SIENA. Il rugby senese incontra Massimo Mezzaroma, presidente dell'AC Siena, ma non per parlare di calcio…
Presidente, come e perché iniziò a giocare?
“Per volontà di mia madre, che è inglese (é nata a Sheffield) e che lo riteneva uno sport formativo. Era il 1982, e frequentavo il Liceo; abitavo all'Eur, poco lontano dalla tana della Rugby Roma, al Campo delle Tre Fontane. Logico che mi iscrivessi lì”.
In che ruolo venne impiegato?
“Come pilone”.
Pilone?
“Sembra strano, ma è vero. Ma pur essendo un po' più alto della media dei piloni, specialmente per quei tempi, quello che piacque ai tecnici, quello che trovarono interessante … fu il mio peso. Sulla bilancia infatti, toccavo i 110 kg.”
Di quel periodo, passati alcuni anni, quale ricordo ha?
“Il rugby è davvero uno sport diverso, che modifica – in meglio – la scala dei valori di chi lo pratica. E' davvero uno sport formativo. Ci sono comportamenti che esistono solo in quello sport. Per esempio il ruolo del capitano, che è veramente 'il capitano', colui che decide, che si assume le responsabilità nei confronti del gruppo, che deve tenerlo su quando le cose vanno male. Qualcosa di simile l'ho trovato nella vela. E basta. E poi anche il senso della squadra che è davvero una 'tribù'”. Infatti la struttura sociale interna è diversa da quella esterna".
Com'era il clima del club?
“Molto bello. Come ho detto era una sorta di 'tribù'. Gli allenatori che portavano i figli erano i più critici nei loro confronti. Non accadeva mai che i padri si menassero in tribuna. Come del resto accade anche ora. E' una conseguenza del suo essere sport vero, scollegato dalla parte estetico consumistica della società”.
Quanto durò la sua avventura?
“Due anni soli, andavo male a scuola e la 'tribù' incideva, forse, sui risultati scolastici. Quindi nel 1984 cessai”.
Veniamo all'oggi. Come vive Roma il suo rapporto con il rugby?
“A parte i grandi eventi del Sei Nazioni, credo che la presenza di una formazione romana nella Celtic League non fosse un'eresia. Roma poteva e può dar molto alla palla ovale italiana. Non dimentichiamo che il rugby azzurro vive di tante tradizioni sparse per la Penisola – il Veneto, l'Abruzzo, Parma – ma che anche Roma ha una sua tradizione e una sua storia ovale. Sarebbe bello se nel futuro l'occasione si potesse ripresentare”.
Cosa può insegnare il rugby agli altri sport professionistici?
“Non può, deve. Soprattutto la formazione del carattere dell'atleta. La capacità di comprendere che la riuscita di una squadra è tecnica, tattica, ma soprattutto umana. E' questo il distillato dello sport. Puoi praticare il rugby solo se hai veramente voglia di giocare; anche perché l'individualismo lì serve poco. Per come si gioca si può solo farlo per e con i compagni. Ricorda “Fuga per la vittoria”? Quando Pelé disegna lo schema sulla lavagna? Lui con la palla tra i piedi dribbla tutti gli avversari e deposita la palla in fondo al sacco. Nel rugby questo è impensabile”.
Prevede ci sia un po’ di rugby nel suo prossimo futuro, inteso come tempo libero?
“Visto che abito nelle vicinanze dello Stadio Flaminio, voglio vedere portarvi presto mio figlio”.
L'incontro si conclude con un invito al Campo dell'Acquacalda, dove ogni settimana decine di rugbisti scendono in campo per allenarsi con lo stesso spirito con cui Massimo Mezzaroma calcava il Campo romano delle Tre Fontane.
Presidente, come e perché iniziò a giocare?
“Per volontà di mia madre, che è inglese (é nata a Sheffield) e che lo riteneva uno sport formativo. Era il 1982, e frequentavo il Liceo; abitavo all'Eur, poco lontano dalla tana della Rugby Roma, al Campo delle Tre Fontane. Logico che mi iscrivessi lì”.
In che ruolo venne impiegato?
“Come pilone”.
Pilone?
“Sembra strano, ma è vero. Ma pur essendo un po' più alto della media dei piloni, specialmente per quei tempi, quello che piacque ai tecnici, quello che trovarono interessante … fu il mio peso. Sulla bilancia infatti, toccavo i 110 kg.”
Di quel periodo, passati alcuni anni, quale ricordo ha?
“Il rugby è davvero uno sport diverso, che modifica – in meglio – la scala dei valori di chi lo pratica. E' davvero uno sport formativo. Ci sono comportamenti che esistono solo in quello sport. Per esempio il ruolo del capitano, che è veramente 'il capitano', colui che decide, che si assume le responsabilità nei confronti del gruppo, che deve tenerlo su quando le cose vanno male. Qualcosa di simile l'ho trovato nella vela. E basta. E poi anche il senso della squadra che è davvero una 'tribù'”. Infatti la struttura sociale interna è diversa da quella esterna".
Com'era il clima del club?
“Molto bello. Come ho detto era una sorta di 'tribù'. Gli allenatori che portavano i figli erano i più critici nei loro confronti. Non accadeva mai che i padri si menassero in tribuna. Come del resto accade anche ora. E' una conseguenza del suo essere sport vero, scollegato dalla parte estetico consumistica della società”.
Quanto durò la sua avventura?
“Due anni soli, andavo male a scuola e la 'tribù' incideva, forse, sui risultati scolastici. Quindi nel 1984 cessai”.
Veniamo all'oggi. Come vive Roma il suo rapporto con il rugby?
“A parte i grandi eventi del Sei Nazioni, credo che la presenza di una formazione romana nella Celtic League non fosse un'eresia. Roma poteva e può dar molto alla palla ovale italiana. Non dimentichiamo che il rugby azzurro vive di tante tradizioni sparse per la Penisola – il Veneto, l'Abruzzo, Parma – ma che anche Roma ha una sua tradizione e una sua storia ovale. Sarebbe bello se nel futuro l'occasione si potesse ripresentare”.
Cosa può insegnare il rugby agli altri sport professionistici?
“Non può, deve. Soprattutto la formazione del carattere dell'atleta. La capacità di comprendere che la riuscita di una squadra è tecnica, tattica, ma soprattutto umana. E' questo il distillato dello sport. Puoi praticare il rugby solo se hai veramente voglia di giocare; anche perché l'individualismo lì serve poco. Per come si gioca si può solo farlo per e con i compagni. Ricorda “Fuga per la vittoria”? Quando Pelé disegna lo schema sulla lavagna? Lui con la palla tra i piedi dribbla tutti gli avversari e deposita la palla in fondo al sacco. Nel rugby questo è impensabile”.
Prevede ci sia un po’ di rugby nel suo prossimo futuro, inteso come tempo libero?
“Visto che abito nelle vicinanze dello Stadio Flaminio, voglio vedere portarvi presto mio figlio”.
L'incontro si conclude con un invito al Campo dell'Acquacalda, dove ogni settimana decine di rugbisti scendono in campo per allenarsi con lo stesso spirito con cui Massimo Mezzaroma calcava il Campo romano delle Tre Fontane.