di Michele Pinassi*
“Rinunciare alla privacy non è una grande perdita per chi non ha niente da nascondere”
SIENA. Uno degli ultimi servizi di Report, “Infiltrato Speciale”, ha tolto qualsiasi velo di decenza e dignità al tema delle intercettazioni e della sorveglianza massiva. Niente che mi abbia particolarmente sorpreso, dopo le rivelazioni su Vault7 e soprattutto dopo aver letto l’ultimo libro di Snowden, Errore di Sistema.
Tuttavia non posso rassegnarmi all’idea di vivere in uno Stato che permette intercettazioni “arbitrarie” e preventive ma, soprattutto, l’uso di software –trojan– senza normative chiare e senza il rispetto dei diritti inviolabili costituzionalmente garantiti (avete letto la storia del malware Exodus su Wired?)
Mi disturba molto l’idea di poter essere spiato 24 ore su 24 senza motivi reali o perché un trojan è sfuggito al controllo e si è installato in migliaia di smartphone di ignari utenti, carpendone i movimenti, le discussioni, le telefonate e i messaggi.
Reclamo il mio diritto alla riservatezza. Reclamo il mio diritto ad avere uno spazio personale inviolabile.
Ho qualcosa da nascondere? Si, certo. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere, da proteggere, da mantenere segreto. Io voglio proteggere la mia intimità, la mia riservatezza, i miei spazi personali.
Credevamo che la tecnologia potesse aiutarci a migliorare il nostro quotidiano, a semplificare i compiti, ad alleggerire le incombenze. Si sta rivelando essere, soprattutto se non adeguatamente utilizzata e compresa, uno strumento di sorveglianza massiva e presente in qualsiasi aspetto della nostra esistenza, anche nei momenti che desideriamo mantenere riservati.
“Sostenere che non ti interessa il diritto alla privacy perché non hai nulla da nascondere non è diverso dal dire che non ti importa della libertà di parola perché non hai nulla da dire”. (Edward Snowden su Reddit)
Come poter proteggere la nostra privacy quando lo smartphone diventa un’arma per controllarci e sorvegliarci costantemente, a nostra insaputa? Possiamo riuscire a farne a meno quando ormai è diventato strumento indispensabile, dall’accesso al conto bancario al pagamento del biglietto per il tram?
Talvolta mi è capitato di assistere a conversazioni del tipo “tanto siamo tutti sorvegliati“, seguiti magari da qualche risatina complice, come se ormai fosse la normalità accettata: è incredibile come siamo arrivati ad accettare uno stato di sorveglianza senza battere ciglio ma, in fondo, quasi divertendoci a leggere i brogliacci delle intercettazioni che parlano magari di episodi penalmente non rilevanti ma molto gustosi come gossip.
Dalle pagine del mio blog parlo spesso di privacy e di come potersi, almeno in parte, difendere. Mi rendo tuttavia perfettamente conto che è sempre più difficile mantenersi uno spazio, anche piccolo, di inviolabile riservatezza.
La crittografia forte è uno di questi strumenti, tanto da essere da tempo nel mirino di agenzie e governi che vorrebbero metterla al bando o approvarne solo versioni “indebolite”. Eppure ancora oggi l’uso di PGP/GPG è una valida scelta per chi desidera tentare di conservare un minimo di anonimato nelle conversazioni, se non fosse usato solo da una ristretta nicchia di “addetti ai lavori”.
Molti giornalisti e altre figura particolarmente “esposte” stanno utilizzando Signal, app di messaggistica istantanea open-source (il codice sorgente è su GitHub), per proteggere le loro fonti (e anche loro stessi).
Questo può essere sufficiente a proteggerci? Assolutamente no. Purtroppo ancora oggi c’è un forte gap culturale che significa, in poche parole, che gran parte degli utilizzatori non sa bene come funziona quello che sta usando, cadendo vittima di truffe (phishing, ransomware…) e più esposta alla sorveglianza, al furto di identità e di dati.
Colmare questo gap culturale, chiamato digital mismatch, dovrebbe essere LA priorità per ogni Governo democratico. Purtroppo, almeno stando ai dati, la scuola italiana soffre di una carenza di competenze sul tema ICT e non va sicuramente meglio per i non addetti ai lavori.
Ci sarebbe molto da dire sulle conseguenze di questa situazione. Ad iniziare dal reale pericolo per la Democrazia, che si basa anche sul rispetto della riservatezza delle comunicazioni, sulla libertà delle relazioni sociali e l’inviolabilità della corrispondenza personale. Un Governo ostile potrebbe usare questi strumenti per soffocare gli oppositori (toh!), bloccare sul nascere eventuali moti di protesta, tappare la bocca alla stampa e all’informazione.
Quindi, per finire, non sorprendiamoci se basta un click per conquistare un trojan sul proprio smartphone e ritrovare le proprie conversazioni private sui brogliacci: hanno fatto a gara per metterci uno smartphone in mano ma nessuno si è mai premurato di spiegare bene a quali conseguenze andavamo incontro…