La Cassazione censura l'uso improprio del Made in Italy
FIRENZE. La cerealicoltura è uno dei pilastri dell’agricoltura toscana e anche dell’industria agro-alimentare. La superficie coltivata (circa 160.000 ettari, gran parte dei quali nelle province di Siena e Grosseto, seguite da Pisa e Arezzo) rappresenta il 5,5% del totale nazionale, e sono ben 17.000 le aziende interessate di cui circa 600 interamente biologiche.
Tra i cereali prodotti in Toscana al primo posto c’è il frumento duro (cui sono dedicate oltre 90.000 ettari, oltre metà delle superfici), seguito da frumento tenero (oltre 20.00 ettari), orzo (18.000), mais (16.000), avena (10.000). La produzione regionale di grano si attesta intorno ai 3,6 milioni di quintali annui.
“Questi numeri ci dicono quanto sia importante questo comparto per l’agricoltura regionale – ha detto Tulio Marcelli, presidente di Coldiretti Toscana – e quindi salutiamo con grande soddisfazione il pronunciamento della Corte di Cassazione che ha censurato l’utilizzo di segni distintivi impropriamente richiamanti il Made in Italy su confezioni di spaghetti di origine estera”.
Il pronunciamento della Cassazione che ha confermato la violazione delle norme sul ‘made in Italy’, il maxi sequestro nel porto di Genova di circa un milione di chili di spaghetti prodotti in Turchia con destinazione per un noto pastificio campano.
Ad avviso della Cassazione, in maniera “argomentata e logica”, il Tribunale del riesame nel congelare l’ingente carico “ha ritenuto fallaci le indicazioni apposte sulla pasta, tali da ingannare il consumatore sulla provenienza della merce e da integrare l’ipotesi penale” poiché la scritta “made in Turkey” era poco visibile e facilmente cancellabile, mentre era in bella vista il richiamo all’Italia.
“La decisione della Cassazione – precisa Antonio De Concilio, direttore regionale Coldiretti Toscana – condanna penalmente l’evocazione esplicita dell’italianità dei prodotti di provenienza o di origine estera e costituisce un precedente importante perché punisce l’importazione, l’esportazione o la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o origine, sancendo un principio che costituisce riferimento anche per altri prodotti agroalimentari. Occorre ricordare che In pericolo non ci sono solo la produzione di grano duro e la vita delle aziende agricole che lo coltivano, fatto già gravissimo, ma anche un territorio a rischio desertificazione che vedrebbe stravolto lo stesso paesaggio toscano e con una perdita di un valore aggiunto per l’intera regione di oltre 200 milioni di euro”.