Abbassiamoci ancora di più
di Silvana Biasutti
MONTALCINO. C’era già un ricordo estivo che mi aveva lasciata senza parole e piena di disgusto. Era quello di una signora vestita alla moda rom (gonnellona, corpino a volants, collane e orecchini chilometrici e bellissimi) in modo molto elegante, quasi alla Dolce e Gabbana, anzi forse lo era. Io stavo appiccicata al bancomat sul cui schermo si rifletteva la luce del pieno mattino, cercando di fare un prelievo.
La signora in questione invece doveva fare un deposito: scesa dall’auto piuttosto lussuosa, dove aveva lasciato un bel bimbo sui sette otto anni e un signore con super basette elegantemente vestito, si era diretta verso il bancomat, a grande velocità, e a un metro da me si era accucciata velocemente sul marciapiede un po’ delabrè che gira intorno alla casa dov’è situato il bancomat; sollevata la gonna lunghissima quel tanto che basta aveva depositato quello che in tedesco viene definito “il grosso” senza nemmeno calarsi le inesistenti mutande. Si era alzata con flessuosa disinvoltura svelando ai miei occhi il consistente deposito e, attraversata la strada, si era riunita alla propria famiglia correttamente parcheggiata negli appositi spazi di Sant’Angelo Scalo (Montalcino). In effetti i cartelli messi dal comune mica ammoniscono gli umani di non farla per le strade del paese (a dieci metri da un bar!), dicono solo di raccogliere le deiezioni del proprio cane, ma non le proprie. Forse perché il comune non ha pensato al nuovo che avanza; in questo caso (in questi, purtroppo sempre più numerosi casi) il nuovo consiste nel luogo in cui “farla”. Sono passati alcuni mesi, da quel radioso mattino estivo, ma il ricordo della signora che deposita a un passo dalla sottoscritta permane vivido: forse perché arricchito da cronache su quotidiani vari che hanno riportato analoghi episodi nelle città italiane… Forse il ricordo resta così impresso perché “farla”in strada e in pubblico, come un cane perduto senza collare è un tabù che risale alla mia infanzia, e credo anche in quella di ogni lettore di queste righe.
Dicevo che sono passati alcuni mesi e nonostante tutto mi stavo un po’ rasserenando – almeno a questo riguardo – e vivendo in un paese che è considerato un gioiello, per la bellezza del minuscolo impianto urbano e per lo sbalorditivo paesaggio su cui s’affaccia, l’ultimo degli incontri che avrei pensato di fare era quello odierno.
Dunque oggi ritorno al paesello da un giro di commissioni – ore 13:45 – guido su su salendo, intorno al bel giro di cipressi anziani che cingono le case e bordano la strada. A quest’ora ci sono un po’ di auto parcheggiate – non tutte al posto giusto – e vedo che gli operai inviati dal comune sono al lavoro sulle lastre che pavimentano la strada nel centro del paesino.
Tutti al lavoro? A dire il vero no, perché completata la salita, stavo per superare il vecchio muretto (restaurato) su cui le coppie di turisti sostano, di solito nell’ora del tramonto, bicchiere in mano e smart phone nell’altra per farsi un selfie (come si usa ora) di fronte all’indimenticabile paesaggio, ho rallentato un po’ perplessa. A un metro da me, voltandomi parzialmente la schiena, uno degli operai stava omaggiando il paesaggio con un “getto biondo” di cui i luoghi farebbero francamente a meno. E noi pure, soprattutto in pieno paese. Hanno riso di cuore tutti insieme, quei lavoratori, che non si sono nemmeno resi conto del loro gesto: forse sono rimasti al tempo in cui la mamma gli cambiava il pannolone. E hanno continuato a ridere, ancora di più, vedendomi infuriata. Molto divertiti e forse convinti di aver compiuto un bel gesto. Come siamo caduti in basso.