Riflessioni sulla decisione del Governo Monti di non finanziare "Roma 2020"
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di Giacomo Zanibelli
SIENA. “Fu un anno memorabile quel 1960. Eppure sembrava votato al peggio… Molti italiani avrebbero ricordato quell’anno soprattutto perché alle Olimpiadi tenutesi a subito dopo a Roma, dal 25 agosto, i nostri atleti vinsero tante medaglie d’oro quante non ne avevano mai conquistate in alcuna delle precedenti edizioni… Ci si era inorgogliti anche perché quelle Olimpiadi allestite nella capitale italiana – per cui era stato costruito accanto al Foro Italico un apposito villaggio dotato di moderni impianti ricettivi per atleti – furono le prime a comparire giorno per giorno sugli schermi della televisione. Mai in passato i giochi erano stati così popolari” (V. Castronovo, l’Italia del Miracolo Economico, Laterza, Bari, 2010. pp, 3-4). Con queste parole Castronovo ha deciso di iniziare la sua ultima pubblicazione sul miracolo economico italiano.
Dopo il no del governo Monti alle Olimpiadi di Roma 2020 credo sia opportuno ripartire dalla storia per comprendere le decisioni dei tecnici che guidano l’Italia. Le olimpiadi del 1960 di sicuro segnarono l’ascesa della crescita Italiana, quel calabrone grezzo e tozzo che era il nostro paese, riusciva finalmente a spiccare il volo da solo ed a librarsi nell’aria. Sicuramente l’evento sportivo svolse un ruolo fondamentale ma non decisivo. Quando analizziamo un qualsiasi esempio di progresso economico dobbiamo sempre soffermarci a comprenderne le cause, che spesso purtroppo non sono sempre così chiare, basti pensare a tutta la pubblicistica scientifica edita in merito alle cause della Rivoluzione Industriale. Dobbiamo postulare però che è impossibile trovare una formula dello sviluppo che sia applicabile anche ad altri contesti storici e geografici. Forse “Roma 2020” avrebbe potuto ricoprire un ruolo predominante per rilanciare l’economia italiana, ma al tempo stesso dobbiamo comprendere la decisione del governo di non buttarsi in imprese faraoniche proprio adesso in cui sono stati chiesti molti sacrifici agli italiani. L’avvio di tutta la macchina olimpica avrebbe necessitato di casse floride altrimenti si sarebbe rischiato di sommare debito con altro debito; molti economisti hanno parlato della crisi greca come un naturale effetto domino dopo le Olimpiadi di Atene in cui si era andati incontro a spese difficilmente sostenibili.
Tornando in ambito sportivo condivido pienamente la linea di pensiero del CSI nazionale, ossia che lo sport italiano allo stato attuale necessiti di altro. Dobbiamo farci portavoce di una nuova idea di sport, in cui l’agonismo sia solo l’apice di un sistema e non la base. Si deve arrivare ad uno “Sport Sociale” fruibile da tutti nei modi e nei tempi che ognuno ritiene più conforme alla propria esperienza. Questi fondamenti di socialità, condivisione e trasmissione di esperienze devono essere i motori propulsori per tutti coloro che si trovano ad operare con i più giovani, al fine di trasmettere questi principi alle generazioni future. Lo sport non deve essere più solo competizione, ma anche esperienza di vita, che accresce ed al tempo stesso completa l’esperienza culturale, familiare, religiosa e sociale di ognuno di noi.