Servizio di Enrico Campana
TERRANUOVA BRACCIOLINI. La città che ha dato i natali a Poggio Bracciolini, grande umanista del Rinascimento, sei secoli dopo è stata riconsacrata alla Vergine, grazie alla sua chiesa futurista inaugurata dopo tre anni di lavori, con una partecipazione sorprendente di tremila fedeli d’ogni età. Dal 9 di ottobre è la porta simbolica di un’espansione edilizia di prossima realizzazione oltre le vecchie mura con 500 alloggi su una collinetta che guarda i rilievi aretini.
Per operazioni che richiedono a una chiesa di spostare il baricentro della propria vita sociale, la scelta non poteva cadere su un architetto che a questo tipo di opere ha dedicato gran parte di una carriera straordinaria, come testimoniano realizzazioni di carattere civile, privato, artistico, culturale e religioso. Si tratta di Mario Botta, architetto ticinese che, dopo gli studi a Milano e Venezia, ha mostrato un eclettismo di alta qualità di stampo rinascimentale. Molto più giovane dei suoi 67 anni, questo vero e proprio enfant prodige come ragazzo di studio ha firmato a 15 anni il suo primo progetto, una piccola chiesa svizzera, per lasciare poi la propria impronta nei quattro angoli di mondo, in Asia, in America, in Europa, con edifici accolti come veri capolavori, e nei quali l’originalità non è fine a se stessa, incomprensibile, ma fa parte della funzionalità e degli scopi peculiari della realizzazione.
E’ il caso di Santa Maria Nuova. Si chiama così la nuova chiesa, inconfondibile esempio della sua mano illuminata, che offre continuità al prediletto stile, geometria e linearità. E ancora una volta ha usato migliaia di mattoncini rossi, stile vittoriano, per l’esterno mentre stavolta gli inconfondibili cilindri tagliati obliquamente, come per il Museo di Arte Moderna di San Francisco o la Cattedrale di Evry, sono ben due. Rappresentano le due absidi che salgono al cielo chiuse da due grandi vetrate che, viste dal piazzale e dall’alto, sembrano la tavole di Mosè. Le due absidi sono divise da un arco luminoso composto da vetrate disegnate da un grande artista toscano, il pittore e scultore Sandro Chia, che si ispirano alla lettura dei vangeli, dalla crocefissione alla Resurrezione.
“Progettare una chiesa non è facile, ma abbiamo il dovere di testimoniare il nostro tempo affinchè questa struttura prosegua il suo destino come un percorso di preghiera utile a tutti”, ha detto l’architetto Botta con la consueta umiltà, consegnando le chiavi a monsignor Riccardo Fontana, che parlando ai fedeli e agli ospiti ha rimarcato “un segno di accoglienza, di partecipazione, di vita, e una volontà di abbattere muri e barriere d’odio”.
Dal pulpito di questa nuova chiesa del terzo Millennio l’arcivescovo di Arezzo ha lanciato un grido di dolore a tutta la Toscana, ma anche di speranza “In questa terra 5 mila persone rischiano di perdere il lavoro, se ti trovi qui hai il dovere di rimuovere le barriere, altrimenti che Chiesa siamo? Quella di Ponzio Pilato? Se una pietra non si mette su’un’altra, come ha fatto l’architetto, saremo sempre Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, questa è la grande sfida educativa che sta per noi al primo posto”.
Grandi applausi per Don Donato Buchicchio, sacerdote di incrollabile volontà e grandi aperture, che ha saputo trasformare un sogno in realtà riuscendo a regalare alla sua parrocchia di un’opera costata 2 milioni di euro e il cui contenuto architettonico sarà non solo un orgoglio per i fedeli, ma anche per una cittadina di 10 mila abitanti che sta crescendo. “Con la determinazione che lo contraddistingue – ha detto il vescovo – Don Donato ha messo tutto il suo impegno a essere generosi, questo è un annuncio per le nuove generazioni, e una pietra angolare per cui ogni visita sarà un dono per i nostri cuori”.
TERRANUOVA BRACCIOLINI. La città che ha dato i natali a Poggio Bracciolini, grande umanista del Rinascimento, sei secoli dopo è stata riconsacrata alla Vergine, grazie alla sua chiesa futurista inaugurata dopo tre anni di lavori, con una partecipazione sorprendente di tremila fedeli d’ogni età. Dal 9 di ottobre è la porta simbolica di un’espansione edilizia di prossima realizzazione oltre le vecchie mura con 500 alloggi su una collinetta che guarda i rilievi aretini.
Per operazioni che richiedono a una chiesa di spostare il baricentro della propria vita sociale, la scelta non poteva cadere su un architetto che a questo tipo di opere ha dedicato gran parte di una carriera straordinaria, come testimoniano realizzazioni di carattere civile, privato, artistico, culturale e religioso. Si tratta di Mario Botta, architetto ticinese che, dopo gli studi a Milano e Venezia, ha mostrato un eclettismo di alta qualità di stampo rinascimentale. Molto più giovane dei suoi 67 anni, questo vero e proprio enfant prodige come ragazzo di studio ha firmato a 15 anni il suo primo progetto, una piccola chiesa svizzera, per lasciare poi la propria impronta nei quattro angoli di mondo, in Asia, in America, in Europa, con edifici accolti come veri capolavori, e nei quali l’originalità non è fine a se stessa, incomprensibile, ma fa parte della funzionalità e degli scopi peculiari della realizzazione.
E’ il caso di Santa Maria Nuova. Si chiama così la nuova chiesa, inconfondibile esempio della sua mano illuminata, che offre continuità al prediletto stile, geometria e linearità. E ancora una volta ha usato migliaia di mattoncini rossi, stile vittoriano, per l’esterno mentre stavolta gli inconfondibili cilindri tagliati obliquamente, come per il Museo di Arte Moderna di San Francisco o la Cattedrale di Evry, sono ben due. Rappresentano le due absidi che salgono al cielo chiuse da due grandi vetrate che, viste dal piazzale e dall’alto, sembrano la tavole di Mosè. Le due absidi sono divise da un arco luminoso composto da vetrate disegnate da un grande artista toscano, il pittore e scultore Sandro Chia, che si ispirano alla lettura dei vangeli, dalla crocefissione alla Resurrezione.
“Progettare una chiesa non è facile, ma abbiamo il dovere di testimoniare il nostro tempo affinchè questa struttura prosegua il suo destino come un percorso di preghiera utile a tutti”, ha detto l’architetto Botta con la consueta umiltà, consegnando le chiavi a monsignor Riccardo Fontana, che parlando ai fedeli e agli ospiti ha rimarcato “un segno di accoglienza, di partecipazione, di vita, e una volontà di abbattere muri e barriere d’odio”.
Dal pulpito di questa nuova chiesa del terzo Millennio l’arcivescovo di Arezzo ha lanciato un grido di dolore a tutta la Toscana, ma anche di speranza “In questa terra 5 mila persone rischiano di perdere il lavoro, se ti trovi qui hai il dovere di rimuovere le barriere, altrimenti che Chiesa siamo? Quella di Ponzio Pilato? Se una pietra non si mette su’un’altra, come ha fatto l’architetto, saremo sempre Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, questa è la grande sfida educativa che sta per noi al primo posto”.
Grandi applausi per Don Donato Buchicchio, sacerdote di incrollabile volontà e grandi aperture, che ha saputo trasformare un sogno in realtà riuscendo a regalare alla sua parrocchia di un’opera costata 2 milioni di euro e il cui contenuto architettonico sarà non solo un orgoglio per i fedeli, ma anche per una cittadina di 10 mila abitanti che sta crescendo. “Con la determinazione che lo contraddistingue – ha detto il vescovo – Don Donato ha messo tutto il suo impegno a essere generosi, questo è un annuncio per le nuove generazioni, e una pietra angolare per cui ogni visita sarà un dono per i nostri cuori”.