Pd contro il beauty contest deciso dal governo: servono soldi all'erario!
di Red
SIENA. Digitale terrestre. Si avvicina a grandi passi l’ora della Toscana, ma oggi il pensiero va al beauty contest che all’inizio di settembre darà gratis, con questo sistema ingannevole definito asta, delle frequenze televisive a Mediaset, Rai e TIMedia. Fioccano le polemiche, naturalmente, e sembra che si siano finalmente svegliate le opposizioni. Il PD, per bocca del senatore Vincenzo Vita, afferma: “Di questi tempi, con questi chiari di luna, il governo ha un preciso obbligo morale: vendere all’asta queste frequenze e incassare il più possibile. In questo modo, potrà ridurre i sacrifici che oggi vuole imporre alla parte debole del Paese con i suoi prelievi dissennati. Io, il senatore Luigi Zanda, e mi auguro anche l’Idv e l’Udc, proporremo tre cose in un emendamento alla manovra di Tremonti: asta delle frequenze, asta delle frequenze e asta delle frequenze, prima che sia troppo tardi”.
Proprio nel momento più delicato della storia repubblicana, il presidente del consiglio si fa un auto-regalo da 2 miliardi di euro, più altri 2 miliardi agli altri competitors in lizza. Stiamo cioè parlando di un governo che dovrebbe essere liberista, ma che nella pratica difende le posizioni oligarchiche esistenti, sotto la guida attenta del proprietario di tre concessioni televisive e del suo formalmente ex dipendente Mediaset, il ministro Romani. Che non si è fatto scrupolo, attraverso complicati regolamenti, di mettere i bastoni tra le ruote dei competitor alternativi sulla numerazione dei canali e sulle autorizzazioni ai fornitori di contenuti digitali, creando di fatto un vantaggio per le due principali aziende nazionali nel silenzio interessato di Telecom Italia Media.
Il settore della televisione in Italia è sempre stato un Far West. Fin dai tempi in cui Bettino Craxi (20 ottobre 1984) rientrò precipitosamente da una visita di Stato a Londra per fare di sabato mattina un decreto legge per salvare le trasmissioni Fininvest dall’oscuramento ordinato dai pretori per le violazioni della legge fatte dal cavaliere. Ricapitoliamo. Il passaggio al digitale terrestre ha liberato le vecchie frequenze occupate dal segnale analogico. Una parte di queste frequenze va all’asta: compagnie televisive e telefoniche sono interessate. Pagheranno allo Stato per il diritto di occuparle per i prossimi 20 anni una cifra compresa tra 2,4 e 3,1 miliardi di euro, ossigeno per il deficit italiano, mediante un asta a rilancio. Mentre le compagnie televisive, attraverso il beauty contest, che elimina l’asta e il pagamento di denaro, ne riceveranno ben 6 gratis. Cinque frequenze sono buone per il digitale terrestre mentre la sesta può veicolare la televisione in mobilità (il Dvbh), che si vede – per esempio – su un cellulare o su un tablet. Senza dimenticare la realizzazione della banda larga, indispensabile per il progresso del Paese. Una vera asta porterebbe come abbiamo detto almeno altri tre miliardi di euro nelle casse dello Stato, aprendo la strada a nuovi competitori televisivi che porterebbero altri investimenti in infrastrutture e assunzione di personale, garantendo un vero pluralismo televisivo. Il Pil nazionale che aumenta senza depauperamento di risorse pubbliche, senza consumo di territorio, senza cementificazione selvaggia. Troppo per noi?