ROMA. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Bruno Vespa per diffamazione dei due pm napoletani che, negli anni'90, avevano ordinato l'arresto del manager Vito Gamberale, poi assolto. Vespa, citato a giudizio per un passaggio del libro "La sfida" in cui l'intervistato Gamberale definiva «illegittimo» il suo arresto, si era difeso sostenendo di aver solamente riportato la «sostanziale verità dei fatti», peraltro confutata da due sentenze di merito e anche da un'indagine ispettiva del ministero.
I giudici di piazza Cavour hanno però nuovamente avallato la condanna di Bruno Vespa (24 mila euro per ciascuna delle parti offese) sottolineando che al giornalista non basta riportare fedelmente le parole dell'intervistato, avendo anche il dovere di controllare la veridicità delle circostanze riferite e la continenza delle espressioni riferite, mantenendo comunque sempre una "posizione imparziale".
I giudici di piazza Cavour hanno però nuovamente avallato la condanna di Bruno Vespa (24 mila euro per ciascuna delle parti offese) sottolineando che al giornalista non basta riportare fedelmente le parole dell'intervistato, avendo anche il dovere di controllare la veridicità delle circostanze riferite e la continenza delle espressioni riferite, mantenendo comunque sempre una "posizione imparziale".