TORINO. Le cronache italiane, purtroppo, abbondano di fatti incresciosi in cui badanti e operatori socioassistenziali privi di professionalità e senza scrupoli commettono reati nei confronti degli anziani a loro affidati. I quali, spesso, restano vittime senza tutela. Ma è anche pur vero che i media raccontano spesso di come qualche arzillo vecchietto dal carattere indomabile e ingestibile, talvolta, compia azioni violente nei casi di chi lo assiste ogni giorno con dedizione, serietà e impegno.
Come arginare, dunque, il problema? Come rendere sicuro il rapporto professionale e umano tra badante, anziani e famiglie di questi ultimi?
Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Encedi, ceo di ‘Assistenza Amica’: “La necessità di riorganizzare, strutturare e normare la quotidiana interazione tra badante e anziano è stata per anni oggetto di studi ad ampio raggio, al fine di individuare una corretta quadra legale che consentisse in maniera ferrea il rispetto sacrosanto degli accordi fra le parti”. Per poi aggiungere: “I modelli di procedura organizzativi adottati sono una efficace diramazione di quanto previsto dal Decreto Legislativo n° 231/01 in materia di responsabilità amministrativa delle società”.
Essi costituiscono a oggi la miglior forma di tutela e prevenzione di reati e comportamenti delittuosi da parte delle famiglie e dei collaboratori all’interno del ciclo aziendale. “Tali modelli – insiste Encedi – operano in vista di una equa ripartizione della tutela contrattuale destinata in duplice modo sia alle famiglie che ai collaboratori. Essi prevedono espresse clausole rigide che responsabilizzano nel concreto in maniera molto forte entrambe le parti in gioco”.
Evitando, dunque, in questo modo, atteggiamenti nocivi al benessere e al buon decorso del rapporto in corso. “Così facendo – continua nel discorso Encedi – scompaiono abusi classici quali ad esempio quello in cui la famiglia chiede lo svolgimento di orari aggiuntivi di lavoro anche in nero ai collaboratori, avendo dalla propria più forza contrattuale nel rapporto tra le parti stesse: facendo sì, dunque, che il collaboratore posto in tali condizioni abbia poi di fatto una resa scarsa, dovendosi trovare costretto a operare in un clima di mancanza di serenità ed equilibrio”.
L’adozione delle cautele previste nel Modello 231 fa invece sì che alle famiglie venga tolta a priori la possibilità di sfruttare il personale, pretendendo prestazioni pari a 10-12 ore lavorative al giorno, e garantendo da parte delle cooperative fornitrici di personale un corretto turnover per avere sempre qualcuno di fidato accanto all’anziano, però con tutte le cautele professionali, previdenziali e assicurative del caso, nel pieno rispetto delle normative vigenti.
Ma c’è di più. “L’adozione del Modello 231 prevede l’abbattimento totale del contenzioso a favore delle famiglie. Esso fa sì di fatto che siano le cooperative fornitrici di personale a sostenere di tasca propria tutte le spese legali in caso di abusi da parte del collaboratore, laddove sia accertato in maniera chiara e inequivocabile che quest’ultimo abbia agito mediante fraudolenza e malversazione evidente”.
Altro aspetto determinante, per le cooperative che operano nella fornitura di personale per assistenza domiciliare è l’accertamento costante circa il casellario giudiziario dei soggetti che vengono assunti come badanti a domicilio. “Un controllo – conclude Giuseppe Encedi – che spesso le famiglie non attuano, con il rischio di trovarsi poi in casa persone inaffidabili, con carichi pendenti e tanto di precedenti penali. La richiesta, per chi opera in regime di Modello 231, di verifica della pulizia effettiva della cosiddetta ‘fedina penale’, consente invece di prevenire situazioni traumatiche e di contenziosi dolenti sia per gli anziani che le loro famiglie, garantendo al contempo un posto di lavoro serio in cooperativa a chi è realmente meritevole e affidabile in tal senso”.