di Michele Pinassi*
“Si può essere nudi senza nulla concedere, senza aprire all’altro
neppure una fessura della propria anima” (Umberto Galimberti)
SIENA. Sta facendo grande scalpore la scoperta dell’esistenza di un bot di Telegram, “Deep Nude”, che, sfruttando le tecnologie di deep fake, “spoglia” virtualmente video e foto di ragazze e donne.
Addirittura il Garante della Privacy ha aperto una istruttoria a tal proposito per “verificare il rispetto delle norme sulla protezione dei dati nella messa a disposizione agli utenti del programma informatico, nonché di accertare l’eventuale conservazione delle immagini manipolate e le finalità di una tale conservazione.”
Attenzione: non siamo davanti a una novità. Già nel 2019 ci furono episodi del genere, che coinvolsero personalità del calibro della Ferragni e Fabiana Bertrami, che si ritrovarono, loro malgrado, nude sul web.
Già prima del 2019, molto prima, era diffuso l’utilizzo di tecniche di fotoritocco per spogliare, virtualmente, attrici e altre personalità famose. È il mondo dei “fake”, che oggi, grazie a una tecnica di AI chiamata GAN -Generative adversarial network-, riesce a spogliare con dettagli realistici e del tutto verosimili, partendo da una innocente fotografia o video.
Le potenzialità di questa tecnica sono impressionanti e per averne un assaggio, senza necessariamente dover visualizzare foto di nudo, potete visitare il sito web thispersondoesnotexist.com, che mostra ritratti di persone che non esistono, generate artificialmente da questo algoritmo.
Quali possano essere le ripercussioni di una tecnologia del genere è facile immaginarlo: si va dalla diffusione d’immagini fasulle a scopo di lucro all’utilizzo di una simile tecnica per scopi estorsivi o intimidatori.
Trovo tuttavia importante fare una precisazione: sulla vicenda è stato più volte citato il popolare strumento di chat Telegram, per il semplice fatto che tale “bot” era accessibile attraverso questo network. Tuttavia Telegram è semplicemente un canale, come possono essercene mille altri. È bastata una semplice ricerca su un motore di ricerca per trovare, ad esempio, il sito web deepnude.to: caricate una foto e lui ve la ripropone …senza veli!
Al di là di questo, il problema rimane: con la diffusione dei deep fake (ricordate il video fasullo di Renzi trasmesso da Striscia la Notizia?), come credere a quello che vediamo? A iniziare dalle foto, alle interviste, ai video… il concetto di “prova tangibile” sfuma, fino a perdere quasi di significato. Le ripercussioni sulla diffusione di tali tecnologie, che ormai sono alla portata di chiunque, sono potenzialmente enormi e ci pongono delle domande anche – e soprattutto – sul piano etico e morale.
Nell’era social, dove basta davvero poco per veder infangata la propria reputazione ed è estremamente difficile poter far valere le proprie ragioni, le conseguenze dei deep nude, ma dei deep fake in generale, potrebbero modificare profondamente i nostri comportamenti. Certamente, pubblicare una foto in bikini su Facebook per sfoggiare l’abbronzatura potrebbe avere conseguenze molto gravi: pensare prima di pubblicare è sempre il miglior consiglio che si possa dare!
Personalmente, non credo che limitare o impedire l’uso di questa tecnologia possa essere una soluzione. Anche le azioni legali, per quanto giuste e condivisibili, non credo possano debellare questa sgradevole moda. La storia insegna che ogni qualvolta la politica ha cercato di limitare un fenomeno sociale, questo si ripresenta ancor più forte di prima. Credo che sia invece importante lavorare sulla corretta educazione all’uso dei mezzi digitali, ancora oggi utilizzati con troppa leggerezza e senza riflettere sulle potenziali conseguenze delle proprie azioni. Chi di noi appenderebbe una propria foto in bikini alla fermata del bus? Eppure, la pubblichiamo nella nostra bacheca di Facebook, dove viene vista da molte più persone.
Gli strumenti sociali, così come il web, sono fantastiche opportunità di conoscenza e condivisione. Usiamole con sale in zucca.
*www.zerozone.it