Scoperti oro, gemme e carbone sotto i ghiacci
SIENA. Missioni in elicottero sulle Montagne Transantartiche in un raggio di oltre 300 km dalla stazione scientifica Mario Zucchelli a Baia Terranova nel Mare di Ross, una impegnativa missione con un aereo bimotore provvisto di pattini, nel profondo sud, al parallelo 83°, oltre 1100 km dalla base e due campi remoti a circa 200 e 450 km. Questa l’organizzazione logistica fornita dall’ENEA alla spedizione geologica, condotta nell’ambito del Programma nazionale di Ricerche in Antartide, da parte di tre ricercatori, Franco Talarico e Gianluca Cornamusini (Università di Siena) e Valerio Olivetti (Università di Roma Tre). La ricerca geologica iniziata il 27 novembre, ha fatto sinora i conti con condizioni meteorologiche spesso avverse con venti sino a 100 km orari, temperature che toccano i -30° C, e la estesa copertura nuvolosa che limita spesso i voli degli elicotteri. Nonostante la complessità logistica dell’organizzazione, che prevede il perfetto funzionamento dei mezzi aerei e l’allestimento di campi di tende adistanza considerevoli dalla base, l’esplorazione geologica inizia a rivelare nuovi dettagli conservati nelle rocce della storia geologica e degli ambienti e condizioni climatiche del passato in una estesa regione del continente antartico.
Franco Talarico (docente di Petrologia dell’Università di Siena e coordinatore del progetto) : “Le Montagne Transantartiche sono una regione del pianeta ancora molto poco esplorata e conosciuta. Fare il geologo in questa regione è un po’ come fare l’esploratore all’inizio del secolo scorso sulle nostre Alpi. Dopo la scoperta di un filone aurifero nel dicembre 2005, in questa stagione studiando un’ area a circa 250 km dalla base Mario Zucchelli ci siamo trovati di fronte arenarie (antichi sedimenti fluviali e lacustri) che si alternano con spessi livelli (anche oltre 4 m) di carbone, o con abbondanti resti fossili di tronchi, foglie e anche delicati ramoscelli”.
Aggiunge Gianluca Cornamusini (docente di Geologia stratigrafica e sedimentologia, Università di Siena): “ Gli orizzonti di carbone sono i testimoni di grandi paludi e di un’estesa foresta fossilizzata ed almeno in parte incendiata a seguito di eruzioni vulcaniche o per l’impatto di un grande meteorite. La grande quantità di carbone suggerisce la presenza di un giacimento con potenzialità maggiori di quelli noti in Italia. In realtà i nostri studi non sono però finalizzati alla prospezione mineraria (giustamente vietata dal protocollo di protezione ambientale di Madrid del 1991), ma esclusivamente alla conoscenza scientifica. In questo caso, le indagini di laboratorio sui campioni raccolti permetteranno di ricostruire in dettaglio la storia di molteplici sistemi fluviali, lacustri o marini, che si sono sviluppati in questo settore dell’Antartide per un periodo lunghissimo, compreso tra 416 milioni di anni (Devoniano) e 175 milioni di anni fa (Giurassico inferiore). A quel tempo l’Antartide
ospitava estese foreste e paludi come l’attuale territorio canadese o la Siberia, e verosimilmente una ricca fauna con rettili e pesci: alcuni resti fossili sono già stati trovati ma confidiamo in nuovi ritrovamenti”.
“In questi depositi fluviali” aggiunge Talarico, “in diverse località abbiamo campionato concentrazioni di sedimento più grossolano (ghiaie fini e ciottoli) che alle prime osservazioni al microscopio condotte nei laboratori della base, si sono rivelate ricche in minerali pesanti con abbondante granato, zircone, possibili gemme (rubini) e tracce di metalli (ossidi di ferro, argento, oro). Anche questi campioni, sottoposti ad analisi chimiche e datazioni, saranno un efficiente indicatore del tipo di terreni e rocce che costituivano le antiche montagne, anche nella regione che ora si trova sino a oltre 2 km di profondità sepolta sotto la calotta di ghiacci”.
La ricerca sugli isolati ma preziosi affioramenti di roccia e la raccolta di fossili e campioni, si sposterà a breve nei campi remoti presso Escalade Peak e Mt Jackman, sul ghiacciaio Rennick, il più grande della Terra Vittoria (lungo oltre 400 km e largo 80).
“In queste regioni, poco esplorate – spiega Valerio Olivetti (assegnista dell’Università di Roma Tre ed esperto di geologia strutturale) – Proseguiremo la ricerca in zone chiave che pensiamo ci forniranno ulteriori evidenze per comprendere meglio i processi di erosione e di sollevamento delle catene montuose durante diversi milioni di anni di storia glaciale e climatica. Il comportamento futuro delle calotte di ghiaccio antartiche è sotto attenta osservazione essendo questi ghiacci un fattore fondamentale di controllo delle variazioni del livello del mare in tutto il pianeta.” “Proprio il tema delle relazioni tra clima, attività glaciale e i fattori legati ai processi più profondi attivi sotto la superficie terrestre (tettonici e vulcanici in particolare) – conclude Talarico – è il filo trainante del progetto, che si propone anche una comparazione della storia antartica con quella di alcune regioni in Artide (Siberia, Svalbard, Groenlandia). La nostra attenzione è soprattutto rivolta a quei eriodi in cui il contenuto di CO2 in atmosfera è confrontabile con quello previsto per la fine di questo secolo, secondo le proiezioni dell’IPCC, ‘organismo mondiale preposto alla valutazione dei fenomeni riguardanti i cambiamenti climatici. I risultati ottenuti nelle perforazioni ondotte nella regione di mare vicina a quella della nostra attività (i pozzi dei programmi internazionali Cape Roberts e ANDRILL), sono stati presi in considerazione dall’IPCC nel suo prossimo rapporto, e hanno evidenziato l’importanza degli studi sulle rocce e sedimenti recuperati mediante carotaggi in prossimità delle calotte polari per capire meglio i complessi rapporti tra il sistema glaciale antartico, i cambiamenti climatici globali e le variazioni del livello del mare. Ben consapevoli della grande complessità del tema affrontato, di fronte alla necessità anche etica di portare nuove informazioni utili per affinare con la conoscenza del passato i modelli di previsione sul comportamento delle calotte glaciali in futuro, stiamo concentrando la nostra attività in aree sensibili in cui la storia geologica registrata nelle rocce lungo il fronte delle Montagne Transantartiche possa essere facilmente integrata con gli archivi conservati nei sedimenti marini”. Conclusa la spedizione, la grande mole di dati e campioni frutto della ricerca in Antartide e di quella in Artide, sarà studiata da 6 equipes di ricercatori di diverse università (Genova, Milano, Roma Tre, Padova, Siena) ed enti di ricerca nazionali (INGV, CNR, OGS) in sinergia con numerosi ricercatori stranieri (USA, NZ, D, UK). Il progetto include inoltre una specifica attività dedicata alla didattica delle scienze con una importante parte di divulgazione e comunicazione nelle scuole. Insieme all’Università di Padova con contributi del Museo Nazionale dell’Antartide e del Museo Tridentino di Scienze Naturali, sarà presto disponibile (febbraio 2013, www.mna.it/clast) una APP, interattiva e accessibile su più piattaforme, che spiegherà la dinamica dei ghiacciai ed i loro diversi prodotti e ambienti in mare e terrestri, concepita per favorire l’insegnamento di temi geologici delle regioni polari nella cornice più ampia del Sistema Terra nelle scuole secondarie. Il gruppo di ricerca racconta regolarmente la sua attività in Antartide sul web blog divulgativo geoantarctica.wordpress.com, e ha raccolto diverse ore di registazioni audio e video digitali ad alta definizione che documentano lo svolgimento della ricerca.
Franco Talarico (docente di Petrologia dell’Università di Siena e coordinatore del progetto) : “Le Montagne Transantartiche sono una regione del pianeta ancora molto poco esplorata e conosciuta. Fare il geologo in questa regione è un po’ come fare l’esploratore all’inizio del secolo scorso sulle nostre Alpi. Dopo la scoperta di un filone aurifero nel dicembre 2005, in questa stagione studiando un’ area a circa 250 km dalla base Mario Zucchelli ci siamo trovati di fronte arenarie (antichi sedimenti fluviali e lacustri) che si alternano con spessi livelli (anche oltre 4 m) di carbone, o con abbondanti resti fossili di tronchi, foglie e anche delicati ramoscelli”.
Aggiunge Gianluca Cornamusini (docente di Geologia stratigrafica e sedimentologia, Università di Siena): “ Gli orizzonti di carbone sono i testimoni di grandi paludi e di un’estesa foresta fossilizzata ed almeno in parte incendiata a seguito di eruzioni vulcaniche o per l’impatto di un grande meteorite. La grande quantità di carbone suggerisce la presenza di un giacimento con potenzialità maggiori di quelli noti in Italia. In realtà i nostri studi non sono però finalizzati alla prospezione mineraria (giustamente vietata dal protocollo di protezione ambientale di Madrid del 1991), ma esclusivamente alla conoscenza scientifica. In questo caso, le indagini di laboratorio sui campioni raccolti permetteranno di ricostruire in dettaglio la storia di molteplici sistemi fluviali, lacustri o marini, che si sono sviluppati in questo settore dell’Antartide per un periodo lunghissimo, compreso tra 416 milioni di anni (Devoniano) e 175 milioni di anni fa (Giurassico inferiore). A quel tempo l’Antartide
ospitava estese foreste e paludi come l’attuale territorio canadese o la Siberia, e verosimilmente una ricca fauna con rettili e pesci: alcuni resti fossili sono già stati trovati ma confidiamo in nuovi ritrovamenti”.
“In questi depositi fluviali” aggiunge Talarico, “in diverse località abbiamo campionato concentrazioni di sedimento più grossolano (ghiaie fini e ciottoli) che alle prime osservazioni al microscopio condotte nei laboratori della base, si sono rivelate ricche in minerali pesanti con abbondante granato, zircone, possibili gemme (rubini) e tracce di metalli (ossidi di ferro, argento, oro). Anche questi campioni, sottoposti ad analisi chimiche e datazioni, saranno un efficiente indicatore del tipo di terreni e rocce che costituivano le antiche montagne, anche nella regione che ora si trova sino a oltre 2 km di profondità sepolta sotto la calotta di ghiacci”.
La ricerca sugli isolati ma preziosi affioramenti di roccia e la raccolta di fossili e campioni, si sposterà a breve nei campi remoti presso Escalade Peak e Mt Jackman, sul ghiacciaio Rennick, il più grande della Terra Vittoria (lungo oltre 400 km e largo 80).
“In queste regioni, poco esplorate – spiega Valerio Olivetti (assegnista dell’Università di Roma Tre ed esperto di geologia strutturale) – Proseguiremo la ricerca in zone chiave che pensiamo ci forniranno ulteriori evidenze per comprendere meglio i processi di erosione e di sollevamento delle catene montuose durante diversi milioni di anni di storia glaciale e climatica. Il comportamento futuro delle calotte di ghiaccio antartiche è sotto attenta osservazione essendo questi ghiacci un fattore fondamentale di controllo delle variazioni del livello del mare in tutto il pianeta.” “Proprio il tema delle relazioni tra clima, attività glaciale e i fattori legati ai processi più profondi attivi sotto la superficie terrestre (tettonici e vulcanici in particolare) – conclude Talarico – è il filo trainante del progetto, che si propone anche una comparazione della storia antartica con quella di alcune regioni in Artide (Siberia, Svalbard, Groenlandia). La nostra attenzione è soprattutto rivolta a quei eriodi in cui il contenuto di CO2 in atmosfera è confrontabile con quello previsto per la fine di questo secolo, secondo le proiezioni dell’IPCC, ‘organismo mondiale preposto alla valutazione dei fenomeni riguardanti i cambiamenti climatici. I risultati ottenuti nelle perforazioni ondotte nella regione di mare vicina a quella della nostra attività (i pozzi dei programmi internazionali Cape Roberts e ANDRILL), sono stati presi in considerazione dall’IPCC nel suo prossimo rapporto, e hanno evidenziato l’importanza degli studi sulle rocce e sedimenti recuperati mediante carotaggi in prossimità delle calotte polari per capire meglio i complessi rapporti tra il sistema glaciale antartico, i cambiamenti climatici globali e le variazioni del livello del mare. Ben consapevoli della grande complessità del tema affrontato, di fronte alla necessità anche etica di portare nuove informazioni utili per affinare con la conoscenza del passato i modelli di previsione sul comportamento delle calotte glaciali in futuro, stiamo concentrando la nostra attività in aree sensibili in cui la storia geologica registrata nelle rocce lungo il fronte delle Montagne Transantartiche possa essere facilmente integrata con gli archivi conservati nei sedimenti marini”. Conclusa la spedizione, la grande mole di dati e campioni frutto della ricerca in Antartide e di quella in Artide, sarà studiata da 6 equipes di ricercatori di diverse università (Genova, Milano, Roma Tre, Padova, Siena) ed enti di ricerca nazionali (INGV, CNR, OGS) in sinergia con numerosi ricercatori stranieri (USA, NZ, D, UK). Il progetto include inoltre una specifica attività dedicata alla didattica delle scienze con una importante parte di divulgazione e comunicazione nelle scuole. Insieme all’Università di Padova con contributi del Museo Nazionale dell’Antartide e del Museo Tridentino di Scienze Naturali, sarà presto disponibile (febbraio 2013, www.mna.it/clast) una APP, interattiva e accessibile su più piattaforme, che spiegherà la dinamica dei ghiacciai ed i loro diversi prodotti e ambienti in mare e terrestri, concepita per favorire l’insegnamento di temi geologici delle regioni polari nella cornice più ampia del Sistema Terra nelle scuole secondarie. Il gruppo di ricerca racconta regolarmente la sua attività in Antartide sul web blog divulgativo geoantarctica.wordpress.com, e ha raccolto diverse ore di registazioni audio e video digitali ad alta definizione che documentano lo svolgimento della ricerca.