Inaugurato a Londra il Festival del cinema iraniano. Membro della giuria: Hossein Khosrojerdi
di Viola Caon
LONDRA. Di questi tempi Medio Oriente e Nord Africa sono più che mai un polo d’attrazione per l’attenzione mediatica internazionale. L’Egitto prima e la Tunisia e la Libia poi hanno rubato la scena alla nazione che fino all’anno scorso era al centro del dibattito mondiale: l’Iran.
L’interesse per questo paese – che comunque non ha mancato di mietere le sue vittime tra arrestati e uccisi durante le rivolte nei Paesi sopra citati – non è però sceso in ambito sia giornalistico che culturale a livello internazionale.
Ne è dimostrazione il fatto che a Londra è stato inaugurato quest’anno il Festival del Cinema Iraniano, il quale ha raccolto più di 60 tra le migliori pellicole tra quelle prodotte negli ultimi anni.
Il Cittadino era presente il giorno dell’inaugurazione con una sua inviata e ha avuto l’occasione di intervistare Hossein Khosrojerdi, l’artista contemporaneo d’avanguardia scelto come membro di giuria del Festival.
Dopo i tragici eventi del giugno 2009 che hanno portato all’uccisione di Neda Agha Soltan e alla rielezione di Ahmadinejad, Khosrojerdi ha deciso di lasciare l’Iran e si è stabilito a Londra dove vive da un anno e mezzo contribuendo alla promozione della cultura iraniana in Gran Bretagna.
“Sono onorato di far parte della giuria di questo Festival”, ha detto l’artista, “credo che il cinema iraniano abbia molto da comunicare al resto del mondo”
Grazie all’opera di registi come Mohsen Makhmalbaf il cinema iraniano è famoso in tutto il mondo per la sua tendenza ai significati nascosti, alle atmosfere meditative e silenziose e gli intenti puramente concettuali.
“Credo che il cinema iraniano abbia delle peculiarità non solo nei contenuti, ma anche nel modo in cui li mette in scena, nell’uso della luce nella fotografia”, ha detto Hossein, che è famoso soprattutto come pittore e fotografo.
“Un lavoro di resistenza”
Hossein Khosrojerdi ci racconta la rinascita e l’evoluzione della cultura e del cinema in particolare iraniani dopo la rivoluzione.
Non solo come dice Pejman Danagi, organizzatore del Festival, il cinema iraniano è “un lavoro di resistenza”, ma dopo le due rivoluzioni – quella del ’79 e quella del 2009 – la vita culturale del paese è profondamente cambiata.
“Sembra strano, ma da dopo le rivoluzioni l’attività intellettuale in Iran ha come subito una forte accelerata. Soprattutto, fino ai tempi dell’Ayatollah Khomeini, esisteva una visione omogenea della cultura iraniana, dopo la rivoluzione tutto il sistema di valori allora di riferimenti si è definitivamente sfaldato e gli artisti hanno iniziato a cercare nuovi significati in direzioni diverse, hanno iniziato a sperimentare,” dice Hossein.
Era questo in fondo lo scopo del Festival organizzato a Londra: mostrare i risultati di queste sperimentazioni al pubblico inglese e restituire un’immagine aggiornata e scevra di pregiudizi della cultura iraniana contemporanea.
“In Iran tutto è duro da portare a termine. La censura agisce costantemente sul lavoro degli artisti, come su quello dei registi e quello dei giornalisti. Penso però che un’iniziativa come quella di un Festival iraniano a Londra sia fondamentale per rendere giustizia a tutti quelli che quotidianamente cercano di fare qualcosa per riscattare il paese dall’oppressione del regime”, ha concluso Hossein.