Ricordo di un giornalista libero
di Silvana Biasutti
MONTALCINO. Correva l’anno … potrei ricostruirlo, andando a cercare nelle copie dei fax spediti, ma l’anno preciso non ha molta importanza, ormai. Importante è la storia. In quegli anni stava crescendo l’importanza del vino, in Toscana, ma non solo; tutti i vini italiani docg stavano guadagnando reputazione nell’immaginario di un pubblico nuovo. La loro rivalutazione avveniva sulla scia di innovazioni in vigna e anche in cantina; avveniva sulle ali di un rinascimento della campagna, dell’idea di terra come madre di tutto. E il vino, con il suo portato di ‘trasgressione lecita’ (ma anche grazie al citatissimo ‘paradosso francese’) guadagnava attenzione perché capace di incontrare il gusto della gente, proponendosi in modo nuovo, accompagnando anche un crescente spazio per la tavola, il cibo, e gli stili della mensa. Questo spazio di consumo creava nuove aspettative anche tra chi della terra se ne infischiava, ma pensava soprattutto ai valori crescenti dei terreni nella zone vocate e contrassegnate con doc e docg. C’era in quel tempo un programma di gran successo, alla radio – radio1, Radio a Colori – un programma di denuncia, fastidioso almeno quanto lo è ora Reporter. Lo ascoltavo sempre perché – già in quegli anni (a cavallo dei due secoli) – si sentiva il bisogno di scrollare certe situazioni che la stampa quotidiana e la tv sembrava non fossero in grado di criticare con oggettiva severità, dopo la bufera di mani pulite che aveva socchiuso uno spazio da cui si intravedeva quali grovigli indebolivano il nostro paese.
Il giornalista che lo faceva era Oliviero Beha e il suo approccio alle inchieste era puntuale, senza concessioni né ad accuse poco documentate, né a buonismi di ritorno; insomma la bandiera era quella dell’oggettività. Fu a lui che mi rivolsi, una domenica mattina, assistendo al taglio di vecchie olivastre – alberi molto belli, che erano sopravvissuti a gelate epocali, quindi probabilmente dotati di un patrimonio genetico di grande valore –. Perché c’era una legge, nella regione Toscana, che vietava il taglio degli olivi. Infatti il taglio avveniva di domenica, ad uffici chiusi, in assenza di istituzioni da (eventualmente) chiamare. Infatti (forse) qualche equivoco e una spolverata di confusione avevano (forse) lasciato uno spiraglio per liberarsi di quegli alberi che erano sì bellissimi, ma con la bellezza non si fa il business. Così pareva allora il pensiero generale.
Infatti furono anni in cui gli oliveti furono decimati, in favore delle più redditizie vigne, ben più redditizie; perché l’olio non era per niente apprezzato e, cosa più stupidamente grave, chi aveva mezzi e strumenti per dare una svolta decisiva ai destini dell’olio evo, sembrava ci dormisse sopra.
La mia telefonata a Oliviero Beha fu tutta in salita: voleva una serie di informazioni che bisognava che controllassi. Alla fine riuscii a mettere insieme tutti i dati che Beha mi chiedeva e la trasmissione andò in onda.
Chi aveva disposto per il taglio di quelle olivastre non fu contento, soprattutto perché il (solito) politico intrufolone fece il nome dell’azienda in diretta alla radio, cosa che io non avrei voluto assolutamente – non per viltà, ma perché il nome dell’azienda non serviva all’obiettivo della denuncia, che era quello di provocare un’attenzione nuova e precisa a un ‘nuovo’ prodotto il cui valore in termini di salute non veniva sufficientemente sottolineato, né la cucina mediterranea – di cui l’olio evo è ingrediente basilare – gli prestava debita attenzione (cultivar e loro caratteristiche, molitura, sapori e profumi, eccetera). Per non parlare della presenza degli olivi nel #paesaggioitaliano di cui sono uno dei protagonisti più suggestivi, come è finalmente testimoniato dalle innumerevoli azioni per salvaguardarli.
La trasmissione di Beha fu la prima a inaugurare questa nuova sensibilità, anche grazie alla domanda che mi fece in diretta: “signora, dicono che hanno tagliato qualche vecchio olivo, ma ne hanno piantati cento volte tanti; lei che cosa ha da rispondere in proposito?”. E forse anche grazie alla mia dichiarazione di getto: “è come radere al suolo il Duomo di Firenze e in cambio costruire cento nuove chiese di mattoni!”.
Ora che Oliviero Beha se n’è andato per sempre, vorrei tanto che però sapesse che le cose sono (un po’) cambiate, perché la funzione di un giornalismo libero è proprio quella del ‘cane da guardia’. Ora, nonostante la perdurante differenza dei valori fondiari, tra un oliveto e un vigneto, molti hanno capito e stanno capendo che gli olivi sono ricchezza, oltre a essere ‘bellezza’ e paesaggio. E che solo uno chiamato Oliviero poteva aprire la strada a questo pensiero. Ciao Oliviero Beha e grazie.