di Silvana Biasutti
SIENA. Gambe e braccia nude, gonne un po’ al di sopra del ginocchio, capelli sciolti sulle spalle e liberi nel vento, volto truccato e magari una vertiginosa scollatura; tutto secondo moda e gusto nostrani, senza volgarità inutili, ma senza puritanismi bigotti. È la mise che chiederei di indossare a un manipolo di donne passanti per le strade percorse da un ospite in onore del quale in questi giorni sono state velate statue che fanno parte della nostra storia, come se la loro nudità scolpita nella pietra potesse offendere occhi e pensieri di inimmaginabili candore e inesperienza.
Mi sto riferendo evidentemente alla visita del presidente iraniano Rohani e della missione che lo affianca nel suo giro europeo. A questo proposito ho letto qua e là che alla cena non è stato – comprensibilmente – servito il vino (come quando si invita un vegetariano e non gli si propone carne), ma poi ho anche visto le foto con le statue mascherate da teli e veli che le trasformano in grotteschi cubicoli.
Bene, mi sono detta, chissà se una prossima volta durante una visita di questa portata (15 miliardi di business) impediranno a noi signore di circolare nei paraggi del cospicuo ospite, oppure ci consiglieranno di coprire un po’ il capo, magari anche solo con un carré di Hermès – del resto negli anni sessanta si usava e perfino Brigitte Bardot (magari in bikini) portava il foulard … e che dire di Jackie Kennedy e di Audrey Hepburn, magari non proprio come sarebbe piaciuto a Khomeini, ma elegantissime.
In fondo, in nome di alcuni miliardi di fatturato potremmo rispolverare quella moda e magari pecettare le foto più osé sulle copertine dei rotocalchi.
Ricordavo, giusto mezz’ora fa, a una vecchia amica vignaiola, davanti a un bicchiere del suo ottimo sangiovese che accompagnava un flan di pecorino con le pere, da Pino a Sant’Angelo Scalo, quando scrivevo che prima o poi con l’Islam avremmo anche dovuto fare i conti. Perché se è vero (e lo è) che tra i pregiati filari dei vini più esclusivi della bella Toscana lavorano nugoli di musulmani, forse – prima o poi – la loro crescente religiosità li costringerà a cambiare job.
Ma che c’entra questo con l’arrivo di Rohani e della sua delegazione, con le statue rinchiuse tra quattro teli, con i testicoli celati, con questa improvvisa ondata di bigottismo da più realisti del re?
È il business che palesemente conduce il gioco, non la politica: comandano i soldi, i fatturati, i grandi interessi; non di certo i mitici posti di lavoro, anzi, sul Foglio, un giornalista preveggente invita le aziende a non farsi troppe illusioni sulla manodopera a basso costo iraniana …
Perciò penso che la prossima volta “i nostri” ci chiederanno di indossare il velo, oppure di girare alla larga dal percorso degli ospiti.
Sarebbe invece opportuno imparare la storia di queste nazioni culturalmente così diverse dal nostro costume, per non prendere troppe cantonate, non farsi eccessive illusioni, e magari imparare qualcosa, da loro. La loro storia è tra le più vecchie del mondo: i libri che ne danno conto non mancano. Ma c’è anche un dato che deve impressionarci, più delle foto delle donne in chador, ed è la loro percentuale di laureate, la loro passione per la conoscenza, anche tecnologica e scientifica.
Invece di negare la nostra identità culturale e storica nel tentativo adulatorio di compiacere l’ospite, pensiamo al giorno in cui le iraniane faranno a meno del velo e i nostri capitani coraggiosi se le ritroveranno come interlocutrici colte e preparate. Invece di mettere le mutande alle statue, mettiamoci a studiare e prepariamoci: quel giorno è vicino.