadra per le qualificazioni europee, dove la nostra squadra è la più forte. Magari chiederà a Meneghin di cooptare per questo passaggio transitorio un maestro di basket quale Mario Blasone, il coach dei grandi successi giovanili azzurri e illustre clinic-man mondiale, al quale lui e il suo vice Banchi sono molto legati.
Perché la squadra, questa squadra, non ha bisogno di reclutamento, deve solo capitalizzare al meglio quello che Bargnani, Belinelli e Gallinari offrono nella NBA, e c’è anche la crescita di Aradori, oltre a quella di Poeta e Amoroso. Insomma, si tratta di ammodernare forse l’impianto di gioco, ma soprattutto creare un nuovo spirito, curare un rapporto più disteso coi giocatori i quali, a loro volta, sono i primi ad aver bisogno di riscattarsi. E di dimostrare che la nazionale vale quanto per i loro colleghi più illustri, Parker o Paul Gasol, i profeti di Francia e Spagna.
Insomma, un’altra nazionale degli equivoci, sullo sfondo di un vuoto di potere, mica per colpa di Recalcati, non potrà esserci la prossima estate, e magari Pianigiani riuscirà anche a convincere pure Shaun Stonerook a vestire la maglia azzurra, giusto per gratitudine al paese che ne ha fatto un personaggio.
Sì, è proprio la soluzione migliore, anche se il livellamento e le facili naturalizzazioni hanno alzato il livello europeo. Siena chiuderà la fase del suo primo ciclo, avrà la gratitudine della Federazione e del basket, ha un sistema ferreo e ferrato e magari promuoverà Luca Banchi o andrà su Luca Bechi, un altro livornese e dunque toscano. E che tutti si possa vivere finalmente felici e contenti. O meglio: vincenti.
SIENA. Ci sarà anche Dino Meneghin mercoledì pomeriggio alla presentazione a Palazzo Pubblico del libro che darà un volto storico allo sport della pallacanestro (allora palla al balzello), che proprio una professoressa di educazione fisica – che riposa nella sua San Gimignano – Ida Nomi Pesciolini, fece conoscere per la prima volta in Italia 102 anni fa in un concorso ginnico a Venezia e che Saverio Battente e Tito Menzani, gli autori, hanno intitolato “Storia sociale della pallacanestro in Italia”.
Ottima idea, davvero, non presentare il basket solo attraverso monografie agiografiche, in questo caso la storia viene sì scritta sempre da chi ha vinto (un autore è senese e l’altro bolognese, piazze vincenti e appassionate), ma con un diverso spessore accademico, così voglio sperare..
La presenza di Dino Meneghin a Siena, però, chiama tutti all’attualità. Argomento molto meno nobile ma importante, trattandosi del capitolo riguardante il nuovo CT della Nazionale che subentrerà a Charlie Recalcati. Il suo arrivo è un segnale di un disgelo diplomatico che davo per scontato, e per quanto riguarda l’Azzurra del basket un segno di continuità in senso tecnico, che avevo auspicato già diversi mesi fa, ritenendo Simone Pianigiani il più degno a raccogliere l’eredità del coach che ci ha dato un argento olimpico, operazione già riuscita brillantemente col passaggio di consegne alla Mens Sana.
Mi ero permesso anche di dire che il suo gioco era anche il miglior marketing, quando una squadra si diverte come la Mens Sana la fatica si sente meno e non ci sono polemiche.
Tuttavia, avevo posto strada facendo solo due riserve.La prima che Simone Pianigiani col suo palmares ineguagliabile, da Guinness, roba da far invidia anche a un imbattibile come Cesare Rubini o a scienziati come Nikolic e Taurisano, ma soprattutto “inventore” – se mi è permesso – di un basket all’italiana, organizzato e scintillante, riuscisse a smarcarsi dalla sua società. Questo prima che scendesse in campo Gianni Petrucci per polemizzare con la politica esterofila di Siena. L’uscita del capo dello sport italiano poteva far supporre un braccio di ferro antipatico, che ho sempre ecluso, e nemmeno mai accennato. Nello sport (a meno che uno abbia secondi fini o animo poco predisposto alla competizione leale), le cose si superano con una stretta di mano e guardandosi negli occhi, credo perciò – come avevo auspicato – che ci sia stato quel chiarimento e abbia trionfato la sana logica dello sport più che la real-politk.
Mai scritto, invece, di presunti veti da parte federali e di chicchessia, sciocchezze non proponibili, trattandosi appunto dell’interesse dello sport nella sua massima espressione di consumo e piacere: la nazionale.
Conoscendoli, mai Petrucci e Meneghin avrebbero pensato minimamente a un ostracismo, solo dovevano far capire che la Nazionale è stata sempre – e sempre sarà – la priorità del movimento, specie di un movimento di scarse risorse come il nostro. Anche la stessa NBA ha avuto bisogno della nazionale e ha varato il Dream Team.
L’altro aspetto, invece, che mi lasciava perplesso era il part-time con una nazionale da rilanciare. In questa ottica ha ragionato anche la Federazione e – dopo un’opportuna esplorazione a 180 gradi con altri candidati illustri che hanno detto no, come Tanjevic e Blatt, due campioni d’Europa (e il primo con Azzurra 10 anni fa), coperti d’oro da turchi e russi – ha preso quota la candidatura di Jasmin Repesa, il ginnasiarca serbo-croato che ha allenato più in Italia nel suo paese, a Bologna e Roma, con 1 trionfo in 5 finali, epperò molti altri scudetti col Cibona e in Turchia, oltre ad aver portato la Croazia ai mondiali. Essendosi rivolto poi a un procuratore italiano, l’avvocato Maurizio Balducci di Perugia, si è quindi sviluppata una pista logica quale altenativa a “Supersimo”, mentre in un corsa a due con Stefano “Pino” Sacripanti quella del lupaiolo illustre era obbligata, da parte della Fip. Però, ancora oggi qualche media spingeva per Sacripanti, mettendo l’accento sul basket spettacolare che sta offrendo Caserta. Sacripanti è un bravo coach, ha portato a casa col 4° posto della Under 20 il miglior risultato dell’anno, ma è bocciato da un palmares largamente inferiore. E meno conosciuto all’estero. E il destino di una nazionale si gioca sul pragmatismo, sulle cifre, il credito a tutto tondo, e per fortuna non sul lobbismo mediatico della parrocchietta.
Nei giorni scorsi Meneghin si è incontrato col legale di Recalcati, l’accordo si è trovcato in fretta, con una buonuscita del 70 per cento del contratto. Forse non è un caso che un possibile “nodo gordiano”, come spesse succede quando due grandi amici (Dino & Charlie) prendono strade diverse, si sia trasformato in un atto-lampo quasi formale. Il procuratore di Recalcati è infatti l’ottimo avvocato Storelli, lo stesso di Simone Pianigiani. E questo ha facilitato anche la svolta che Meneghin aveva già in mente passando subito dopo al capitolo Pianigiani.
Questa è la soluzione migliore, in questo momento, anche se non dimentichiamo che esistono fortunatamente in Italia altri allenatori di notevole potenziale, come Matteo Boniciolli, Stefano Pillastrini, Andrea Capobianco o l’emergente Luca Bechi, il quale ha trasformato uno “scarto” dei grandi club in un giocatore prossimo alla NBA quale Pietro Aradori. E naturalmente lo stesso Sacripanti, che potrà gestire ancora la Under 20. Certo, la gente italica vorrebbe Messina o Scariolo, ma quelli hanno contratti milionari, sono inavvicinabili, e lo sport inoltre ha un suo divenire. Pianigiani rappresenta una svolta generazionale, se però il sistema Fip si dimostrerà forte.
Qui spiego la ragione per cui non mi ostino ad arroccarmi sulla tesi che Pianigiani in part-time fino al termine della stagione sarebbe un suicidio programmatico. Il Settore Squadre nazionali può portare avanti i suoi (di Pianigiani) programmi fino a metà giugno, dopo prenderà in mano la squadra per le qualificazioni europee, dove la nostra squadra è la più forte. Magari chiederà a Meneghin di cooptare per questo passaggio transitorio un maestro di basket quale Mario Blasone, il coach dei grandi successi giovanili azzurri e illustre clinic-man mondiale, al quale lui e il suo vice Banchi sono molto legati.
Perché la squadra, questa squadra, non ha bisogno di reclutamento, deve solo capitalizzare al meglio quello che Bargnani, Belinelli e Gallinari offrono nella NBA, e c’è anche la crescita di Aradori, oltre a quella di Poeta e Amoroso. Insomma, si tratta di ammodernare forse l’impianto di gioco, ma soprattutto creare un nuovo spirito, curare un rapporto più disteso coi giocatori i quali, a loro volta, sono i primi ad aver bisogno di riscattarsi. E di dimostrare che la nazionale vale quanto per i loro colleghi più illustri, Parker o Paul Gasol, i profeti di Francia e Spagna.
Insomma, un’altra nazionale degli equivoci, sullo sfondo di un vuoto di potere, mica per colpa di Recalcati, non potrà esserci la prossima estate, e magari Pianigiani riuscirà anche a convincere pure Shaun Stonerook a vestire la maglia azzurra, giusto per gratitudine al paese che ne ha fatto un personaggio.
Sì, è proprio la soluzione migliore, anche se il livellamento e le facili naturalizzazioni hanno alzato il livello europeo. Siena chiuderà la fase del suo primo ciclo, avrà la gratitudine della Federazione e del basket, ha un sistema ferreo e ferrato e magari promuoverà Luca Banchi o andrà su Luca Bechi, un altro livornese e dunque toscano. E che tutti si possa vivere finalmente felici e contenti. O meglio: vincenti.