Il consumatore rimbroserà solo il capitale
ROMA. Il Tribunale Civile di Pescara, ha dichiarato nulle le condizioni contrattuali relative ad una carta di credito revolving, che Findomestic Spa aveva fornito in dotazione ad un cittadino di Montesilvano (Pescara), facendo impennare la rata di rimborso da 75.000 lire a 250 euro. Il caso, curato dall’avvocato Maria Rita Di Giambattista per conto dell’associazione dei consumatori Adusbef, potrebbe rappresentare un importante precedente giurisprudenziale.
La vicenda ha inizio nel 1996, quando un uomo di Montesilvano, all’interno del punto vendita Mediaworld di Città Sant’Angelo (Pescara), ottiene un finanziamento di 548.000 lire da Findomestic, con contestuale rilascio di una carta di credito revolving, che offre al titolare una linea di credito rimborsabile a rate, con un tetto massimo di spesa di 1.500.000 lire.
Il rimborso minimo mensile è pari a 75.000 lire, ma una ulteriore clausola specifica che il rimborso minimo, in ogni caso, non sarà inferiore al 5 per cento dell’esposizione massima raggiunta. L’utente nel corso degli anni, effettua degli acquisti: nei primi tempi la rata di rimborso è ferma a 75.000 lire, ma in seguito aumenta esponenzialmente. Nel gennaio del 2001, in particolare, a fronte di una spesa di 2.071.000 lire, la rata mensile sale a 105.000 lire, pari al 5,7 per cento dell’esposizione raggiunta. Nell’agosto dello stesso anno l’uomo spende 1.575.000 lire, ma alla diminuzione dell’esposizione non corrisponde la diminuzione della rata di rimborso, che resta ferma a 105.000 lire, cifra equivalente al 6,75 per cento dell’esposizione raggiunta. Tale perverso sistema, fa aumentare l’importo delle rate fino ai 250 euro del 2005: a quel punto, nel mese di aprile, il cittadino smette di pagare, dopo aver accumulato un debito di 5.520 euro con Findomestic.
La causa civile inizia nel 2008 e a fine 2014 il giudice accoglie la tesi dell’avvocato Di Giambattista: il contratto è da considerare nullo per via dell’indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto, in quanto non è stato specificato l’ammontare della rata di rimborso, visto che la clausola in base alla quale l’importo «non sarà inferiore al 5% dell’esposizione massima raggiunta» non consente una determinazione oggettiva e visto che non è specificato il periodo di riferimento per il calcolo dell’esposizione. Sulla base della sentenza di primo grado, il cittadino dovrà restituire a Findomestic soltanto l’ammontare delle cifre effettivamente spese, senza il calcolo di interessi, commissioni e altri costi aggiuntivi.
La sentenza, che costituisce un precedente nel settore delle micidiali revolving, potrà aiutare molti consumatori strozzati ed usurati da banche e finanziarie con contratti capestro e clausole occulte, a rialzare la testa e far valere i propri diritti.