ROMA. Se il fondo Atlante, costituito con la finalità di acquisire le sofferenze bancarie e ricapitalizzare istituti di credito decotti, anche per l’inefficace azione di vigilanza, che ha trascurato di inibire ad alcuni ‘banchieri di sistema’, vere e proprie azioni di criminalità bancaria nella gestione del credito, non dovesse essere sufficiente a stabilizzare il sistema bancario italiano, si stagliano all’orizzonte interventi poco ortodossi quali l’intervento dello Stato nel capitale delle banche in difficoltà.
Una nazionalizzazione vera e propria, sul modello delle BIN, le tre banche d’interesse nazionale (Banco di Roma, Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana), create con la legge bancaria del 1936 e partecipate dall’Iri, che riuscì a riattivare il credito, superare la crisi dei primi anni 30 tutelare il bene risparmio con la separazione dell’attività bancaria sul modello della Glass Steegal Act, messo a rischio da una visione ciclopica delle banche e dagli algoritmi Bce di Francoforte.
La proposta che sarebbe allo studio per perseguire queste due esigenze (è qui che emerge l’interesse nazionale), con lo Stato potrebbe creare due o tre “nuove Bin” acquisendo di ciascuna una quota di dimensioni compatibili con il “principio dell’investitore privato” e rispettando così i vincoli imposti dalle regole europee sugli aiuti di Stato, con le banche in difficoltà, le ex popolari e le Bcc obbligate a confluire nelle nuove Bin, sia per condividere i rischi che per stabilizzare il patrimonio condiviso con una massa critica, la quale assieme all’apporto diretto dello Stato, non occultato tramite la Cdp potrebbe essere in grado di reggere il peso delle sofferenze e degli Npl nel breve-medio periodo programmandone la progressiva riduzione nell’arco di un decennio, potrebbe essere condivisibile.
A patto che oltre all’apporto della quota pubblica di capitale, compatibile con le norme europee sugli aiuti di Stato che potrebbero arrivare al 20-25%, trattato allo stesso modo degli investitori privati, con i capitali pubblici impiegati senza alimentare il deficit, ma contabilizzati come investimenti, si possa riformare il sistema di vigilanza sulle banche, con la nazionalizzazione della Banca d’Italia per evitare tangibili conflitti di interessi che hanno generato crac e dissesti del sistema bancario, narrato al contrario come solido ed efficiente, con una previsione di responsabilità oggettiva, non comprendendo al contrario come mai ai tempi del bail-in, devono pagare azionisti, obbligazionisti e depositanti, tagliando fuori i distratti vigilanti.
Adusbef e Federconsumatori ritengono percorribile tale proposta, per risanare un sistema bancario costoso, vessatorio, inefficiente e pericolante, non solo per le responsabilità dei banchieri, ma per omissioni dolose della Banca d’Italia, che non è mai riuscita a prevenire crac, dissesti e bancarotte, perché andava a braccetto proprio con gli stessi banchieri che utilizzavano le porte girevoli, come dimostrato dal crac della BpVi di Zonin, che ha lasciato sul lastrico 118.000 azionisti.
Elio Lannutti (Adusbef) Rosario Trefiletti (Federconsumatori)