di Michele Pinassi*
“Due cose importanti da insegnare ai figli: fare e fare senza” (Marceline Cox)
SIENA. Il dramma della bambina di 10 anni morta asfissiata a causa di una stupida sfida su TikTok sta facendo discutere, talvolta anche a sproposito, e da genitore – prima ancora che da informatico – credo che la tristissima vicenda meriti una ulteriore riflessione.
Gli ultimi dati disponibili sul web (Safer Internet Day 2018, una guida sull’uso sicuro del web per i bambini) ci dicono che “ogni giorno nel mondo 175mila bambini e ragazzi si connettono per la prima volta nella loro vita a Internet: in media, uno ogni mezzo secondo […] un utente su tre è minorenne: il gruppo di età di gran lunga più connesso, con un tasso di presenza online del 71% rispetto al 48% della popolazione totale”. La questione della presenza sulla Rete di minori che usufruiscono di servizi e accedono alle informazioni, di ogni tipo e senza filtri, è quindi rilevante.
Partiamo da quello che dice la normativa, a iniziare dal Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati Personali (GDPR), che, all’art. 8 comma 1, dispone: “per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione ai minori, il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni.” a cui si aggiunge, al comma 2, un esplicito riferimento alle responsabilità di verifica del fornitore di servizio: “Il titolare del trattamento si adopera in ogni modo ragionevole per verificare in tali casi che il consenso sia prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale sul minore, in considerazione delle tecnologie disponibili“.
E’ proprio l’art.8 del GDPR a costituire la base giuridica che ha portato il Garante della Privacy italiano a chiedere a TikTok (e ad altri social network come Facebook e Instagram) di procedere con l’oscuramento di tutti i profili per i quali non è stata verificata con certezza l’età dell’utente.
La questione è tutt’altro che peregrina, perché chiunque desideri registrarsi su TikTok ne accetta i relativi “Termini di Utilizzo“ che specificano, all’art. 2, che “I Servizi e la Piattaforma sono riservati esclusivamente a utenti con un’età minima di 13 anni”. È evidente che un minore di 13 anni che utilizza questo social, come molte altre piattaforme, ha dichiarato una età che non possiede. E quindi, come specificato dall’Avv. Scorza, il “consenso raccolto da Tik Tok non è un consenso valido” pertanto la piattaforma non può trattarne i relativi dati, poiché avrebbe dovuto “progettare e gestire i propri processi in modo che i trattamenti di dati personali siano leciti e, soprattutto, di essere in grado di provarne sempre la liceità” come da art. 25 del GDPR.
Non sono un legale e, quindi, non ho le competenze per discutere della questione. Ma mi chiedo, da tecnico, come avrebbe potuto TikTok verificare con assoluta – o comunque ragionevole – certezza l’identità dell’utente, quando l’utente stesso dichiara una età anagrafica non corrispondente a quella reale. Certo, la normativa GDPR prevede che “l’identificazione della soluzione tecnologica appartiene naturalmente al titolare del trattamento“, ma come poter prevenire dichiarazioni fasulle?
La risposta, sempre dell’avvocato Scorza nell’articolo pubblicato su Agenda Digitale, mi lascia perplesso: “Chi, però, investe così tanto in ricerca e sviluppo proprio in soluzioni algoritmiche e basate sui big data per la profilazione degli utenti per scopi commerciali, probabilmente, potrebbe fare altrettanto per piegare le stesse soluzioni a distinguere un bambino di dieci anni da uno di tredici o di quattordici […] Magari dai contenuti che guardano, dal modo in cui usano il dispositivo, dalla maniera con la quale interagiscono con l’interfaccia [..] Queste soluzioni non consentiranno di pervenire a risultati infallibili ma, in una logica di accountability – quella alla base del GDPR – una cosa è fare il massimo per evitare di raccogliere un consenso da parte di un utente che non ha l’età per prestarlo o iniziare un trattamento sulla base di un contratto con un utente che non ha l’età per perfezionarlo e una cosa è limitarsi a chiedere a un ragazzino che sebbene non possa vuole usare un servizio di dichiarare la sua età.“
Quindi il problema di TikTok, se ho ben capito, è stato quello di non fare tutto il possibile per scongiurare che si verificasse un trattamento non lecito dei dati causati da una dichiarazione infedele dell’utente (minorenne). Ma questo, di fatto, non toglie il sonno ai CEO praticamente dell’intera platea di servizi e social networks presenti in Rete? Quali conseguenze può avere questa interpretazione, adesso che l’indagine si sta estendendo anche ad altri social quali Facebook e Instagram? Chi decide se un certo profilo deve essere bloccato “per sospetta non conformità delle attività con l’età anagrafica dichiarata”?
Sia chiaro che condivido la necessità di tutelare i minori, in ogni modo possibile. Ma nutro qualche dubbio sulle misure tecnologiche proposte. Che, tra l’altro, sembrano quasi lasciar intendere che l’intera responsabilità sull’uso che un minore fa della Rete cada sui fornitori di servizi, soprattutto se social networks. Lungi da me difendere i social network (anche perché non ne hanno certo bisogno!) ma i genitori, dove sono, in tutto questo? Dove sono quando una bambina di 10 anni (10 anni!) usa e (ab)usa del costoso smartphone con accesso a Internet senza filtri e senza adeguato controllo?
Mi si risponderà che ormai tutti i ragazzi hanno lo smartphone. Che non possono più farne a meno, perché già da tenera età ne posseggono uno, necessario per mantenersi in contatto con i genitori (in caso di emergenza) ma, ancor di più, con amici e compagni di classe.
Ma se la consapevolezza della gravità e serietà della situazione non parte prima di tutto da noi genitori e dalle Istituzioni preposte alla formazione dei “nuovi cittadini“, ovvero la scuola, credo che la tecnologia potrà ben poco.
I tempi cambiano, me ne sono accorto. Mi sono accorto di come mio figlio, ancora troppo piccolo per possedere uno smartphone, adopera con confidenza e sicurezza il tablet nei pochi e rari momenti in cui glielo concediamo per giocare o guardarsi un cartone su Netflix (meglio evitare YouTube, troppa pubblicità e contenuti “inadeguati”).
“Ma come, proprio tu, che sei così tecnologico!”, mi ha risposto qualcuno, parlando di come cerco – con molta fatica – di limitare l’esposizione ai dispositivi tecnologici di mio figlio. Sarà che proprio io, forse un po’ più esperto, comprendo meglio di altri gli enormi rischi della Rete, dei social network e dell’invasione tecnologica nelle nostre vite. Soprattutto i social network, idrovore voraci di dati personali, rappresentano un rischio enorme per le libertà nostre e dei nostri figli in un futuro neanche troppo lontano: l’enorme quantità di dati che posseggono sulle nostre vite permette loro di avere un potere straordinariamente forte, spesso al di là delle giurisdizioni nazionali. A cui si aggiunge il “peso” finanziario di queste aziende multimiliardarie, capaci addirittura di (cercare di?) plasmare e modellare la Rete stessa a loro uso e consumo.
Ciò che oggi può sembrare solo un simpatico e divertente giochino, magari utile a mantenere impegnato il figlioletto per qualche ora dopo essere tornati a casa dal lavoro, un domani potrebbe tornare prepotentemente a chiederci il conto. Perché ciò che finisce in Rete lì rimane, per sempre, senza controllo. E vi rimangono anche tutte le foto e i video, belle o brutte, divertenti o ridicole, serie o goliardiche, che ci carichiamo per qualche “like” in più. Senza contare tutti quegli odiosi reati contro la persona, a iniziare dal revenge-porn e dal cyberbullismo, che purtroppo vedono sempre più spesso protagonisti ragazzi adolescenti.
Penso che prima di chiedere maggiore regolamentazione della Rete e cercare di “delegare” a terzi il compito di salvaguardare e proteggere i nostri figli, come utenti adulti e maturi, come genitori e come cittadini, dovremmo chiedere maggiore consapevolezza, maggiore cultura, maggiore formazione sul potentissimo, meraviglioso e fantastico strumento che più ha stravolto e invaso le nostre vite: Internet.
*www.zerozone.it