Ma aumentano anche le importazioni di prodotti
Rispetto agli anni scorsi, il biologico italiano riprende ad avere una fase di crescita dopo un lungo periodo di stasi e, in qualche momento, di recessione. Rispetto ai dati riferiti al 2011 si rileva un aumento complessivo del numero di operatori del 3 per cento che sono passati da 48.269 a 49.709 nel 2012. Tra questi, le imprese agricole, incluse quelle che effettuano anche attività di preparazione, sono complessivamente aumentate da 41.811 a 43.815 nel 2012.
Analizzando attentamente i numeri, si nota che l’incremento è dovuto soprattutto al boom nell’aumento del numero di operatori registrato dalla Puglia (+20 per cento) e dalla Lombardia (+12.7 per cento), mentre in quasi tutte le altre Regioni si registra un flessione del numero degli operatori in particolare in Basilicata (-12,5 per cento). Nel caso della Puglia, il dato positivo è costituito dal fatto che le imprese agricole biologiche, incluse quelle che svolgono anche attività di trasformazione, sono passate da 4.607 unità nel 2001 a 5.678 nel 2012. Un trend positivo di crescita nel numero di operatori biologici si registra anche per Calabria (+6 per cento) e Lazio (+10 per cento).
La superficie coltivata secondo il metodo biologico, risulta pari a 1.167.362 ettari, con un aumento complessivo, rispetto all’anno precedente, del 6,4 per cento (1.096.889 ha). Tale aumento è dovuto a un incremento delle superfici coltivate a cereali (+14.4 per cento), agrumi (15.5 per cento), vite (8.6 per cento) e olivo (16.2 per cento). Tuttavia, il dato disaggregato evidenzia, anche in questo caso, che continua a persistere un elemento di debolezza costituito dal fatto che il comparto ortofrutticolo biologico non decolla, ma registra una performance negativa (- 0.9 per cento per la frutta e -8.9 per cento per gli ortaggi) rispetto al 2011.
Dal momento che la filiera ortofrutticola è quella che insieme al comparto zootecnico, conferisce un maggior valore economico alla filiera e che soprattutto dovrebbe rispondere alla domanda in crescita dei consumatori è opportuno che a livello di politica nazionale e regionale a supporto dell’agricoltura biologica, si tenga in evidenza tale andamento negativo e si diano, tramite i regimi di sostegno previsti dai Piani di Sviluppo Rurale, delle risposte adeguate nella nuova programmazione 2014-2020.
Mancano al momento i dati in anteprima del settore della zootecnia biologica che è determinante anch’esso per valutare come la produzione biologica nazionale stia rispondendo all’aumento della domanda di alimenti biologici da parte dei consumatori registrato dall’Ismea.
L’aumento della superficie coltivata è, quindi, un dato positivo, ma non deve essere sopravvalutato in quanto il continuo aumento del numero di importatori in questi anni e confermato anche per il 2012 (sono arrivati a 297 mentre nel 2011 erano 230) evidenzia che l’aumento della domanda di prodotti biologici, in Italia non è al momento soddisfatta da un aumento delle produzioni agricole nazionali, ma da prodotti biologici importati. Il Ministero delle Politiche Agricole e le Regioni dovrebbero, quindi, tener conto di tali limiti della filiera e riorganizzare la politica di sviluppo a favore dell’agricoltura biologica promuovendo attraverso i nuovi Psr progetti di filiera che valorizzino gli alimenti biologici aventi una forte connotazione territoriale.
In questo contesto è sicuramente interessante l’iniziativa assunta dalla SDA Bocconi di Milano che il 2 luglio 2013 ha organizzato un forum BIO Lab Management su “Il futuro del biologico” al fine di avviare un progetto di ricerca al quale partecipa anche Coldiretti, per valutare se e come l’agricoltura biologica possa costituire “un nuovo modello di sviluppo per il settore agroalimentare” e quale possa essere il modello di business che meglio interpreta le caratteristiche del biologico. L’obiettivo del progetto di ricerca è, infatti, verificare se è possibile far uscire il settore da un mercato di nicchia e quali possono essere le modalità per far crescere il mercato degli alimenti biologici che attualmente continuano a rappresentare in termini di fatturato solo il 2 per cento circa dell’agroalimentare italiano.