Philippe Daverio ospite al "Giardino delle idee" di Arezzo
AREZZO. La sala del Teatro Vasariano sotto le Logge di Piazza Vasari era stracolma di pubblico quando sabato pomeriggio vi ha fatto ingresso il critico d’arte Philippe Daverio, non prima di aver sostato tra i banchi della Fiera Antiquaria ad ammirare oggetti e mobili esposti ogni mese nel centro storico aretino. Il conduttore di “Passpartout” era ospite del “Giardino delle idee”, manifestazione letteraria che da anni raccoglie grande successo portando alla ribalta autori e libri di grande rilievo e notorietà, promuovendo la lettura e stimolando il dibattito su tematiche varie.
Intervistato da Luca Caneschi e Barbara Bianconi, il noto critico non ha risparmiato battute taglienti sulla attuale fruizione dell’arte e sull’importante ruolo che il nostro ricco patrimonio culturale potrebbe svolgere anche in ambito economico se meglio valorizzato e gestito. “L’Italia è la culla dell’Occidente, il paese più ricco al mondo di opere d’arte e musei, eppure ha raggiunto l’unità politica più tardi delle altre nazioni europee” e non ha preso ancora consapevolezza della sua straordinaria e antica identità, nè riesce a formulare progetti intorno a questo ( e la città di Arezzo non fa eccezione, come Daverio rimproverò agli aretini qualche mese fa in un’altra intervista …). Partendo da questo paradosso il critico ha puntato diritto il dito verso l’Europa, che dovrebbe aiutare concretamente a salvare il grande patrimonio culturale italiano, anche come “atto di gratitudine” verso il nostro paese che, dagli Etruschi ai Romani a su su fino al Medioevo e soprattutto Rinascimento, tanto ha fatto per la futura civiltà europea e occidentale. Aggiungendo anche, conti alla mano, che attualmente per ogni 100 euro che l’Italia dà all’Europa, ne riceve indietro 20, mentre la Germania ben 113…!
E gli Italiani cosa dovrebbero fare? Ad essi Daverio ha indicato il compito di intraprendere un doveroso “percorso di restauro” del bel paese, eliminando brutture e sprechi, organizzando meglio le visite a musei e siti storici, per attirare così tanti viaggiatori, possibilmente opulenti, innamorati ancora del ‘bello’. Inoltre siamo non a caso il paese delle “quattro Effe” : “food, fashion, factory, Ferrari” e questo in virtù di quella sintesi di creatività e saperi che da secoli ci connotano e hanno lasciato strutture e opere di grande perfezione in ogni campo, ma delle quali spesso ci sfugge, quasi fossimo ciechi o offuscati da altro, il valore e la bellezza. Il libro presentato nell’incontro si intitola “Guardar lontano, veder vicino”( Rizzoli), quasi a sottolineare l’importanza dello sguardo mentale e reale verso il passato glorioso e quanto di bello ne resta…
Già, la bellezza: sul significato e l’uso (o abuso) di questo termine Daverio, sollecitato dagli intervistatori, si è lanciato in un dotto percorso linguistico. “Bellezza” è parola tardolatina ( anche se già Catullo definiva ‘bella’ la sua Lesbia, n.d.r.) e questo concetto si esprime in modo diverso nelle varie lingue di origine indoeuropea (“kaloagatìa” in greco, unendo inscindibilmente ‘bello’ e ‘buono’, ‘pulcritudo’ e ‘venustas’ in latino, ‘hermosìa’ in spagnolo, in altro modo ancora in tedesco e russo, etc), così che riesce difficile unificarsi intorno alla stessa parola e si dovrebbe parlare invece di ‘armonia’ etica ed estetica, anche interiormente e numericamente strutturata e non solo relativa al corpo umano, specie femminile. Basti pensare al variare delle caratteristiche estetiche conclamate in base al tempo, ai luoghi, agli eventi, secondo una concezione antropologica della bellezza muliebre che, partendo dalle Veneri preistoriche è arrivata a quelle di Botticelli, Tiziano, Rubens e alle maggiorate postbelliche, per poi ricadere nelle esili Twiggy e mannequin.
Ma l’importante è non confondere l’amore per la “bellezza” di un’opera d’arte – comunque si voglia chiamare la sua armonia e l’inalterabile fascino – con la mercificazione ‘ad usum turisti’, spingendo ad una indigestione mal guidata delle sale espositive, come avviene ad esempio, ha saettato Daverio, al Louvre davanti alla stessa Gioconda, ridotta dallo spesso cristallo protettivo ad un’”ostrica verde”, davanti a cui impazzano le foto dei cellulari di gruppi turistici, magari indifferenti verso capolavori presenti accanto o in altre sedi. L’opera d’arte deve essere goduta con calma, in tempi prolungati e non programmati, magari ripetibili: perchè, ha suggerito il critico, non proporre al Ministero dei Beni Culturali una tessera per la visita ai musei in più volte ?
Interpellato su Piero della Francesca, il critico, riconoscendone l’immenso genio, ha ricordato che solo la non ancora raggiunta fama e stima da parte dell’artista biturgense evitò che le truppe napoleoniche ne sottraessero alcune opere, mentre per la sua ‘scoperta’ si dovette attendere il primo Novecento e il grande storico dell’arte Roberto Longhi. Una fortuna diciamo oggi, soprattutto per gli aretini, che le opere pierfrancescane le hanno ben affrescate e intrasportabili nelle due chiese cittadine del Duomo (“La Maddalena”) e di San Francesco (“La leggenda della Vera Croce”) e, insieme a quelle di Sansepolcro e Monterchi, ne possono godere e farle valere come ulteriore volano per lo sviluppo turistico provinciale riservato ad eredi ed emuli del “Gran Tour”!
Un lungo applauso e molti autografi sul libro presentato hanno salutato la fine dell’incontro. A seguire, alle 21, nella stessa sede del Teatro Vasariano, un’altra grande opera d’arte legata al genio di Caprese Michelangelo e di altri eccellenti nomi del Rinascimento: la Cappella Sistina, spiegata e messa a fuoco in uno spettacolare ‘viaggio’ di immagini da Alberto Angela, divulgatore doc. E anche qui pubblico da record, a ribadire che quando c’è di mezzo la possibilità di entrare nel linguaggio dell’arte e della cultura, la nostra vera ricchezza e bellezza, l’interesse e la partecipazione sono assicurati. Grazie dunque agli organizzatori del “Giardino delle idee”, che per il 15 marzo hanno annunciato un altro straordinario nome: Gianrico Carofiglio.