"Ricorda tante altre svendite di stato"
ROMA. La privatizzazione di Poste a prezzi di semi-saldo, con l’offerta pubblica di vendita, iniziata oggi lunedì 12 ottobre, come parte di una offerta globale di azioni effettuata dal MEF e che avrà ad oggetto una quota non superiore al 40% del capitale di Poste Italiane, la cui forchetta oscillante da un minimo di 6 ad un massimo di 7,5 euro ad azione, porterà ad un incasso atteso per il Tesoro da 2,7 a 3,7 miliardi di euro, servirà per tappare una insignificante parte del buco di bilancio scavato dalle gestioni economiche dissennate dei governi, piccolissima goccia nel mare del debito pubblico, pari a 2.199 miliardi di euro al luglio scorso. Poste italiane, in precedenza valutato tra 9 ed 11,4 miliardi di euro da Imi, in una forchetta di valore oscillante tra gli 8 e 10,5 miliardi di euro da Goldman Sachs, dovrà accontentarsi di una valorizzazione tra 7,8 e 9,8 miliardi di euro, a seconda del prezzo finale di quotazione tra i 6 ed i 7,5 euro ad azione.
Questa ennesima privatizzazione di un pezzo importante del patrimonio pubblico, ricorda tanto le svendite di Stato nei primi anni novanta a cavallo di “tangentopoli”, nell’incrocio tra politica e affari, quando l’Italia, con il gran cerimoniere Mario Draghi direttore Generale del Tesoro ed oggi presidente della Bce sul Panfilo Britannia, rinunciò a gran parte del suo apparato pubblico produttivo, senza approvare alcuna norma di liberalizzazione, facendo così passare le grandi società pubbliche, dal monopolio dello Stato a oligopoli e monopoli privati, vendendo agli stessi soggetti sia l’attività che eroga i servizi sia le infrastrutture di rete, procurando notevoli danni ai consumatori ed al libero mercato.
La stagione delle svendite di Stato con la liquidazione di grandi enti come Iri (telefonia, trasporti, autostrade) e banche controllate come, Comit e Credito Italiano) ed Efim, di parte dell’Eni, di Autostrade, portò ai privati pezzi importanti di produzione e la gestione di grandi servizi, ma la finalità di ridurre l’indebitamento statale, portò ad una riduzione del debito pubblico dell’8%, un incasso di circa 200mila miliardi di vecchie lire, pagando a Goldman Sachs ed alle altre banche di affari, che curarono il passaggio dal pubblico al privato, una commissione valutata tra l’1% ed il 2% dell’intero incasso.
Anche oggi, con la vendita del 40% di Poste Italiane, la cui offerta pubblica con un minimo di 135,9 milioni di azioni, pari al 30% dell’offerta rivolta al pubblico in Italia e ai dipendenti del Gruppo Poste Italiane, mentre 317,1 milioni di azioni (il 70%) saranno riservati ad investitori istituzionali in Italia ed all’estero, la cui attività di collocamento – si legge nel prospetto informativo dell’offerta – sarà inquadrata nell’ambito del servizio di consulenza agli investimenti prestato da Poste Italiane, produrrà un discreto conflitto di interesse con Banco Posta che consiglierà ai suoi clienti di acquistare azioni delle Poste decantandone le virtù, festeggeranno le banche che incasseranno oltre 15 milioni di commissioni.