I problemi della globalizzazione. E l'eccesso di burocrazia
di Mauro Aurigi
SIENA. Ho un amico, Nicolò Rinaldi, che è parlamentare europeo dell’IdV e certamente, tra i parlamentari italiani, quello che conosce meglio l’Unione Europea per un pregressa e ventennale esperienza da eurocrate. Nicolò ha la lodevole abitudine, con una lettera circolare periodica, di tenere al corrente amici e simpatizzanti di ciò che succede a Bruxelles. Una lettera solitamente molto istruttiva. L’ultima, del 14 marzo, mi ha particolarmente colpito. Io sono il fortunato possessore di una di quelle meravigliose stufe a legna di terracotta rossa a più piani che fino a poco dopo la seconda guerra mondiale si trovavano nelle case ma soprattutto nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici. Una quarantina d’anni fa, temendo che la produzione di un simile manufatto artigianale non avrebbe retto alla globalizzazione, andai a comprarmela direttamente in fabbrica a Figline di Prato, dove la ditta Felici da 500 anni produce oggetti grossi e piccoli di terra cotta rossa. Ma la lettera di Nicolò mi informa che non la globalizzazione sta mettendo in ginocchio questa antichissima ditta artigiana, ma l’UE che con una “recente direttiva ha vietato la combustione in terracotta: occorre una parete interna in zinco o altro. Del sapere antico rimarrebbe solo una parvenza estetica, dunque una scatola vuota: addio a un piccolo gioiello della cultura industriale pratese”.
In Europa col tovagliolo al collo e le posate in pugno: senza dignità
Questa cosa delle direttive, prima CEE ed oggi UE, mi ha sempre innervosito. Già il modo in cui siamo “entrati in Europa”, mi mandò in bestia. Il buon Prodi, che di quell’operazione mena un gran vanto, l’aveva spiegato nel corso di un’intervista: “per noi significa ridurre l’inflazione a livelli europei e significa non dover mai più fare svalutazioni della lira: avremo una moneta forte”, ossia avremmo appena un poco aumentata l’inflazione europea e appena un poco indebolito l’euro, ma i vantaggi per noi erano facilmente intuibili. Neanche un piccolo bagliore, non dico di fierezza o di orgoglio, ma almeno di dignità negli occhi annebbiati del Professore (né in quelli che lo ascoltavano): andavamo in Europa non per costruire, ma per prendere. Aveva cancellato De Gasperi: non eravamo più, insieme a Francia e Germania, uno dei tre paesi fondatori dell’Europa, ma stavamo lì, fuori dal suo confine, pronti col tovagliolo allacciato al collo e le posate in pugno. Esattamente come gli Albanesi affamati che in quel periodo si affollavano nei loro porti per venire ad affollare i nostri, con la non trascurabile differenza che quegli Albanesi, a differenza di Prodi, erano tutt’altro che laureati. Insomma siamo entrati in Europa da sudditi, riconoscendo all’Imperatore il diritto di disporre di noi, sperando nella sua generosità. E’ così che la volontà dell’Europa non si discute, ma si subisce senza neanche domandarsi dove, come e perché essa nasca e s’imponga. Perfino per il “processo breve” si sentono i rappresentanti del nostro governo assicurare compiaciuti che “ce lo chiede l’Europa”. Si sente che l’Europa è una cosa lontana e potente di cui loro non sono parte (e neanche noi).
La pizza più dannosa del tabacco?
Il mio amico Rinaldo ricorda che anche il lardo di Colonnata fu preso di mira e anche il bicchierino di vino venduto col lampredotto, cose di cui lui si è occupato per scongiurare il peggio. Dice che si tratta solo di ottusità burocratica (l’elemento latino che avrebbe preso il sopravvento su quello anglosassone e scandinavo). Non sono d’accordo. E’ l’autoritarismo miope (questo sì di stampo latino, ossia fascista) che ha preso il sopravvento. Non solo il lardo di Colonnata fu preso di mira. Anche il buristo di Siena, la soppressata, la mozzarella e perfino la pizza cotta nel forno a legna hanno rischiato di essere messi fuori legge. Come si fa a non chiamare fascisti quel pugno di autocrati che siedono a Bruxelles e che pensano di avere il diritto di decidere, tanto per dirne una, cosa e come i loro sudditi devono o non devono mangiare? Ma c’è in quei signori qualcosa ancora peggiore del fascismo, c’è il servilismo verso il più forte (deboli con i forti, forti con i deboli). Farà più male alla salute la pizza cotta al forno a legna o il tabacco? Quella pizza ha corso il rischio di essere messa fuori legge – e non è detta ancora l’ultima parola – mentre per il tabacco, anzi per le potentissime lobby dei mercanti di tabacco, si è trovata la benevola soluzione: il tabacco si continua a vendere legalmente con l’avvertenza che può far male.
Questa sudditanza verso i forti è una costante. I Francesi possono zuccherare i loro vini, impunemente, per i grandi industriali del latte si è deciso che si può chiamare fresco anche il latte conservato, e che si può chiamare cioccolato un prodotto contenente neanche il 50% di cacao, o che si può chiamare pasta anche quella fatta con farina di grano tenero. Nell’interesse delle grandi multinazionali dell’alimentazione, sono le piccole aziende, soprattutto quelle artigianali, vanto e onore della nostra tradizione e della nostra economia, ad essere sconfitte, e con esse anche il nostro modo di vivere: è la globalizzazione, bellezza, dobbiamo tutti omologarci!
Piselli e demagogia patriottarda
E poi ci deve anche essere una venatura di pazzia (essere governati da pazzi non è tranquillizzante) se si spreca tempo e denaro per cose come le dimensioni del pisello europeo (intendo quello vegetale) per cui una direttiva dispone che al di sopra e al di sotto di una certa misura quell’ortaggio non può più considerarsi europeo; o se ci vogliono (non so se sia una leggenda metropolitana) 29 pagine di decreto per giungere a definire come devono essere i fanalini posteriori delle autovetture. Forse esistono problemi più gravi di questi (vedi la Libia), ma su cui non si decide.
Quanto costi al felice sviluppo di una comunità la concentrazione di potere verso l’alto – e la costruzione dell’Europa questo soprattutto ha significato – senza alcuna possibilità di controllo democratico, potrei discuterne fino a domani, anzi ne ho discusso su queste pagine fino a ieri.
Mi spiace, ma con l’EU sono più i danni che i benefici. E chi sostiene il contrario (in Italia siamo maestri) lo fa solo per una sorta di retorica demagogia patriottarda (anche in questo in Italia siamo maestri) identica a quella che in 150 anni ha impedito agli Italiani di diventare Nazione e che ancora in questi giorni infuria.