Una tradizione tipicamente americana che entra di prepotenza anche in Italia per stimolare i consumi
di Michele Pinassi*
“Un affare è comprare qualcosa che non ti serve
ad un prezzo al quale non puoi resistere” (Franklin P. Jones)
SIENA. Una volta c’erano i saldi, ora c’è il Black Friday. Una tradizione tipicamente americana, l’ennesima, che entra di prepotenza anche nella nostra società per stimolare i consumi: è tutto un fiorire di offerte, occasioni, sconti imperdibili ed opportunità, in particolare nel settore tecnologico. Due, in particolare, hanno attirato la mia attenzione: Google Home e Amazon Echo, i nuovi gadget tecnologici che i due giganti della Rete stanno tentando di introdurre nelle nostre case, a prezzi sempre più interessanti.
Non mi metterò a disquisire sul quale sia meglio o sulle peculiarità dei due dispositivi, né sul prezzo di vendita o le offerte disponibili: il Web è già pieno di ogni tipo di confronto e informazione.
Quanto vale la nostra privacy?
Mi interessa, invece, affrontare una questione ben più sensibile e, forse, troppo trascurata: la privacy.
Con questi dispositivi smart (ne avevamo già parlato a proposito degli smartphone, ricordate ?) mettiamo in casa nostra un oggetto che ci ascolta 24h su 24, connesso in Rete ad un provider che, oltre a fornirci ciò che chiediamo dopo le fatidiche frasi “Ok, Google !” o “Alexa“, raccoglie le nostre abitudini: cosa ascoltiamo, quando, i nostri ritmi quotidiani, chi chiamiamo, quando chiamiamo etc etc etc…. che, unite a tutte le altre informazioni che continuamente raccolgono su di noi attraverso gli smartphone (e Google è davvero bravissimo….), delineano un profilo personale estremamente completo ed attendibile, spesso anche più di quanto possiamo immaginare.
“Se non paghi un prodotto, il prodotto sei tu”
Devo però ammetterlo: da appassionato di tecnologia, la tentazione di acquistare un Echo Dot o un Google Home è forte. Avere in casa un oggetto, ormai acquistabile con poche decine di euro, che con un semplice comando vocale accende la radio, ordina un libro, accende la luce o ti effettua una telefonata è decisamente affascinante: ricorda moltissimo il “futuro” immaginato da registi come Kubric in Odissea nello Spazio, con il sofisticatissimo computer HAL 9000 sempre pronto a soddisfare le esigenze degli umani rispondendo ai comandi vocali. Ricorderete come è andata a finire…
Al di là della finzione cinematografica, però, è bene ricordare come qualche problemino ci sia stato anche nella realtà, come hanno scoperto a loro spese alcuni utenti di Amazon Alexa…
Una “simpatica” ed inconsapevole violazione della nostra vita privata
Tuttavia, senza voler fare del terrorismo psicologico o passare per un moderno luddista, al di là delle innegabili comodità offerte dalla tecnologia #smart di cui stiamo riempiendo le nostre case, vale la pena chiedersi sempre quanto vale la nostra privacy e quanto siamo disposti a pagare, sotto l’aspetto dei dati personali, per un servizio: Amazon, Google ma anche Facebook e tutti gli altri grandi player del settore non sono mecenati, sono aziende commerciali che guardano al profitto. Un profitto garantito anche dalla capacità, sempre più forte, di tracciare con precisione estrema le nostre abitudini e di saperci inserire in “profili merceologici” sempre più granulari: il business del Big Data è questo e gli effetti si riflettono, come abbiamo visto con gli scandali recenti, anche in politica e in economia.
Tutti in Rete!
Ormai tutto è mediato attraverso la Rete, che solo in Italia vede oltre 58 milioni di SIM interconnesse ad Internet (AGCOM), con un aumento del tempo di navigazione medio giornaliero che vede, ancora una volta, protagonisti indiscussi Google e Facebook.
La Rete, che così velocemente e pervasivamente è entrata in pochi anni nella nostra società, nelle nostre abitudini e nella nostra cultura, offrendoci accesso immediato ad una quantità di informazione incredibile (solo fino a qualche decennio fa era impensabile), porta con sé vantaggi, opportunità ed anche pericoli. Ne ho parlato, anche attraverso questo blog, molte volte. Ormai è stata superata la barriera tra il virtuale ed il reale, tra il mondo del bit ed il mondo reale e ciò che succede in Rete si riflette anche nella nostra realtà.
“Ok, Google, aprimi la porta di casa”
Sempre a proposito dei dispositivi come Google Assistant (di cui il Google Home è semplicemente una estensione fisica) o Amazon Alexa, così come Siri della Apple, alcuni ricercatori cinesi hanno scoperto come è stato possibile inviare comandi usando frequenze audio non udibili all’orecchio umano, arrivando addirittura ad aprire la porta di casa o ad effettuare acquisti (inconsapevoli): solamente due aspetti, forse neanche tanto marginali, delle potenziali conseguenze della diffusione di questi dispositivi.
Cyber warfare
Non è un caso né una coincidenza se c’è un aumento esponenziale dei reati perpetrati attraverso i canali informatici e se, ormai, lo stesso cyberspazio è stato inserito nei playground di guerra dalla NATO. Tanto a spingere addirittura alcuni governi, come quello statunitense, a chiedere di boiccottare produttori come la Huawei perché “temono che il legame tra Huawei e il governo di Pechino rappresenti una minaccia per la cibersicurezza“.
Una guerra dove siamo tutti potenzialmente vittime e soldati, dotati di armi (i nostri smartphone e dispositivi di Internet of Things) potentissime ma di cui sembra non esserci ancora adeguata consapevolezza collettiva: tutto molto #smart, certo, ma #smart per chi?
*www.zerozone.it