Nel mirino la "obsolescenza programmata"
di Michele Pinassi
www.zerozone.it
“L’economia dei consumi e il consumismo sono mantenuti in vita in quanto i bisogni di ieri sono sminuiti e svalutati, e i loro oggetti ridicolizzati e sfigurati come ormai obsoleti”. (Zygmunt Bauman)
SIENA. La sanzione comminata dall’antitrust europeo di 5 milioni di € a Samsung e 10 milioni di € ad Apple è destinata a far discutere e ad essere un precedente importante per tutti i produttori e per noi utenti, spesso totalmente indifesi davanti alle decisioni delle aziende.
Ad esito di due complesse istruttorie, l’AGCM ha accertato che le società del gruppo Apple e del gruppo Samsung hanno realizzato pratiche commerciali scorrette in violazione degli artt. 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato gravi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi.
Detta in due parole, gli aggiornamenti del firmware che i produttori periodicamente rilasciano per migliorare la sicurezza e risolvere i “bug”, avrebbero –in questi casi – deliberatamente provocato problemi e rallentato i dispositivi, così da incoraggiare gli utenti a cambiare smartphone perché quello vecchio “non va più!”.
Obsolescenza programmata
Dell’obsolescenza programmata avevo già parlato in un articolo dell’anno scorso, “Progettato per rompersi“, ripercorrendo velocemente le tappe dal Cartello Phoebus in poi, per arrivare ai giorni nostri quando per le aziende è possibile “operare” su milioni di dispositivi semplicemente rilasciando un aggiornamento del firmware, con la ragionevole certezza che gran parte degli utenti accetterà l’accordo (che in pochissimi leggeranno….) e si assumerà il rischio anche di veder danneggiato il proprio smartphone.
Non solo per gli smartphone, ovviamente. Pensate ai sistemi operativi più comuni, che con i loro continui aggiornamenti, che richiedono sempre maggiore potenza di calcolo, di fatto impongono ai loro clienti di aggiornare il proprio hardware. Oggi avere 4 GByte di RAM è il minimo sindacale, così come una CPU almeno i5: proprio l’altro giorno sorridevo, assieme ad un collega, nel ricordare come su Amiga il sistema operativo e molti applicativi erano comodamente contenuti in un floppy disk da 720kbyte e giravano su un processore a 33MHz…
Fatti troppo bene
Non ricordo chi mi raccontò come una nota azienda di scarpe rischiò di fallire perché i suoi prodotti erano fatti talmente bene e per durare che, semplicemente, una volta saturato il mercato non riusciva più a piazzare i nuovi modelli.
Se questa può sembrare una banale leggenda metropolitana, credo che la strategia di come continuare a vendere i propri prodotti sia la maggiore preoccupazione di ogni CEO: una volta saturato il mercato, e quello degli smartphone non è solo saturo ma vede, ogni giorno, l’arrivo di nuovi player, è necessario convincere i clienti a passare al nuovo modello.
Si scatenano così guerre tra le aziende, puntando sul design, sulla leggerezza, sulle prestazioni, sull’essere “di nicchia” o più “generalista”, etc etc etc… ma, a quanto pare, non è sufficiente: non tutti gli utenti sono così esigenti da desiderare sempre l’ultimo modello. O, semplicemente, non tutti hanno soldi da spendere per avere in tasca la novità appena messa sullo scaffale.
L’azienda che tira il freno
Se l’hardware, ormai sempre più prestazionale e di qualità, una volta venduto è immodificabile, non resta che puntare sul software: una ventina di anni fa girava la leggenda metropolitana che una famosa software house americana inserisse, nei suoi aggiornamenti, un codice fatto apposta per rallentare i computer più vecchi.
Non è quindi molto sorprendente, soprattutto dal punto di vista tecnico, quanto l’antitrust addebita alle due aziende: è piuttosto semplice rilasciare un firmware di aggiornamento per “rallentare”, soprattutto dopo che è passato il canonico periodo di garanzia del costruttore. Da quando, inoltre, ormai i nostri smartphone sono perennemente collegati alla Rete e controllano, in autonomia, la presenza di nuovi aggiornamenti, è il costruttore stesso a sapere quanti (e dove) sono i suoi dispositivi.
Parafrasando, è come se l’azienda produttrice della vostra auto decidesse che, trascorsi un tot di anni, il motore debba artificiosamente depotenziarsi (peraltro operazione del tutto possibile attraverso la riprogrammazione delle centraline, ormai sempre più tecnologicamente avanzate): comprereste mai un’auto così?
Come difendersi
Chiaramente la prima difesa deve essere quella attuata dalle istituzioni, come l’Antitrust, che attraverso controlli e sanzioni scoraggia queste antipatiche pratiche commerciali. Come consumatori, abbiamo però anche altre strade:
- scegliere prodotti di aziende che adottano principi etici migliori o utilizzano strategie “open” per il proprio hardware e software (es. Fairpphone, costruttrice dell’omonimo smartphone);
- terminato il periodo di garanzia (altrimenti si invalida la possibilità di assistenza post-vendita), si può caricare sul proprio smartphone del firmware alternativo a quello ufficiale (XDA-Developers è un buon punto di partenza): è una operazione che richiede un minimo di background tecnico, pertanto fatela solo se avete familiarità con la tecnologia e siete disposti ad assumervi il rischio che ne consegue;
Quanto appena descritto vale ovviamente per tutti gli strumenti tecnologici in nostro possesso, ad iniziare dai PC: la scelta di soluzioni alternative a quelle ufficiali, se da un lato può causare qualche inconveniente, dall’altro libera dall’essere perennemente dipendenti dalle scelte commerciali della casa produttrice.
P.S. Qualcuno potrebbe essere indotto a pensare che la soluzione migliore è quella di non fare aggiornamenti. Sappiate che non è la soluzione migliore né, di fatto, una soluzione: gli aggiornamenti servono soprattutto alla correzione di bug e problemi. Al di là di pratiche commerciali scorrette, fare gli aggiornamenti al software è fortemente consigliato!
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