Cgil e Sunia: "Gli strumenti in campo sono insufficienti, ci vogliono investimenti e modifiche alla Legge regionale"
FIRENZE. Il Ministero dell’Interno ha pubblicato a giugno gli ultimi dati sugli sfratti di immobili ad uso abitativo, confermando la pesante emergenza legata al settore. Il dato sostanzialmente nuovo che emerge, circa la Toscana, è che l’alto numero di sfratti non si localizza solo nelle città capoluogo, ma si estende anche a molti comuni delle province, in particolare nelle aree dove la crisi economica e il numero di licenziamenti e cassa integrazione si sono fatti sentire con maggiore drammaticità. Sono soprattutto le province che si affacciano sulla costa a soffrire di più l’emergenza sfratti.
Pisa e provincia guadagnano il triste primato toscano per numero di sfratti in rapporto alla popolazione, con ben 452 convalide di sfratto e 513 sfratti con richiesta di forza pubblica e 391 sfratti già eseguiti con forza pubblica.
Firenze e provincia, seconda, con 1254 nuove convalide di sfratto, 4975 richieste di esecuzione, 946 sfratti già eseguiti con forza pubblica. Sono in diminuzione del 9% i provvedimenti esecutivi, ma sono in netta crescita (più 9,32) le esecuzioni con forza pubblica. Empoli è la città toscana con più espropri immobiliari in rapporto al numero di abitanti.
Al terzo posto Lucca con 445 convalide di sfratto, 555 richieste di esecuzione e 348 sfratti già eseguiti con forza pubblica.
Seguono Prato con 428 nuove convalide, 1901 richieste di esecuzione e 392 sfratti già eseguiti con forza pubblica, Livorno con 421 nuove convalide, 467 richieste di esecuzione e 348 sfratti già eseguiti con forza pubblica, Pistoia con 399 nuove convalide, 490 (4,60% in più) richieste di esecuzione e 114 sfratti già eseguiti con forza pubblica (2,70), Arezzo con 355 nuove convalide, 1770 richieste di esecuzione e 511 sfratti già eseguiti con forza pubblica (16,9% in più rispetto l’anno precedente), Grosseto con 317 nuove convalide, 304 richieste di esecuzione e 437 sfratti già eseguiti con forza pubblica (22,41 in più rispetto al 2015), Grosseto con 341 nuove convalide, 306 richieste di esecuzione e 96 sfratti già eseguiti con forza pubblica. Infine Massa Carrara con 249 nuove convalide, 613 richieste di esecuzione e 128 sfratti già eseguiti con forza pubblica
LA TOSCANA NELLE CLASSIFICHE NAZIONALI
A livello nazionale, i provvedimenti esecutivi di rilascio di immobili emessi nel solo anno 2016 ammontano in totale a 61.718, di cui: 1) 2.539 per necessità del locatore; 2) 4.350 per finita locazione; 3) 54.829 per morosità. Quindi abbiamo l’89% di sfratti decretati per morosità, un numero pazzesco. Negli ultimi 3 anni il numero complessivo di sfratti sentenziati è pari a 204.588, di questi ben 181.732 sono per morosità. Questo significa che più dell’88% degli sfratti sono per morosità, percentuale rimasta costante negli ultimi anni. Sempre negli ultimi 3 anni (2014/2017), gli sfratti eseguiti con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario sono stati 104.399; soltanto nel 2013 le richieste di esecuzione sono state 463.042. Nell’anno 2016, il rapporto tra i provvedimenti di sfratto emessi e numero delle famiglie residenti in Italia è’ di 419. Il maggior numero degli sfratti convalidati dai giudici si concentra in Lombardia (11.049), Lazio (8.499), Piemonte (6920), per arrivare alla Toscana (sesto posto) con 4.613 convalide di sfratto in attesa di esecuzione. La distanza della Toscana si accorcia per quanto concerne le richieste di esecuzione della forza pubblica. Infatti, dopo la Lombardia con 59.486; seguono l’Emilia Romagna, il Piemonte e quinta la Toscana con 12.109 richieste (+7,6 ). Per gli sfratti già eseguiti con la forza pubblica, la Toscana è quarta dopo Lombardia, Piemonte e Lazio, con 3.431 sgomberi (pari al 9,7% del dato nazionale). In Toscana il rapporto sfratto-famiglia è pari a 1 sfratto ogni 356; il rapporto più alto rispetto alla media della regione, lo detiene Siena con uno sfratto ogni 407 famiglie, segue Pisa (1/403) e terza Lucca (1/380). I dati del ministero, che vedrebbero comunque una diminuzione del 5,5% rispetto al 2015, è solo frutto della mancanza di alcune rilevazioni su città come Roma, Napoli, Bari, Bologna, Venezia ed altri ancora capoluoghi di provincia. Quindi a conti fatti, siamo di fronte nuovamente ad un anno ‘tragico’ per quanto riguarda la precarietà abitativa; con il dato drammatico delle morosità. Drammatico soprattutto perché tutti gli strumenti e le risorse messe in campo ( a dire il vero, poche e di scarsa entità) non hanno spostato di una virgola l’emergenza.
L’ANALISI E LE PROPOSTE DI CGIL E SUNIA TOSCANA
I dati fin qui esposti dimostrano inequivocabilmente come la progressione del numero degli sfratti e la loro concentrazione siano profondamente mutati. Fino a qualche anno fa, le esecuzioni si concentravano soprattutto nei comuni capoluogo, sedi di università e di interesse turistico, e denso di attività produttive e del terziario. Ad oggi, le esecuzioni sono endemiche su tutto il territorio regionale. Comuni delle province Toscane che fino ad oggi non conoscevano se non marginalmente la questione della precarietà abitativa si trovano a dover fare i conti con questo tipo di emergenza, con strumenti del tutto insufficienti ed inadeguati. La ragione principale di questa diffusione sta tutta nel perdurare e nell’aggravarsi dello stato di precarietà lavorativa ed economica delle famiglie toscane in affitto, unito alla difficoltà di canoni ancora troppo alti rispetto alle sempre più scarsa capacità di reddito (media incidenza canone affitto reddito 47%).
Non si può altro che constatare che nonostante la ‘presunta’ ripresa economica, gli sfratti per morosità continuano ad essere una piaga inguaribile, in coppia con il nuovo fenomeno dei pignoramenti immobiliari. Le ripercussioni a livello sociale sono pesanti, con rischi crescenti di gesti estremi ed episodi cruenti e la forbice tra il reddito delle famiglie e i costi della casa, si allarga sempre di più nella nostra regione. Il canone di locazione, la rate del mutuo, i costi delle bollette e le spese condominiali arrivano ad incidere per quasi il 50% del reddito delle famiglie. Il tentativo di coinvolgere risorse private per soddisfare la domanda attraverso il cosiddetto social housing si è rivelato largamente insufficiente nei numeri ed indirizzato essenzialmente al mercato della compravendita.
E’ giunto il momento di affrontare il disagio abitativo con politiche di ampio respiro che prevedano: 1) un piano pluriennale di aumento dell’offerta di alloggi sociali in affitto a canoni sostenibili puntando sul recupero di aree ed edifici dismessi senza ulteriore consumo di suolo; 2) una revisione della legge sulle locazioni che punti, attraverso contrattazione collettiva e leva fiscale, ad abbassare il livello degli affitti privati e ad aumentare l’offerta; 3) una dotazione finanziaria certa e continuativa per permettere programmazione degli interventi e sostegno diretto agli inquilini in difficoltà.
Gli interventi legislativi su questo, che è il fronte più caldo dell’emergenza, sono stati essenzialmente pensati per tentare di affrontare periodi di crisi acuta e non per avviare politiche abitative di più ampio respiro come l’attuale disagio abitativo imporrebbe. Cosa deve avvenire perché Governo e Regioni si rendano conto della situazione potenzialmente esplosiva su questo fronte? Non bastano i numeri drammatici degli sfratti, delle domande inevase di alloggi popolari o di affitti insopportabili. Il 2016 era stato definito dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti “l’anno della casa”. I cittadini non se ne sono accorti. Nessuna risorsa aggiuntiva e nessuna strategia, solo tagli.
LE PROPOSTE DI MODIFICA ALLA LEGGE REGIONALE SULLE CASE ERP
Cgil e Sunia, insieme agli altri sindacati Cisl, Uil, Sicet, Uniat, Uniat Ui proseguono nelle iniziative per apportare modifiche e integrazioni alla proposta di legge di riordino dell’edilizia pubblica Toscana che la Giunta si appresta a presentare al Consiglio regionale. Oltre 34 sono gli emendamenti presentati in occasione degli ultimi tavoli di concertazione istituzionali con la giunta. Tra questi:
Più risorse per il settore
Garantire al settore un flusso di finanziamenti regionali costanti per la costruzione di nuovi alloggi da collocarsi soprattutto nelle numerose aree dismesse pubbliche, come ad esempio le ex caserme. Le risorse reperite anche attraverso una tassa di scopo da recuperare alla rendita immobiliare a fini speculativi come ad esempio quella prodotta dal mercato degli Airbnb, dalle centinaia di immobili invenduti in carico o dati in garanzia a istituti bancari o reperite attraverso una quota della tassa di proprietà per auto di grossa cilindrata (SUV, auto di lusso etc).
Assegnare le case a chi vive un reale disagio abitativo
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Riequilibrare i punteggi per l’accesso alle case popolari alle condizioni che favoriscano le famiglie che sono in difficoltà rispetto alla propria condizione abitativa rispetto a criticità di tipo sociale o legate allo stato di salute per le quali devono essere messe in atto altre forme di supporto.
Gestione “serena” dei cambi alloggio
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Rivedere l’obbligo per le persone che vivono in alloggi sottoutilizzati, in gran parte pensionati, di corrispondere un oneroso canone sanzionatorio qualora non sottoscrivano una domanda di trasferimento a prescindere dalla individuazione di un alloggio idoneo alternativo;
Le case popolari come sostegno all’emancipazione sociale delle famiglie
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Al fine di garantire un equilibrato mix sociale negli edifici popolari, occorre favorire invece che ostacolare la permanenza di famiglie di lavoratori o pensionati, grazie alle quali possono essere applicati affitti più sostenuti, i cui importi, soprattutto di questi tempi, contribuiscono in maniera fondamentale a sostenere il sistema dell’Erp, garantendo socialità a coloro non sono in grado di corrispondere nemmeno il canone minimo di 40 euro il mese. In tal senso riteniamo che abbassare il limite di reddito per la permanenza di una famiglia nelle case popolari a 24,750 euro di Isee sia insostenibile. Favorevoli invece a prevedere canoni più sostenuti e un limite di permanenza a 33mila euro ISEE come già previsto dalla normativa vigente approvata non meno di due anni fa.
Contrasto alle illegalità e all’intolleranza, valorizzando le esperienze dell’autogestione
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Per contrastare al meglio i crescenti contenziosi e conflittualità, riguardo il rispetto dei regolamenti di civile convivenza che rischiano di sfociare in atti di intolleranza e sopraffazione, prevedere in occasione dell’assegnazione dell’alloggio, la sottoscrizione per ogni componente al momento maggiorenne, di un codice etico di comportamento, una sorta di patto contrattuale di impegno alla civile convivenza, sostenuto da un percorso obbligatorio di informazione, formazione ed educazione al rispetto delle regole da tenersi a cura della azienda di gestione, in stretta collaborazione con le organizzazioni dell’inquilinato e delle autogestioni.
Riformare le aziende di gestione per garantire risposte e servizi efficienti
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CGIL e SUNIA confermano l’utilità di procedere ad un processo di riforma della gestione del patrimonio e degli utenti dell’edilizia pubblica proponendo che le aziende abbiano natura giuridica interamente pubblica, con il duplice obiettivo di ottimizzare le risposte all’utenza in forma omogenea su tutto il territorio regionale e di valorizzare le professionalità e le esperienze maturate dai lavoratori della attuali aziende, garantendo loro la continuità della piena occupazione nel settore.