Una lettera aperta in occasione di Sant'Ansano, dopo che altre son rimaste senza risposta
SIENA. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. I vecchi adagi raramente sbagliano. Quella che stiamo vivendo è senza alcun dubbio una fase politica, congiunturale, sociale ed ambientale, che (se non ci fosse veramente da piangere e da preoccuparsi) assomiglia molto alla tipica situazione in cui lo struzzo infila la testa sotto la sabbia, fingendo di ignorare una realtà sgradevole invece di affrontarla.
Spesso la critica ed il sarcasmo sono atti d’amore che – gonfiandosi come mongolfiere – a volte rasentano la rabbia e la indignazione, perché si vorrebbe che la cultura, la storia, le tanto invocate tradizioni ed i personaggi di questo nostro meraviglioso mondo fatto di emozioni e di sensazioni infinite fosse perfetto, armonioso ed immune da difetti e polemiche.
Non posso però pretendere troppo e mi limito a richiamare l’attenzione su una questione che lascia esterrefatti, perché ritenevo che almeno gli aspetti che investono il mondo delle Contrade, quell’universo che qui a Siena attira innegabilmente riguardi così significativi ed ha ancora oggi la forza e l’intensità di suscitare trepidazioni e di appassionare la nostra vita, fossero affrontati con una maggiore incisività e fermezza e risolti poi con più sollecitudine.
Giunti ormai all’inizio di un nuovo anno contradaiolo sono spinto, mio malgrado, a formalizzare un appunto alle più alte Istituzioni cittadine che hanno maggiore attinenza con la nostra Festa (Amministrazione Comunale, Magistrato delle Contrade, Consorzio Tutela del Palio, Comitato Amici del Palio) che dal decorso mese di gennaio non si sono ancora degnate di assumere, per quanto di rispettiva competenza, una posizione ufficiale sulla opportunità di rivisitare il Rituale Contradaiolo senza che in merito le stesse Istituzioni abbiamo voluto o saputo fornire fino ad oggi alcuna motivata risposta.
Mi riferisco, in particolare, non solo a quanto stabilito in tale Regolamento (cfr. Parte III, secondo capoverso punto a) circa l’osservanza – attualmente violata – delle vigenti norme tese a salvaguardare Piazza del Campo dalla esposizione e/o dalla apposizione di ogni e qualsiasi simbolo da parte delle singole Contrade (bandiere, bacheche, braccialetti, ecc.), ma soprattutto sulla opportunità di dover disciplinare la esposizione degli storici gonfaloni dei Terzi di Città e, di conseguenza, di rendere uniforme le modalità di utilizzo delle tre diverse colonne lapidee ubicate in Piazza Postierla, Piazza Tolomei ed al Ponte di Romana.
Su quest’ultimo punto ai nominati Enti mi ero permesso di argomentare ampiamente, attraverso l’invio in tempi diversi di una documentazione scritta e fotografica, sostenendo – a mio modesto avviso – che tali colonne avrebbero dovuto essere riservate, diversamente da quanto accade oggi per due particolari casi, ad esclusivo uso dei soli gonfaloni considerato che, per la loro consolidata natura di porta-insegne civico, riterrei le stesse stele correlabili – a tutti gli effetti – a dei presidi decentrati dell’Amministrazione Comunale e, di conseguenza, a delle vere e proprie “zone franche”, ancorché ubicate nel territorio di tre diverse Contrade.
Sono ben consapevole che la questione sollevata rappresenta indubbiamente una pagina marginale rispetto ai tanti e gravi problemi che in questi ultimi tempi hanno sconvolto e stanno purtroppo ancora assillando l’intera comunità senese con scandali a non finire. Tuttavia come figlio di questa Città mi auguravo che così evidenti ed incongruenti anomalie venissero prontamente rimosse, poiché credevo che i richiamati Organismi, per il fondamentale ruolo istituzionale e non solo cerimoniale che dovrebbero svolgere, ritenessero anch’essi sbagliato il sottacere certi principi ed il non vedere come attraverso una secolare ritualità sia celebrato anche il valore che possiede la memoria nello sviluppo della società, come il rispetto stesso delle invocate tradizioni, ben esplicitate peraltro nel Rituale Contradaiolo, sia il filo che ci lega al senso della nostra storia, dandoci identità, coscienza del passato e speranza nel futuro.
Ciò dovrebbe ovviamente riguardare anche coloro (non pochi) che in nome della propria Contrada si permettono spesso di assumere condotte non consentite ai comuni mortali. Ma questo è un altro discorso che porterebbe molto lontano, anche se appare surreale il solo pensare di poter risolvere problemi ambiziosi e ben più complessi se situazioni così semplici e banali non riescono a trovare una loro logica sistemazione.
Sarebbe quindi auspicabile che la “pratica” in questione venisse affrontata e decisa con la dovuta premura, perché mai come oggi si avverte sempre più il bisogno di non doversi fermare solo alle buone intenzioni e si pretenda giustamente da parte di tutti di non giocare allo scarica barile; di conseguenza meno chiacchiere e più fatti, meno pigrizia amministrativa e meno pastoie burocratiche, ma soprattutto meno struzzi con la testa infilata sotto la sabbia se vogliamo continuare ad assicurare una omogeneità di comportamenti ed un austero rispetto delle regole che non può e non deve subire alcuna eccezione, evitando così il rischio di non poter tramandare alle future generazioni quelle tradizioni, così gelosamente custodite e peculiari della nostra Festa, anche al di fuori da ogni agone sul Campo.
A meno che non sia già stato individuato qualcuno che, brandendo la scusa di una ormai inflazionata passionalità ed infischiandosi di regole e di tradizioni, per una smisurata ambizione ed un evidente tornaconto personale, si presti ad architettare interventi di alta ingegneria a tal punto da distruggere anche questa storica e plurisecolare realtà sociale che, nonostante l’evoluzione del tempo, rimane ancora oggi così unica ed inimitabile. Se qualcuno manifesta quindi legittime preoccupazioni, significa che si sta già facendo strada qualche pericolosa avvisaglia.
Paolo Piochi