SIENA. E non si corre neanche questa terza prova. Lassù qualcuno non ci ama. E davanti alla tv in poltrona può anche venire l’abbiocco coi pensieri che scorrono vertiginosi all’indietro.
Al tempo di quando da ragazzi ci s’ingegnava per vestirsi nella comparsa in giro all’omaggio dei protettori, con l’orgoglio che si sentiva sulla pelle il colore della montura che pareva fatta su misura per i nostri corpi secchi dalla fame che resisteva dalla fine della guerra, e il peso del manico piombato della bandiera.
Giro lungo “a piedi” anche in campagna per far sentire al protettore che la contrada era presente. Magari i piedi non si sentivano per le scarpe a punta che stringevano i ditini in cima. Pranzo con un bel piatto di trippa incaciata bene in un ristorantino di via delle Terme, un po’ (poco!) di vino per mandare giù tutto e si finiva il giro stracchi rifiniti.
Ma quando si tornava in contrada passando per il corso con la gente che ci guardava con la bocca a riso ci passava tutto, si raddrizzavano le spalle, petto in fòri e le larghe ventole con la bandiera a sfiorare soprattutto il capo alle citte coll’occhioni sgranati.
Ci si sentiva padroni del mondo. Poi è cominciato il periodo della “stanca”, i ragazzi ammosciati dalle serate in discoteca o al pub, i musi lunghi, le proteste e il condiscendere forzato della dirigenza: si sa, so’ giovani, risparmiamoli… e arrivano i pulmini per portarli a sbandierare ai protettori un pochino più lontani. Poi la decisione di lasciare il giro extra moenia. Sto a S. Prospero e è come fossi a Guanguingueri. Solo un paio di contrade resistono, quelle proprio attaccate alla zona. E quando le sento e le vedo mi ritrovo più escluso dalla mia, dimenticato. Ancora qualcuno viene a riscuotere la tessera, e è una boccata d'aria di contrada, anche se poi si chiede di versare l’importo sul conto corrente. E svanisce anche l'odore.
Mi sveglia un tuono, fuori piove proprio bene. Niente terza prova. Che tempo uggioso. Domani? Dice che migliorerà. Speriamo.