"Occorre la massima verità anche nella finzione", dice l'ex-magistrato
di Patrizia Fazzi
AREZZO. 15 marzo 2014, ore 17, Teatro Vasariano, ex-Aula di Cassazione del Tribunale: ambiente perfetto, per l’arrivo in una sala affollatissima, di Gianrico Carofiglio, ex-magistrato ora divenuto scrittore di rilevanza nazionale ed oltre, con al suo attivo numerosi libri e circa quattro milioni di copie vendute. L’autore barese è stato ospite sul palco del “Giardino delle idee” per presentare un romanzo intrigante e fascinoso fin dal titolo, “Il bordo vertiginoso delle cose” (Rizzoli, 2013), ripreso, come lui cita nel libro, da un verso del poeta inglese Robert Browning. Titolo in linea perfetta con quel filo narrativo, oscillante tra giovinezza e età adulta, successo e fallimento, caduta e rinascita, su cui si mantiene in equilibrio il personaggio principale, Enrico Vallesi, scrittore in crisi d’identità che compie un viaggio ‘a rebours’ nei luoghi baresi della memoria, cercando di andare oltre quel ‘bordo’, di superare la rischiosa vertigine verso la vita e ritrovare un se stesso più vero.
Sul piano della tecnica narrativa, Carofiglio è riuscito nell’intento di rappresentare la scissione del personaggio attraverso l’espediente dell’uso della seconda persona quando i fatti si svolgono nel presente e di quello della prima persona quando invece si raccontano gli anni della adolescenza: così il ritmo narrativo e la indispensabile suspense scaturiscono dalla struttura cronologica alterna dei capitoli, che tuttavia permettono di seguire a tutto tondo lo scavo psicologico, radente come un bisturi, che lo scrittore attua mettendo a nudo le zone d’ombra del protagonista, le sue fragilità ma anche tensioni verso la “verità” .
“La verità è cosa pericolosa” – ha affermato Carofiglio – e richiede coraggio sia per chi la cerca nel reale che per chi tenta di esprimerla in parole, attraverso la finzione narrativa. La costruzione di una storia è per lo scrittore un corpo a corpo giornaliero con la pagina, nella ricerca delle giuste parole, perchè ”la scrittura è un territorio in cui non si può fare i furbi o usare trucchetti” ed i fili narrativi devono intrecciarsi tutti in una trama convincente e coinvolgente. Ma per giungere a questo non bastano – ha continuato Carofiglio – i famosi “corsi di scrittura creativa” (nei quali lui, se partecipa come docente, paradossalmente consiglia di NON fare lo scrittore!), ma occorre un ‘quid’ di talento che deve essere supportato da una responsabile ricerca di verità delle emozioni e dei rapporti umani, altrimenti i personaggi non funzioneranno mai perchè non sufficientemente ‘veri’, fino al paradosso per cui “è proprio in un’opera di ‘finzione’ che occorre dire tutta ( o quasi) la ‘verità’”.
A questo obiettivo ben chiaro in lui l’autore aggiunge, anche in questa recente opera, il pregio di una scrittura raffinata ed ironica, che sa dosare le parole, spesso soffermandosi ad analizzarne le più recondite valenze e quasi gli echi interiori, ricorrendo anche ad un’abile alternanza di sequenze e quindi trascinando il lettore con soave perentorietà ad addentrarsi nei fatti e nei percorsi esistenziali, quasi osservando tutta la vicenda con l’occhio stesso di chi la vive o la racconta, con naturalezza e partecipazione.
Nel “Bordo vertiginoso delle cose” il cinquantenne Enrico è riportato d’improvviso, da una casuale notizia di cronaca, a fare i conti con un passato sommerso, a ripercorrere i momenti dolenti e talora violenti dell’amicizia traviante con il compagno di liceo Salvatore e dell’amore impossibile per Celeste, la giovane supplente di filosofia, dando inizio ad una serie di incontri, tanto inaspettati quanto inconsciamente ricercati: tappe di un cammino iniziatico che lo farà approdare ad una sorta di recupero delle proprie capacità creative e dei moti interiori, dei criteri morali. Tutto questo sullo sfondo di Bari, città nativa dell’autore, ma anche, come negli altri romanzi, “luogo dell’anima”, con le sue bellezze e i suoi misteri, i suoi ‘allora’ e ‘ora’ dell’ex-studente alle prese con aspetti oscuri della società, ma colpito fin dall’adolescenza dal virus della scrittura e della filosofia.
E proprio alla filosofia, ha sottolineato Carofiglio anche durante l’incontro ad Arezzo, è affidato nel libro il compito di insegnare “a non dare mai nulla per scontato”, a non lasciare che “altri pensino per noi” o, peggio ancora, siano convinti di risolvere tutte le storture del mondo a colpi indiscriminati di mitra, come nel ricostruito clima della metà anni ’70.
“La vera trasformazione” ha ricordato lo scrittore alla fine della lunga e applauditissima intervista condotta da Barbara Bianconi e Andrea Avato, passa attraverso la discussione, il riconoscere anche le ragioni dell’altro e la “soluzione” è sempre un equo concordato compromesso, senza il pericolo di cadere oltre quel “dangerous edge”, quel pericoloso limite, quasi salto mortale nel vuoto morale, cui si riferiva il poeta Robert Browning.
Poi, a microfoni spenti, il via alla lunga fila per gli autografi, le foto di rito con gli estimatori ed insieme l’attesa per il nuovo appuntamento ( il 5 aprile ci sarà Anna Marchesini), del “Giardino” aretino, incuneato sopra le Logge vasariane, nel cuore del centro storico che per un pomeriggio torna a battere intorno alle “Idee” e alla cultura.