di Andrea Pagliantini
CHIANTI. Bisogna essere chiari: il Chianti non è stato scoperto da un attracco di caravelle di Cristoforo Colombo, sostenuto dagli studi astro–fisici di Galileo Galilei e dalla confusione monetaria generata da un pretaiolo abbiente e bigotto quale è stato Cosimo III de’ Medici.
La processione che ha percorso i territori del Chianti, della Val di Pesa, della Val d’Elsa e della Berardenga nei mesi scorsi, propononendo l’investitura “identitaria” di un territorio (che ha in comune solo la produzione di un vino storicamente da neanche tanto tempo: 1924), legata leggermente al fatto di avere in comune un sistema di “Villa – Fattoria” (come la gran parte del resto della Toscana), fa nuovi proseliti dal punto di vista politico. Dopo l’investitura data dal presidente Eugenio Giani, ecco l’accodo all’accrocco del deputato Francesco Michelotti e dell’eurodeputato fresco di conio Francesco Torselli, che vedono un futuro luminoso per un “Chianti”, sorretto dalle gambe corte di un’identità che non trova corrispondenza nella realtà dei fatti, ma che ha trovato sponda nella domanda del Ministero della Cultura all’ufficio Unesco per l’approvazione.
Se al territorio di produzione del vino Chianti Classico fa gioco avere i perfetti confini di produzione all’interno della dicitura “Unesco” nessun problema, ma a Parigi (sede Unesco) qualche studio, prima di dare il via libera alla proposta, è certo che lo faranno e non sarà loro difficile comprendere che le gambe sono di argilla. Galileo diceva: “Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza”.