In 30 anni di telecronache ha reso questo sport popolare
SIENA. Era perfetto nel suo personaggio divenendo un’ icona del suo mondo e al tempo stesso ambasciatore, narratore, telecronista, giornalista a tutto tondo, conoscitore di tutti gli sport, a volte po’ dandy. L’eleganza tipica da frequentatore delle club house più prestigiose, la capacità di sentirsi fin dalla nascita parte naturale, senza ostentazioni, di quel mondo solo apparentemente snob. Mettiamoci poi la capacità di stringere relazioni autentiche, di stima, anche nel caso di frequentazioni rarefatte, per cui al prossimo evento di golf mi mancherà moltissimo il suo affettuoso saluto in francese, giocato sul mio cognome “sonante”: “come va, cloche?”.
La sua opera per la promozione del golf e la divulgazione di uno snobismo “perfetto” (dunque misurato) per far capire che questo sport si gioca con la testa prima che coi muscoli o la tecnica è paragonabile al contributo dato da un grande campione, e la testimonianza vivente dell’effetto delle sue telecronache è proprio la storiella riguardante Matteo Manassero. Il padre del golden boy veronese portò Matteo che aveva 3 anni a vedere una gara sul Garda con Ballesteros, da quel momento lo spagnolo divenne il suo eroe, lo seguiva puntualmente grazie alle telecronache di Camicia senza le quali, forse, non sarebbe stato stregato così profondamente, e avrebbe magari giocato a calcio come tanti altri coetanei senza debuttare con successo a 16 anni nel circuito propfessionistico
Se il golf ha calzatogli stivali delle sette leghe, una parte di merito è dunque anche di Mario Camicia che ha vissuto questa scalata dal di dentro, nel sancta sanctorum, e saputo trasmettere il messaggio giusto all’esterno senza bisogno di studiare telecronista pedante o saccente. Perché quello era un ruolo che si è cucito addosso giorno dopo giorno, gara dopo gara, girando il mondo. E quando Sky ha deciso di puntare sul golf, non aveva bisogno di “effetti speciali”, se non quello di affidare le telecronache a Mario Camicia il quale non ha avuto bisogno di andare all’Actor’s Studio per imparare recitazione, e col microfono in mano ha trasmetto ai telespettatori lo stesso piacere di quando lui ci raccontava il golf fra una battuta e l’altra, un ammiccamento, una risata, il timing giusto.
Aveva un dono raro: di farsi capire e apprezzare dal colto e l’inclita, e di non atteggiarsi mai a “solone” né di volersi mettere al di sopra del gioco, dei giocatori, dei dirigenti, degli intervistati. Diceva la sua con schiettezza, senza polemica, una voce e una penna chiara, che andava diritto al problema. Quando scriveva bastavano 20-30 righe per avere davanti agli occhi un argomento di riflessione generale. Insomma, perfetto col microfono in mano, ma anche negli editoriali, un bel biglietto da visita per proseguire nella lettura della rivista o dei vari articoli.
Anni fa, quando collaboravo con la rubrica settimanale de “Il Giornale” per un contrattempo Mario non aveva potuto scrivere la sua consueta nota sulle gare del week end del tour professionistico, mi venne chiesto di coprire il buco. Per la prima volta dissi che non me la sentivo, avvertivo il disagio dei lettori perché lui raccontava le gare in maniera splendida, senza indulgere al tecnicismo e alla parola alata o ostentata.
Aveva subito un intervento alla fine del mese di agosto e poco dopo era entrato in coma irreversibile, fino all’arresto respiratorio in una clinica di Carate Brianza. Così l’ha ricordato Franco Chimenti, il presidente della Federazione Italiana Golf, col quale ha condiviso una bella amicizia: “Era la “voce” del golf italiano. I suoi articoli e le sue telecronache hanno dato un contributo determinante alla conoscenza e alla diffusione del nostro sport, al di là della cerchia dei giocatori e dei praticanti. Con lui il golf perde un grande sostenitore e tutti noi perdiamo un grande amico, compagno di tante avventure in Italia e all’estero. Il ricordo della sua contagiosa passione continuerà a essere sempre uno stimolo a crescere e a migliorare ulteriormente. Per me, personalmente, questo rappresenta un dolore incontenibile”.
Camicia vanta una storia di ben 30 anni di telecronache dei grandi eventi mondiali, dal 1981 ha portato il golf nelle case con la TV in chiaro dei canali Mediaset, con cadenze regolari, contribuendo a creare un prodotto interessante, popolare, e non schiavo dei palinsesti Rai. Successivamente era passato alle TV satellitari, prima a Telepiù e poi a SKY. Per anni è stato nel Comitato Organizzatore dell’Open d’Italia divenendo direttore del torneo e coordinatore fino al 1992. Uno dei fondatori di Golf Italiano, direttore responsabile de “Il Grande Golf”, quindi direttore responsabile e poi editoriale di “Golf & Turismo”. Ha collaborato con i quotidiani “La Gazzetta dello Sport” e “Il Giornale” ed è stato consulente della rivista Golf Style edita da “Il Giornale” stesso.
Nato a Milano il 31 luglio del 1941. Lascia la moglie Silvia e i figli Francesca di 23 anni e Michele di 16 anni. E’ stato per il golf ciò che Clerici e Tommasi sono stati per il tennis, Aldo Giordani per il basket, Bruno Raschi e Adriano De Zan per il ciclo, Carosio e Valenti per il calcio, Nino Gianoli per l’ippica. Quando questi colleghi coi quali ho lavorato spesso raccontavano una gara, il coinvolgimento emotivo era scontato, e avevi l’impressione di partecipare direttamente alla vicenda. Pochi maestri di golf hanno insegnato tanto efficacemente questo gioco come Mario, perché il suo dono era appunto la facilità con cui approcciava il colpo e il personaggio di cui parlava. Un giornalista da Master.
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